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La deriva nazional popolare è in atto, siamo pronti a resistere?

L'Europa preferisce le destre e il clima teso tra i cittadini richiama alla memoria periodi tetri non ancora del tutto elaborati.

La deriva nazional popolare è in atto, siamo pronti a resistere?

C’è un clima pesantissimo per le strade, tra la gente.
Lo sentite; è palpabile. Volendo, potreste accarezzarlo: viene voglia di abbracciarlo e alleviarne le sofferenze. Ma non si può, e scorrono sul viso di questa bella Italia lacrime da incosciente, di chi per anni non ha pensato alle conseguenze delle proprie negligenze e oggi, combinato il guaio, torna a chiedere aiuto al padre rigoroso che altro non può fare se non strappare il cerotto, capire l’entità del danno e presentare il conto.

Porre rimedio al danno è tutta un’altra storia. Quella di queste ore è la prima riforma di tante che dovranno costarci molto e di cui proprio non possiamo fare a meno.

Ma il malumore degli italiani non dipende solo da questo. In parte, l’indeterminatezza della evoluzione del proprio Paese disorienta e terrorizza allo stesso tempo un popolo che percepisce un ente esterno e indefinito regolare la propria vita sociale; in parte nomi nuovi e sconosciuti sono oggi compagni di ogni pasto. Di colpo tutti esperti di spread, inflazione, tassi di interesse, bond europei o non bond europei, tagli con l’accetta vs. equità sociale, soluzioni da bar alla crisi di un modello economico palesemente zoppo.

Insomma, diciamocela tutta: il mercato globale oggi ha una faccia, e fa schifo.
E mentre i grandi si incontrano nelle stanze d’Europa decidendo le sorti di milioni di persone, in Italia si fissa tutti insieme il dito concentrandosi sulla dedica di una strada ad Almirante (ma a Falcone e Borsellino mai, giusto?).

E quest’ultima osservazione, giuro, non intende essere una critica: suggerisco di interpretarla come un avviso. Finalmente si percepisce il rischio più concreto di questo periodo, frutto di sedici lunghi anni di populismo, di affermazioni subito seguite da improbabili smentite; un periodo in cui tutto è stato concesso, anche la più evidente distorsione della realtà.

Tutto, purché si facesse in doppio petto con un sorrisone stampato in viso e in bocca si avesse un dialetto pulito al punto giusto.

Ovunque in Europa le elezioni stanno conferendo alla destra una inquietante fetta di consenso: la Spagna, con una vittoria schiacciante del partito popolare su quello socialista; in Olanda, durante le elezioni europee, la destra xenofoba guidata da Geert Wilders ha ottenuto il 16,7% per cento dei voti, classificandosi secondo partito olandese e ottenendo quattro seggi a Strasburgo. Potremmo citare ancora l’insospettabile Finlandia con il partito Veri Finlandesi, e l’Ungheria con “Jobbik”, partito ultra nazionalista promotore di una serie di “campagne” anti-rom.

E come da copione, insomma, è l’immigrazione subìta dal vecchio continente ad impaurire; la precarizzazione del lavoro e del salario ad istigare un arroccamento di stampo nazionalista sui propri diritti. Si genera così l’odio verso chi potrebbe soffiarci quel già misero scorcio di futuro che il villaggio globale ci prospetta.

E poi la colpa delle colpe: l’assoluta mancanza di scelte politiche e di una classe politica degna che ci costringe all’emergenza. Il loro latrato (quello, sì, unanime) invoca a squarciagola tecnici al governo che si facciano carico del lavoro sporco per poi equamente distribuire le responsabilità della situazione attuale, finendo per deresponsabilizzare tutti.

Da periodi più leggeri di questi e da crisi meno profonde e strutturali, drammi e dittature sono sorte senza che neppure ce ne si rendesse conto; senza che la gente potesse neppure intuire che di lì a poco avrebbe in massa applaudito nei plebisciti e istituzionalizzato il saluto romano, le leggi raziali e l’abdicazione alla cosa più preziosa e inalienabile di cui disponiamo: la libertà.

Meditate, gente: questo è stato.
E dovremmo drizzare tutti le antenne e preoccuparci perché oggi proprio non saprei a chi affidare la Resistenza. Di certo poco confido nei tanti “partigiani” per autoproclamazione che di fronte a rischi ben minori, coraggiosamente se la sanno dare a gambe.

Tra l’altro, anche con pochissimo stile.

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