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La Repubblica di Moldavia ha finalmente un Presidente: il giudice Nicolae Timofti

Il moderato neo-presidente ha riportato sessantadue voti, uno in più del minimo fissato e rappresenta l'Alleanza per l'Integrazione Europea che è al governo nell'ex repubblica sovietica.

Sono trascorsi due anni e mezzo dall'11 Settembre 2009 da quando Vladimir Voronin, uno degli ultimi leader comunisti ancora al potere in uno dei tanti Stati nati dalla dissoluzione dell'ex Impero sovietico, la Repubblica di Moldovia, dette le dimissioni dalla propria funzione di Capo dello Stato a seguito di numerose proteste di piazza che per giorni paralizzarono la capitale Chisinau.

A quei tempi, comunque, i comunisti erano ancora convinti di poter vincere le successive elezioni legislative con uno scarto tale da poter poi agevolmente rieleggere (quella del Capo dello Stato a Chisinau come d'altronde in Italia è un'elezione di secondo grado) lo stesso Voronin alla massima magistratura moldava.

Contrariamente a quento sognato dal partito che si considerava il legittimo erede della defunta Unione Sovietica e del suo partito unico, il Pcus, forti anche dell'importante esperienza romena (Bucarest già da due anni faceva parte dell'Unione europea); quel giorno i deboli partiti dell'opposizione fecero invece l'unica cosa che potevano fare e cioè coalizzarsi per fronteggiare il pericolo del ritorno ad una "democratura" rossa che ormai apparteneva più alla dimensione museale che non alla realtà.

Partito social-democratico, partito liberale e partito liberal-democratico si coalizzarono nell'alleanza per l'Unione Europea e ben presto guidati da Vlad Filat e Marian Lupu giunsero al potere in uno dei più derelitti Paesi europei. Tenendo fede all'acronimo che politicamente li unisce, decisero, dopo decenni, di voltare, le spalle a Mosca, che invece continuava a puntare su Voronin, per volgere lo sguardo verso Bruxelles. Il paese si spaccò. Da una parte, la Transniestra, auto-proclamatasi indipendente da Chisinau giacchè abitata da gente di genia slavo-russa a fronte di una schiacciante maggioranza di cittadini di nazionalità romena, nella nazione nota pure come Bessarabia.

Il Parlamento moldavo comunque per due anni e mezzo non riuscì ad eleggere il Presidente con la prescritta maggioranza qualificata del 60% e perciò, per legge, veniva sciolto ed i Moldavi venivano richiamati, con perseverante periodicità, alle urne per rinnovarlo. Tutto ciò sino al voto di giovedì scorso quando con sessantadue voti favorevoli e tre astenuti; tutti comunisti rimasti in aula unicamente per controllare che non si lamentassero irregolarità di sorta. I rimanenti deputati comunisti erano usciti dall'emiciclo moldavo prima che gli scrutini iniziassero lamentando intimidazioni.

Il compito che ora attende Timofti è molto impegnativo, dovendo garantire alla comunità dei ventisette Stati dell'Unione la bontà e serietà delle molte riforme in cantiere a Chisinau, prima tra tutte quella per debellare la proverbiale corruzione di Stato, tragica eredità del regime sovietico. Timofti dovrà inoltre sostenere il premier Filat nella sua politica estera di avvicinamento all'Unione Europea che comporta pure la richiesta di abolizione dell'obbligo di visto cui devono soggiacere i poveri moldavi per recarsi all'estero.

In questo cammino verso Bruxelles, la Moldavia sarà sponsorizzata dalla Romania, paese neocomunitario, di cui sino al 1946 era una regione. Non a caso le prime felicitazioni per il risultato raggiunto sono arrivate a Timofti dal Presidente romeno Basescu e dal suo premier Ungureanu. A ruota sono giunte le congratulazioni di Bruxelles espresse dal suo Alto Commissario per la politica estera, Catherine Ashton, e dal Commissario all'allargamento, Stefan Fule.

I compiti per avvicinare la Moldovia agli standard medi europei sono ancora molti e difficili, ma l'alleanza dei tre maggiori partiti non comunisti moldavi promette bene, specialmente se Chisinau procederà a tappe forzate verso le riforme. Forse dalla scorsa settimana nella capitale moldava, per la prima volta in una nazione già appartenente all'Unione Sovietica, i cittadini hanno democraticamente (esercitando il loro diritto di voto) relegato il comunismo in soffitta.

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