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La Terza Repubblica avrà il linguaggio della Prima?

La fine della Seconda Repubblica avrà forse il linguaggio e lo stile della Prima? Questa domanda non è più impensabile. Nessuna semplificazione, nessuna rimozione. La politica potrebbe tornare ad essere parola e impegno, ricerca del pubblico e del ragionamento. Anche complesso, comprensibile ma pur sempre, e senza rinunce, alto. L’uso della parola. Appunto, linguaggio. La Terza Repubblica, se mai ci sarà, avrà la faccia di due leader dalle antiche origini e dall’antica scuola. Nichi Vendola e Gianfranco Fini. Ognuno di loro figlio di antiche tradizioni, fra loro contrapposte, ma unite da due esigenze e modi di essere: profondamente italiane e europee. Non è un caso che, da posizioni assolutamente dicotomiche, i richiami all’Europa, a società plurali, ai diritti di tutti vengano da ciascuno dei due esponenti politici.

E non si tratta di slogan. Gli slogan vengono lasciati ai figli del sogno infranto del bipolarismo irrisolto. Alle semplificazioni, che semplificano i problemi, li sminuiscono per poi mai affrontarli.

Perché la Prima Repubblica non fu solo mercato e clientelismo. Perché il senso politico e civico continuò ad essere, anche nella fase di peggiore degenerazione del sistema, uno dei motori della nostra società. È la semplificazione che ha annullato la partecipazione, il senso di comunità, il senso di appartenenza. A un’idea e a una cultura.

Vendola e Fini sono profondamente diversi fra loro. Nessuno di loro è novità, per ricco curriculum e passato. La differenze fra i due è forse nella coerenza. Vendola, anche se a fatica per poter sopravvivere alla storia del movimento in cui è cresciuto e si è formato, ha mantenuto il timone dritto anche durante la sbornia dei sedici anni del berlusconismo e del bipolarismo. Ha fatto bene. Ora può parlare a viso aperto al suo popolo, ben più vasto di quello di Sel, e proporsi come uomo del rinnovamento di una sinistra che sembrava essere implosa. Fini invece è uno dei principali responsabili dell’affermazione di Berlusconi e del suo imperium, dell’ideologia dei più furbi, del Paese trasformato in assemblea di clienti e, nel migliore dei casi, di consumatori. Il suo rinsavimento, che sia reale o solo strumentale, è per noi tardivo. Gli va dato atto che lo strappo faticoso che ha portato avanti in questi mesi è coraggioso. Di una destra comprensibile e europea. Avversaria ma con cui dialogare e confrontarsi. Da pari. Anche con toni aspri, come stanno facendo oggi. «Quella di Fini è una furbizia insopportabile», dichiara Vendola. E probabilmente ha ragione. Proprio per i tentennamenti del leader di Fli, per la tardività dello strappo mai del tutto concluso.

Questi due personaggi hanno finalmente sdoganato, e questo è il loro punto di contatto più evidente, il linguaggio come valore, la comunicazione come confronto e non come televendita, la cultura di una collettività come valore. Comune al di là dello schieramento politico.

E forse, se questo Paese non si è ancora totalmente svuotato, potranno riaprire una fase nuova. Almeno per quanto riguarda lo stile. E non è poco di questi tempi.

Articolo uscito anche su Gli Italiani

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