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Sulle quote rosa c’ho ripensato

Mettere il sale nei biscotti della domenica, o scioperare in cucina vuol dire accettare lo stereotipo della donna anni ’50, la moglie di Peppone, per intenderci. Non siamo più quelle donne, non c'è più quella società. È giunta l'ora di porci un po' di domande.

Sulle quote rosa, forse, c’ho ripensato.

Le ho ritenute per lungo tempo un errore: cambiare per legge un fattore culturale non ha mai davvero inciso sulle cattive abitudini degli italiani. Occorreva a mio avviso quella cultura di parità che nasce dal merito, dal premiare chi è capace, indipendentemente da tutto. Quello, sì, credevo, sarebbe stato un cambiamento attuabile e concreto, fattibile con qualche intervento del legislatore che potrebbe inventarsi un pay-per-performance, con metodi di misurazione dei risultati che siano uguali per tutti.
Dopo di che, far avanzare chi rispetta i parametri.

Inutile sottolineare il “fatta la legge, trovato l’inganno”. Questa deprimente filosofia italiota per cui qualunque cosa venga fatta può in realtà contemporaneamente comportare lo sfilacciarsi della tela Paese. Iniziamo a fare, con lucidità e competenza. Lasciando fare a chi sa. Non a chi è uomo.

Poi, negli ultimi mesi ho iniziato a far caso alla mia personalissima esperienza. Il mio impegno civico e attivismo politico vanno avanti ormai da svariati anni, tenere discorsi in pubblico non è un problema particolare e spesso partecipo a riunioni in cui si tende davvero, con sostanza, a valorizzare i contenuti piuttosto che i contenitori.

Mi sono sempre quindi abbastanza lasciata andare, camminando e parlando a testa alta, scavalcando come nella pubblicità dell’olio cuore gli ostacoli del dialogo. Senza soffermarmi troppo a guardarli, solo puntando oltre e poi saltando dall’altra parte.

Ma, in questi mesi, forse per l’avanzare dell’età, ho iniziato a osservare anche gli stessi ostacoli con una diversa attenzione. A volte, parlando in un gruppo, mi sono resa conto di intervenire e dopo poco perdere il filo di un discorso, senza comprenderne davvero la ragione. Forse l’età. O forse no.
Guardandomi da fuori oggi, la motivazione ha i contorni nitidi: si chiama interruzione. Dicono sia una moda passeggera della politica italiana, per cui spesso chi parla, soprattutto se sta dicendo cose intelligenti (non sempre il mio caso, sia chiaro, ma talvolta...), va interrotto o prevalicato da una più stridente e acuta voce che sovrasti un qualunque pensiero sommessamente detto.
Dicono.


In realtà, mi sono documentata un po’ in giro e ho trovato un articolo del New York Times dello scorso 17 ottobre, a firma di Deborah Tannen, professoressa di Linguistica alla Georgetown University e “Behavioral Sciences” (Scienze dei comportamenti) alla Stanford.

Una donna con la d maiuscola, insomma, scrive un articolo sul concetto dell’interruzione nel dibattito politico delle recenti elezioni americane, approfondendo il relativismo del concetto di interruzione. Esso infatti è spesso legato al contesto di riferimento e, soprattutto, dai legami che intercorrono tra interruttore e interrotto. Talvolta, la cosa è tollerabile, viene vista anzi come un’aggiunta di valore al confronto; altre, invece, ha finalità distruttive.

Aggiunge poi un’interessante nota:

“What about gender? It’s well documented that women tend to be interrupted more than men, and that women who interrupt others are seen more negatively than men who do. (Some years ago John McLaughlin showed me a tape to illustrate what he’d noticed — that Eleanor Clift was cut off far more often than the men on his show.)”


Illuminazione. Allora è vero.
Siamo donne e dobbiamo quindi essere prevaricate, anche da altre donne. Perché, sia chiaro, nell’articolo non vi è alcuna specificazione. Si dice che le donne vengono interrotte in media più frequentemente degli uomini, non che siano questi ultimi a interromperci di più. Certo, in un contesto a predominanza maschile (tipo la politica, e anche in questo ci sarebbe da farsi molte, molte domande), il desiderio di dominanza è puro istinto. Il maschio domina, la donna è sottomessa; ma siamo davvero sicuri che siano solo gli uomini a bloccarci negli avanzamenti di carriera? Siamo tutti profondamente certi, senza esitazioni, che l’essere inchiodate al 20% di stipendio in meno a parità di mansioni sia un atto di prevaricazione contro il quale ci opponiamo davvero? Con i giusti mezzi, intendo.

Mettere il sale nei biscotti della domenica, o scioperare in cucina vuol dire accettare lo stereotipo della donna anni ’50, piegata al sacro valore del focolare, sottomessa all’uomo, pilotandone gli atteggiamenti con micro vendette casalinghe. La moglie di Peppone, per intenderci.

Il cambiamento passa secondo me attraverso due cose fondamentali: la prima comporta il prendersi una bella strigliata, care donne.
Se tutto questo avviene è anche per colpa nostra. Come vi sentireste se una donna pilotasse un aereo? Più o meno sicure del fatto di sapere che, invece, è un uomo quello che è responsabile di condurvi a destinazione?
Il fatto che in noi l’istinto ci porti a una sfiducia solida e incomprensibile nelle capacità di un’intera categoria di persone, prescindendo dalle proprie qualità, talenti e competenze, generalizzando e cadendo nello stereotipo che ci guida a categorizzare i concetti nella vita, ci allontana dalla meritocrazia. Questo atteggiamento legittima nell’altro sesso il desiderio di predominare, ci lascia ancorate al secondo posto. Meritiamo invece molto di più e siamo capaci di conquistare obiettivi e guidare squadre al successo; la leadership non è un concetto di proprietà esclusiva maschile.

La seconda, osservazione è la seguente: quasi quasi inizio a convincermi che sia giusto abbracciare le quote rosa. Almeno finché non saremo sicuri che il moto culturale che, come una spirale, dobbiamo attivare in Italia non sia innescato. Fino ad allora, cari tutti, noi donnine dobbiamo preservarci, da noi stesse e dagli uomini. 
Dobbiamo garantirci un riconoscimento per il nostro lavoro e questo a prescindere da tutto.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.88) 13 dicembre 2012 10:35

    non so in altre compagnie aeree, ma ho esperienza diretta di voli capitanati da piloti femmine con Lufthansa. Questo fin da almeno due decenni. Documentarsi prima di parlare.

  • Di (---.---.---.248) 13 dicembre 2012 12:22

    Quote rosa? guarda cos’è successo alle "parlamentarie" del Movimento 5 Stelle...hanno stravinto le donne senza l’aiuto di nessuna quota rosa e ti garantisco che la maggior parte dei votanti era di sesso maschile...cmq sia sono d’accordo con te su una cosa che penso da anni, il "problema" delle donne non sono gli uomini...sono le donne! Saluti

  • Di paolo (---.---.---.44) 13 dicembre 2012 15:33

    Affrontato da un punto di vista rigorosamente non scientifico ci sono due pregiudizi di partenza ,uno psicologico che cofigura la donna come un essere più debole e meno intelligente ,ed uno di natura strumentale ,ovvero inquanto femmina che utilizza la "golden share" di cui madre natura l’ha dotata per aprirsi un varco sociale .

    Su entrambi gli stereotipi è difficile formulare obiezioni perché la vera distorsione consiste nella loro generalizzazione mediatica,ossia non è ovviamente vero che le donne sono tutte galline ,cosi’ come non è vero che le donne sono tutte pronte a darla per uno scopo da raggiungere , ma purtroppo questo è il messaggio che ci propone la perfida scatoletta magica e ,per onestà bisogna anche dire ,purtroppo , in molti casi a ragion veduta . Gli esempi di uomini imbecilli e di uomini che si prostituiscono sono sotto gli occhi di tutti e ,se proprio vogliamo dirla tutta ,la prostituzione maschile è ancora peggiore perché generalmente è di natura intellettuale, tuttavia viene percepita con più tolleranza ,quasi fosse una scelta razionale.

    Le quote rosa sono un passaggio obbligato finché gli uomini non raggiungeranno un livello di valori pari a quello delle donne che si incontrano nella vita di tutti i giorni .

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