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La caduta del River Plate

Il River Plate, dopo centodieci anni di storia, è per la prima volta nella Serie B argentina, dopo gli spareggi contro il Belgrano. Al termine della gara di ritorno, attorno allo stadio Monumental di Buenos Aires è scoppiata una guerriglia fra i tifosi rioplatensi e la polizia argentina. Il bilancio finale parlava di «cinquanta tifosi arrestati, settantadue feriti, tra i quali venticinque poliziotti, due con trauma cranico e uno in gravi condizioni. Altre quarantesette persone soccorse in diversi ospedali della città». Affrontare la serie cadetta non sarà facile. Il Presidente Passarella ha già annunciato che l’allenatore della prossima stagione sarà Matías Almeyda, bandiera del club.

La prima rivoluzione è di tipo linguistico. Per La Redó, periodico on-line argentino che si occupa di calcio con ironia e competenza, il River Plate non è più el equipo millionario, ma è diventato ERDLB (“El River de la B”), il River della serie B. È toccato al Club Atlético Belgrano di Córdoba, squadra che porta il nome del Generale eroe dell’indipendenza argentina, colpire e affondare una delle squadre più gloriose del mondo. Due a zero all’andata nello Stadio Villagra. Uno a uno al ritorno allo Stadio Monumental di Buenos Aires. Questo ci dice la cronaca. River per la prima volta in serie B in centodieci anni di vita. Questo ci dice la storia. I giornalisti argentini faticano a scriverlo e raccontarlo. Sembrano non credere alle loro parole. Non solo per la storia e il blasone del club, ma per una situazione tecnica che dopo gli ultimi disastrosi campionati, sembrava essersi risollevata. Intorno alla decima giornata del Torneo Clausura 2011, il River aveva una media punti che lo teneva lontano dalla zona promoción e una posizione di classifica che lo vedeva contendere il primo posto al Vèlez Sarsfield, laureatosi poi campione. Ed invece nell ultime nove partite, las gallinas hanno portato nel pollaio due miseri punticini prima delle disastrose partite di spareggio.

Gli scontri

Il pubblico di domenica era quello delle grandi occasioni. C’era da mostrare e salvare l’orgoglio ultracentenario nel quindicesimo anniversario della vittoria dell’ultima Copa Libertadores. Era il 26 giugno del 1996, gara di ritorno della finale. In panchina sedeva Ramón Díaz, c’era Ortega in splendida forma, Francescoli detto El Enzo a regalare poesia dalla metà campo in su, un giovanissimo Hernán el Valdanito Crespo implacabile cecchino. Due a zero per los millionarios sui colombiani dell’América de Cali. Pubblico rioplatense in visibilio. Sull’onda emotiva di quella notte di festa rispolverata per l’occasione, la partita era cominciata nel migliore dei modi. Il River giocava un calcio piacevole ed efficace come non gli accadeva da tempo. Dopo un gol giustamente annullato al Belgrano, era l’attaccante Mariano Pavone (5’) a regalare una speranza ai tifosi portando in vantaggio i suoi con un bel tiro dal limite dell’area. Se l’arbitro Pezzotta avesse poi accordato un sacrosanto rigore al River (25’), forse la partita sarebbe stata diversa. Ed invece la porta del Belgrano non ne ha voluto più sapere di ricevere palloni in fondo al sacco. I fantasmi della retrocessione hanno iniziato così a bussare minacciosi. Quando poi nella ripresa, un’incredibile carambola nella difesa del River, ha consentito a Guillermo Farré di pareggiare (61’) e quando Pavone ha tirato in bocca al portiere Olave un calcio di rigore dubbio (69’), le tenebre sono calate sul Monumental. Il novantesimo sembrava lontano un’eternità, la disperazione a portata di mano. La polizia, per tenere buoni i tifosi del River già zuppi dei loro lacrimoni e sul piede di guerriglia, ha iniziato a sparare acqua su di loro, nonostante in Argentina sia pieno inverno. Pezzotta non ha neanche annunciato i minuti di recupero, forse non ha neanche sputato aria per tre volte nel suo fischietto, ma ha consegnato il River all’inferno della seconda serie. Per il Belgrano, paradiso riconquistato con merito dopo cinque anni.

L’onta di questo dramma sportivo ricadrà sulle vecchie e le nuove glorie del River. Il Presidente Daniel Alberto Passarella, l’allenatore Juan José López, il portiere Juan Pablo Carrizo, il capitano Matías Jesús Almeyda, il promettente Erik Lamela. Ma non è solo loro la colpa. I drammi si materializzano in un momento, ma spesso affondano le radici nel tempo. La storia sportiva del River degli ultimi tre anni ha dell’incredibile. Con Simeone in panchina, il River aveva vinto con merito il torneo Clausura del 2008. In quella squadra militavano tra gli altri Alexis Sanchez, el niño maravilla oggi oggetto proibito del mercato delle grandi d’Europa, Radamel Falcao García, il bomber del Porto di Villas Boas e un emergente Diego Buonanotte. Dopo quel successo, sono inziati i guai. Simeone è stato costretto a dare le dimissioni. La presidenza è passata da José María Aguilar a Daniel Passarella. Sulla panchina si sono succeduti in poco tempo Gabriel Rodríguez, Néstor Gorosito, Leonardo Astrada, Angel Cappa e Juan José López. Sei allenatori, sei idee di calcio si sono alternate in 114 gare, che hanno visto il River vincerne solo 34. 

E ora tocca al Pelado Almeyda risollevare la storia del River. La rivista El Grafico considera la decisione di Passarella «tanto affrettata quanto populista». Almeyda è stato l’unico giocatore che domenica i tifosi hanno acclamato. Dal canto suo, il capitano dell’Argentina campione del 1978, dichiara che potrà anche essere ricordato come un «presidente incapace, superbo e autoritario, ma certamente non come un presidente ladro». Il dolore dei tifosi e la storia del club in questo momento meriterebbero altre parole e altri atteggiamenti.

A noi non resta che augurare ad Almeyda buon lavoro. Perché senza la maglia bianca con la banda rossa, il campionato argentino non è la stessa cosa. Vero Boca Juniors?

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