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La Siria, Obama e il breviario di Wu Ming

Esiste “un aspetto tristemente paradossale nell’offerta di Bashar Assad di collaborare con il mondo Occidentale contro i gruppi armati dello Stato Islamico”, scrive Lorenzo Cremonesi sul Corriere dopo che ha cominciato a circolare la voce, già da qualche giorno, che Obama e Assad potrebbero trovare un inaspettato “modus collaborandi” per fronteggiare l’avanzata dell’ISIS.

Qualcuno, azzardando un po’ (un po’ tanto), in nome di una sorta di purezza antimperialista, afferma che basterebbero i curdi da soli (e senza aiuti) per sconfiggere e ricacciare l’esercito del Califfato islamico, ma calcolando in 25-30mila gli effettivi del Califfo e tenendo conto che in buona misura si tratta di ex soldati (sunniti) baathisti dell’esercito di Saddam Hussein allo sbando, ben armati e ampiamente foraggiati da sauditi, qatarioti e forse perfino dai turchi, sembra piuttosto difficile che i Peshmerga (curdi filo occidentali) o il PKK (socialisti da sempre impegnati nello scontro con la Turchia) o l’YPG (curdi siriani), possano essere davvero capaci di mettere in rotta (che è altra cosa da resistergli stando sulle montagne) l’avanzata del Califfato.

Lo sostiene invece, ad esempio, il criptico collettivo Wu Ming (quelli che sul loro sito citano come fonte di riferimento un tizio che scrive “Ribellarsi è giusto: ma bisogna farlo bene, saperlo fare bene, imparare a saperlo fare bene, e questo è il compito di una vita”, frase bellissima se non fosse riconducibile a Mario Tronti, ex operaista di estrema sinistra che recentemente ha guidato una pattuglia di teorici della ribellione nel porto sicuro del marxismo ratzingeriano (e se questo è il “saper fare bene” la ribellione siamo davvero ai limiti di una agghiacciante ammissione di fallimento).

In realtà il Califfato, piaccia o non piaccia, sembra essersi appropriato di mezzo Iraq e di mezza Siria, con puntate a nord dove gli Yazidi (mai sentiti nominare prima, a meno di non essere un esperto di diramazioni e sottodiramazioni etnico-religiose del vicino oriente) sono fuggiti in cima a una montagna e questo ha scaldato un po’ il cuore - sempre bisognoso di grandi traumi veri o immaginari - di un occidente distratto e buonista a singhiozzo (o a comando): l’occidente della destra (interessata, in versione antirussa, più alla questione ucraina dove sono morte 2mila persone, a partire dai trecento viaggiatori dell’aereo malese abbattuto) e della sinistra impegnata da sempre, in versione antiisraeliana, solo nella questione palestinese e di Gaza dove sono morte altre 2mila persone, ma che, politicamente, non è l'ombelico del mondo né per gli occidentali né per il mondo islamico anche se molti fanno finta che lo sia (casomai lo è l'esistenza mai digerita di Israele).

Tutti si sono bellamente “dimenticati” (termine edulcorato per dire in realtà che hanno fatto “spallucce”) della Siria, dove le vittime nel frattempo hanno raggiunto quota 200mila.

Ma qualcuno dice al contrario che, distratti dalle vicende dell’ISIS, ci si è dimenticati di Gaza e questo fa immaginare a certe acute menti che l’ISIS sia in realtà manovrato dal Mossad per incomprensibili fini reconditi fra cui, appunto, oscurare Gaza. Ragion per cui l'emiro del Califfato, al Baghdadi, non può essere che un "ebreo" e con lui anche tutti i gruppi islamisti (wahabiti compresi!). 

Ora, per tornare al Corriere, si profila una collaborazione Assad-USA. Del primo ricordiamo “che le prime manifestazioni contro la dittatura nella primavera 2011 furono pacifiche e non armate. Fin da subito fu invece la gravissima repressione militare a gettare la popolazione nelle braccia dei primi gruppi armati”.

Dei secondi sappiamo che con la loro incomprensibile (o decisamente demenziale prima e inetta poi) politica mediorientale hanno fatto saltare il coperchio di un caos ingestibile, nemmeno fosse proprio lì il mitico vaso di Pandora dei tempi antichi.

Il che giustifica il 18° dei 30 punti elencati dai Wu Ming nel loro breviario “Dopo la morte di Foley, c'è il ricatto morale: o con gli USA o con l'ISIS! Come se gli uni non avessero colpa dell'esistenza dell'altro” (ma se è vero che nell’Isis combattono i militari baatisti di Saddam fianco a fianco con i jihadisti duri e puri, si potrebbe anche ipotizzare che l’ISIS è un residuo resistenziale da sempre “avverso” agli USA. Indubbiamente una conseguenza dell’invasione americana, ma non, meccanicamente, una loro “creatura”).

A fermare tutto questo basteranno davvero quei curdi che fino a ieri erano considerati terroristi in base alle richieste degli stessi turchi che da un secolo li massacrano nel silenzio e nel disinteresse più totale dei duri e puri del pacifismo internazionale (forse che sono mai stati firmati appelli al boicottaggio della Turchia)?

Apprezziamo (molto, per il suo significato) il fatto che “molti combattenti in prima linea sono donne. Cosa che fa sclerare una forza ultra-misogina come l'IS/ISIS” (Wu Ming # 20), ma davvero si spera che possano in modo autonomo fermare i neonazisti dell’ISIS (fra cui molti simpatizzanti europei che forse ora dovremmo finalmente deciderci a definire "filonazisti")?

Anche se veniamo severamente ammoniti "Se qualcuno ancora pensa che saranno gli USA a togliere le castagne dal fuoco e riparare la situazione in Iraq, è illuso o in malafede" (Wu Ming # 22), è molto più probabile che altre forze dovranno intervenire, con alleanze variabili e imprevedibili, tali da far storcere la bocca a molti puristi.

Quelli che fino a poche settimane fa si dividevano fra i sostenitori del “laico” filorusso (e filo iraniano) di Damasco (dimentichi delle sue ignobili stragi a ripetizione) e i partigiani dell’interventismo in nome delle libertà civili e del diritto in nome di valori di democrazia che nel mondo islamico sono tuttora ampiamente considerate estranee importazioni colonialiste. Ciarlieri democratici (e mi ci metto anch’io) costretti a più miti consigli, vista la piega presa dal ribellismo antiregime.

Così ora i 200mila morti (bambini, donne e uomini, ribelli e governativi, civili e militari) dovranno essere dimenticati ancora più in fretta di quanto non sia stato "normale" finora, per fare strada a una nuova “coalizione dei volonterosi” che, oggi come ieri, vedrà i nemici di ieri essere gli alleati di oggi e gli alleati di ieri essere i nemici di oggi.

In fondo "l'ISIS è una forza d'invasione multinazionale che ha un progetto non di "liberazione" ma di conquista. Sono predoni capitalisti" (Wu Ming #24). Quindi dovremmo essere tutti d'accordo, da Washington a Pechino, da Wall Street ai centri sociali.

Ma nel vicino oriente i puristi si devono ricredere ad ogni piè sospinto; e non si sa se è la storia che è troppo veloce per mantenere la propria purezza o se è la purezza che è troppo lenta per stare dietro alla storia.

Intanto prepariamoci al prossimo giro.

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