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La comunicazione sociale, recensione

Che rapporto intercorre tra la comunicazione commerciale e quella sociale? È giusto investire in campagne sociali, in particolare sui mass media, quando queste iniziative non riescono a raggiungere la soglia minima di attenzione? La comunicazione sociale è sempre etica?

Edito da Carocci nel 2010, “La comunicazione sociale” è un vero e proprio manuale che vuole mettere insieme gli strumenti di una materia che, solo nell’ultimo decennio, si è sviluppata esponenzialmente. Tra convegni, letteratura specializzata e nuovi percorsi universitari, la comunicazione sociale è diventata una branca della comunicazione sempre più studiata e strutturata.

La pubblicazione è articolata in cinque capitoli: nel primo si offre un’analisi di carattere generale e storico sul tema; nel secondo si approfondiscono le tecniche e gli strumenti; nel terzo si introducono le principali teorie psicologiche annesse; nel quarto viene suggerito un percorso ideale per la creazione di una campagna; nell’ultimo si propongono otto case histories, nazionali e internazionali, scelte in base alla capacità di innovare, di coinvolgere i diversi target, di raggiungere gli obiettivi.

Francesca Romana Puggelli è docente di Psicologia sociale presso l’Università Cattolica di Milano e collabora con diverse realtà internazionali, commerciali e no-profit, come consulente.
Rossella Sobrero si occupa da anni di Corporate Social Responsability, di sostenibilità e di innovazione sociale e comunicazione. Fondatrice di Koinètica – prima struttura italiana a dedicarsi a formazione e comunicazione in questo ambito – insegna Comunicazione Pubblica e Sociale all’Università degli Studi di Milano ed è nel Consiglio di Amministrazione della Fondazione Pubblicità Progresso e nel Consiglio Nazionale di Ferpi (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana).

Le autrici iniziano il percorso inquadrando la comunicazione sociale rispetto a quella commerciale, tra elementi comuni ed elementi di rottura. Tra le varie definizioni ne propongono una loro: “la comunicazione sociale è uno strumento persuasivo e di conoscenza utilizzato dai soggetti pubblici e privati per coinvolgere la persona (consumatore/cittadino/donatore) e spingerla all’azione, rendendola partecipe dei problemi ma anche delle possibili soluzioni“. L’ho voluta riportare per percorrerne le parole chiave. La prima – e non a caso compare all’inizio- è persuasione, a ricordarci il terreno comune con la comunicazione commerciale. Conoscenza, perché la comunicazione è anche uno spazio informativo, un veicolo di cultura, un servizio al cittadino. Poipubblici e privati, perché negli ultimi anni è aumentato il numero di soggetti privati che si sentono socialmente responsabili e che investono in quest’area; ma anche per quella “e” tra le due parole, che sdogana il ricorso a sinergie sempre più necessarie. Coinvolgere la persona e spingerla all’azione, in quanto le autrici stesse ci suggeriscono di mettere i nostri interlocutori al centro: come nella comunicazione commerciale il fine ultimo è quello di spingere il ricevente a comprare qualcosa, solo che in questo caso si tratta solitamente di acquistare comportamenti e valori, intenzione che richiede una complessità forse persino maggiore e sicuramente più tempo. Nella comunicazione sociale un intervento unico e “solitario” ha poco senso, e sicuramente scarsa efficacia. La parola che preferisco, infine, è partecipazione: non basta “solo” costruire la comunicazione intorno al nostro interlocutore.

Il paradigma in cui ci stiamo proiettando – più fumoso nel 2010, ma già capito da Sobrero e Puggelli – è quello della sharing economy. A proposito di partecipazione, il cittadino ha sempre più bisogno di essere messo nelle condizioni di scegliere e di essere parte integrante del cambiamento (vedi il fenomeno del crowdfunding). In un mondo in cui siamo bombardati di messaggi e viviamo l’incubo della troppa possibilità di scelta, non c’è altra soluzione che “scremare” le opzioni e fare decisioni – d’acquisto e d’azione – sempre più legate alla propria sfera personale di valori. I consumatori, infatti, sono ora più legati al brand, che al prodotto o al servizio. C’è quindi bisogno di un racconto più coerente e trasparente, di farsi veicolo di idee, diritti e valori.
Meno di un mese fa è stata approvata la Riforma del Terzo Settore, che oltre a delinearne meglio i confini (chiesto a gran voce da anni), incentiva le interazioni tra organizzazioni no-profit, pubblica amministrazione e imprese. Non può che esserci, sempre più, comunicazione sociale.

Proiettatomi – per passione – al di là del libro, ritengo che questo manuale, nonostante siano passati già 6 anni e si tratti di un argomento in rapida espansione, sia un ottimo frame intorno alla materia, ricco di esempi e di spunti per approfondimento.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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