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La differenza fra la democrazia e il regime

Quello che differenzia una democrazia da un regime è essenzialmente la libertà di criticare, possibile in una democrazia, impossibile in un regime. Perciò quando viene criticata un’alta carica dello Stato, a meno che non sia diffamata, questo è di per sé un fatto positivo, poiché almeno dimostra che si è ancora in democrazia. In Italia, tuttavia, per qualche motivo ignoto pare che non sia possibile criticare la carica più alta dello Stato, cioè il Presidente della Repubblica. O meglio, alcuni lo possono criticare, altri no. Alcuni (Berlusconi qualche tempo fa), infatti, possono paragonare il Capo dello Stato alle "forche caudine", senza perciò che tutti i partiti e i giornali si agitino più di tanto.

Altri (Tosi, sindaco di Verona) possono addirittura togliere l’immagine del Capo dello Stato attuale nel proprio ufficio di sindaco e sostituirla con uno passato, affermando di non riconoscere Napolitano in quanto eletto con una maggioranza risicata, senza che tutta Italia gridi allo scandalo. Altri ancora (Di Pietro), invece, non possono dire che il comportamento di Napolitano "pare poco da arbitro e poco da terzo", (perché Di Pietro ha detto questo e nient’altro) senza essere accusati di eversione da tutte le altre parti politiche a dai giornali. Veltroni, segretario del Pd, pronuncia forse le parole più dure e incredibili: "Il ruolo e le parole del presidente della Repubblica non possono essere messe in discussione né essere oggetto di polemiche politiche strumentali."

In democrazia le parole di chiunque possono essere messe in discussione e a maggior ragione quelle del Capo dello Stato. Ciò, come abbiamo detto, distingue la democrazia da una dittatura, ma Veltroni ormai pare in confusione totale e pare seguire i consigli di quei tanti che, dopo che Di Pietro moltiplicò i propri voti in Abruzzo, gli consigliarono di allontanarsi dallo stesso Di Pietro. Una tattica geniale, non per nulla suggerita anche da Berlusconi, che Veltroni, a quanto pare, sta seguendo alla lettera.

Fini, invece, molto più ragionevolmente di Veltroni, si limita a dire che “è lecito, com’è più che naturale in una democrazia, il diritto sacrosanto alla critica politica, ma che mai quel diritto può travalicare il rispetto a chi rappresenta tutta la nazione, al di la del fatto che sia stato espressione di un voto unanime o meno del Parlamento che lo ha eletto". Queste parole paiono riferirsi più al sindaco della Lega Nord, Tosi, che non a Di Pietro che immediatamente dopo il commento su Napolitano ha detto: "Noi la rispettiamo”. Insomma, ancora una volta destra e sinistra si sono mostrati uniti nel raccontare agli italiani qualche bugia e cioè che Napolitano è stato offeso.

Ma a parte ciò, occorre chiedersi se le critiche di Di Pietro siano fondate o no. Questo problema non se l’è posto praticamente quasi nessuno tra i politici e i giornali. In verità, ci sarebbero diversi motivi per mettere in discussione l’operato del Capo dello Stato. Anzitutto, la firma del lodo Alfano, la legge che sospende i processi per le prime quattro alte cariche dello Stato. Una legge che ricalca con qualche differenza il lodo Schifani, già dichiarato incostituzionale, tra gli altri motivi, anche perché la sospensione era generale, cioè valevole per tutti i reati, (con il paradosso che per i reati funzionali, cioè che hanno a che fare con la carica pubblica, il Presidente del Consiglio può essere processato, previa autorizzazione, mentre per i reati extrafunzionali non può essere in nessun caso processato) e automatica, cioè “senza alcun filtro, quale che sia l’imputazione ed in qualsiasi momento dell’iter processuale, senza possibilità di valutazione delle peculiarità dei casi concreti”. Inoltre, la legge è incostituzionale perché “accomuna in unica disciplina cariche diverse non soltanto per le fonti di investitura, ma anche per la natura delle funzioni e distingue, per la prima volta sotto il profilo della parità riguardo ai principi fondamentali della giurisdizione, i Presidenti delle Camere, del Consiglio dei ministri... rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti”. Ora, Napolitano, dopo aver firmato il lodo Alfano, ha detto d’aver tenuto conto solo della sentenza sul lodo Schifani. A questo punto ci si può chiedere se Napolitano sappia leggere...

Un altro atteggiamento fortemente criticabile del Capo dello Stato è quello in riferimento alla presunta, anzi falsa “guerra tra procure”. In sintesi, la questione è questa. La procura di Salerno indaga legittimamente su quella di Catanzaro, sequestra gli atti di alcune indagini che Catanzaro per mesi e illegittimamente non aveva voluto dare, e viene indagata ancora illegittimamente dalla procura di Catanzaro, che inoltre sequestra i medesimi atti. Si capisce che non si tratta di una guerra tra procure, ma semplicemente di una Procura, quella di Catanzaro, che non accetta di essere indagata, probabilmente per timore che siano scoperte cose gravi come quelle ipotizzate dalla procura di Salerno, e che compie un atto illegale. Occorre notare che il Csm, cioè il Consiglio Superiore della Magistratura, che tra l’altro si occupa anche del profilo disciplinare dei magistrati e che ha potere di trasferirli in casi particolarmente gravi, sapeva benissimo dal gennaio 2008 che la procura di Salerno stava scoprendo cose molto gravi indagando sulla questione De Magistris e di conseguenza sulla procura di Catanzaro.

Il Csm sapeva benissimo anche che la procura di Catanzaro si rifiutava di trasmettere gli atti delle indagini alla procura di Salerno. Ciononostante non ha mosso un dito e quando è scoppiata la falsa “guerra tra procure” ha trasferito o sospeso i pubblici ministeri di Salerno, che avevano semplicemente fatto il proprio dovere. Cosa c’entra in tutto ciò il Capo dello Stato? C’entra, perché è presidente del Csm e non solo non ha avuto niente da ridire, ma anzi ha contribuito a creare confusione e a far prevalere le falsità, chiedendo gli atti delle indagini alla procura di Salerno, senza che vi fosse un giustificato motivo.

Infine, è strano che Napolitano abbia praticamente ignorato le 350 mila firme portate al Quirinale da Beppe Grillo in cui si chiedeva, tra l’altro, che i condannati in via definitiva non potessero andare in Parlamento. Su queste firme Napolitano non ha mai esortato i politici a fare una riflessione. Perciò Grillo chiamò Napolitano Morfeo e disse che sonnecchiava. Magari fosse Morfeo, magari sonnecchiasse. Il problema è che sembra che non sonnecchi affatto e che agisca molto consapevolmente.

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