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La Puglia come Silicon Valley? "Ci sto lavorando". Intervista a Nicholas Caporusso

Un dottorando in ingegneria informatica, aspirante imprenditore sociale. Curriculum a parte, un outlier, uno di quelli che in America chiamano disruptive collaborator, ovvero una fonte inesauribile di problemi e soluzioni. Oltreché un concentrato di energia ed entusiasmo. La Puglia ha imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo.

 

Parliamo di Nicholas Caporusso, barese, classe ’81, che, da qualche anno, lavora ad un sogno: aiutare il Tacco d’Italia a diventare una Silicon Valley. Un’illusione? Non si sa. Le premesse del suo lavoro, però, cominciano a scuotere gli spiriti dormienti della sua regione. Uno dei suoi progetti ha già avuto offerte di investimento sia in Italia che negli Stati Uniti. Ma Nicholas è anche uno scrittore ed un musicista.

Nicholas, senza dubbio, lei rappresenta la Puglia eccellente. Quella che crea le basi, perché tanti giovani comincino a pensare di rimanere in Italia. Sta lavorando per rafforzare un anello che, per anni, è stato debole nella sua regione: l’innovazione. E’ così? Di preciso, cosa servirebbe subito per recuperare tante occasioni di crescita perse?

Credo che l’innovazione sia una questione di cultura, più che di tecnologia. È frutto della predisposizione al cambiamento, al confronto, alla condivisione, all’autocritica. Perciò provo a innovare con progetti che, oltre a una componente fortemente tecnologica, siano portatori di un messaggio sociale di evoluzione e anche di rivoluzione.

Ce ne parla?

Uno è dbGLOVE, un dispositivo che permette alle persone cieche e sordocieche di interagire con il PC tramite un guanto, che diventa l’interprete verso il mondo e verso gli altri: una metafora sociale che insegna una cosa: le tecnologie assistive devono essere mezzi di inclusione sociale. L’altro è BeMyApp, una maratona per lo sviluppo di applicazioni per dispositivi mobili, che in realtà è il “cavallo di troia” per lanciare ai più giovani, mediante una tecnologia di massa e a loro familiare, un messaggio di condivisione, di mutua contaminazione, collaborazione e co-crescita.

Sì, ma se oggi dico innovazione in Puglia, lei cosa mi dice? 

Ai pugliesi manca autoconsapevolezza nello spirito di sacrificio: così si crea una nuova classe di emigranti che, illusi di trovare altrove infinite opportunità che li attendono, etichettano la nostra regione come desolata. Al contrario di quanto possa sembrare, questa è la prima dimostrazione di un’inerzia al cambiamento, che è profondamente radicata nella nostra cultura.

Cosa vuole dire?

E’ l’arretratezza culturale, che ci porta a subire il fascino del giogo del posto fisso all’estero piuttosto che far emergere una spinta all’autoimpiego. Al contrario, ci sono sacche di eccellenza che si impegnano con coraggio e passione per emergere. Oggettivamente, le stesse persone avrebbero vita molto più facile altrove, ma proprio per questo apprezzo il loro spirito di abnegazione: è gente che non si rassegna alla fuga, ma che crea valore sul territorio. Sono “cavalli selvaggi”, per dirla alla Rolling Stones.

Quanto la Regione si sta impegnando per un’inversione di rotta?

Fortunatamente, da qualche anno alcune istituzioni hanno iniziato ad ascoltare, ad aprire gli occhi, a credere in un modo diverso di fare le cose. Da vincitore di Principi Attivi 2008 senza colore politico e da turista dell’innovazione posso dire che oggi la Puglia è vista come un faro e che potrebbe raccontarsi al resto d’Italia e al mondo grazie alle proprie storie di successo.

Ci sono investimenti interessanti da parte di queste istituzioni?

Rispetto agli investimenti, ragionamenti sul “quanto” e sul “come” devono andare di pari passo, se si vuole scardinare l’attuale situazione. In Puglia, come un po’ in tutto il nostro Paese, c’è un sistema economico chiuso e stagnante, frutto della cattiva propensione al rischio e all’investimento. Manca una cultura della responsabilità sociale d’impresa, non esistono politiche aziendali di redistribuzione dei capitali verso programmi di “open innovation”. Invece, le buone pratiche hanno insegnato che i soldi pubblici vanno investiti direttamente nelle idee, senza filtri. Si dovrebbe lavorare per eliminare i colli di bottiglia nella coscienza politica, economica e sociale.

Con Irene Lasorsa ha fondato QIRIS.org. Di cosa si tratta e quali sono gli obiettivi?

Nel 2008 abbiamo capito che l’innovazione e la ricerca possono essere il risultato della navigazione di piccole imbarcazioni, che esplorano tratte impreviste più che di una grande nave madre, che segue la propria rotta predefinita. Così nel 2009 è nata l’idea di aggregare tanti cervelli vivaci, che abbiano voglia di fare ricerca e innovazione e che siano in grado di assumersi la responsabilità di trovare le risorse per farlo. Il risultato è un piccolo gruppo di persone intraprendenti, che da tutta Italia ci hanno risposto con tanta voglia di mettersi in gioco e che stanno portando avanti progetti di ricerca, ai quali sono andati premi prestigiosi, come il James Dyson Award o il Premio Ricercatori del VI Forum per il Risk Management in Sanità, assegnati tra ottobre e novembre.

Concentriamoci sul progetto dbGLOVE e sui riscontri che potrebbe avere nella vita delle persone sordo cieche.

Le persone sordocieche hanno una duplice minorazione visiva e visiva, che riduce la loro possibilità di comunicazione, di accedere alle informazioni e di spostarsi. Inoltre, per comunicare con gli altri, le persone sordocieche hanno bisogno della presenza costante di un assistente, che deve interpretare per loro il mondo esterno e che, anche nella sua forma digitale, è organizzato per le persone vedenti. Pertanto, i sordociechi vivono un muro di silenzio, ma anche in una condizione di isolamento unica e difficile da spiegare e catturare anche nei censimenti e nelle statistiche. Nonostante molti sordociechi abbiano alcune funzioni visive o uditive residue, la loro disabilità molto spesso è associata ad altri handicap fisici, problemi dello sviluppo e disordini comportamentali. Per un sordocieco è fondamentale riuscire ad essere completamente indipendente nella comunicazione con gli altri e nell’accesso all’informazione. Tuttavia, ciò è estremamente difficile.

E quindi?

Con l’alfabeto Malossi (un alfabeto tattile intuitivo inventato da un sordocieco italiano), due sordociechi possono comunicare digitando l’uno sulla mano dell’altro, a turni, toccando differenti parti della mano, ognuna corrispondente a una lettera. dbGLOVE è un guanto interattivo basato sul Malossi. dbGLOVE permette alle persone cieche e sordocieche di interagire in maniera bidirezionale con un computer e di comunicare con gli altri tramite il computer. Indossandolo sulla mano sinistra, il sordocieco scrive il testo sul proprio palmo, come su una tastiera. Inoltre, dbGLOVE è un display tattile: il sordocieco può ricevere il testo sotto forma di stimoli tattili, come se qualcuno stesse digitando sulla sua mano. Oltre ad essere un mezzo per l’inclusione sociale, dbGLOVE permette di leggere documenti, mandare e-mail, navigare su Internet, spostarsi con l’aiuto del GPS, e tante altre applicazioni. Inoltre, è più facile da imparare e da usare dei display Braille. E 15 volte più economico. Il progetto ha avuto delle offerte di investimento sia in Italia che negli Stati Uniti. Perciò, stiamo continuando a lavorare per irrobustirci in modo da essere in grado di recepire le somme che sono state proposte.

I suoi sogni per la Puglia e il Paese?

Quando sono partito per la California ho iniziato un video blog, in cui proponevo di ricercare la Silicon Valley in Puglia. Quando sono tornato, ho avuto la fortuna di incontrare tante persone e tante realtà con cui condividere parole, linguaggi, processi e progetti. Spero che le persone smettano di costruire recinti attorno al proprio orto, che la finiscano di piangersi addosso e che si possa pensare insieme positivamente al futuro. Lo spirito del “getting things done” è parte di quanto di meglio ho trovato oltreoceano e che vorrei poter vedere anche qui: persone che si danno da fare. Finalmente.

Rimarrà, dunque, in Italia?

Ho avuto la fortuna di viaggiare molto e di vivere in posti molto differenti come Singapore e la California. Credo che un confronto con la realtà all’estero sia indispensabile per crescere e per far crescere il proprio paese. Perciò spero di avere l’opportunità di concedermi anni sabbatici fuori dall’Italia, di tanto in tanto. Detto ciò, sono convinto di voler vedere i miei figli crescere in Italia, affinché incontrino le tante difficoltà, che ci rendono più combattivi.

Lei è anche scrittore e musicista.

Fino a qualche anno fa avevo la possibilità di dedicare un po’ di tempo a scrivere poesie e comporre al pianoforte e con la chitarra. Adesso riesco ancora a ritagliare dei momenti per la musica. Quando posso scrivo racconti brevi, tra il grottesco e il surreale, per liberarmi un po’ della concretezza e del senso pratico che rischiano di e per ritrovarmi in un mondo leggero.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.130) 15 dicembre 2011 14:54

    non c’e’ alcun fascino del posto fisso all’estero, anche perche’ all’estero il concetto "arretrato" di posto fisso non esiste.

    All’estero c’e’ vera mobilita’ (con crescita professionale tangibile), stipendi veri e non da sopravvivenza, pagati con regolarita’. Questo, al meridione, non e’ al momento possibile.

  • Di (---.---.---.35) 15 dicembre 2011 15:32

    hai ragione, solo che non tutti hanno la possibilità di trasferirsi all’estero. 

    l’intervista è solo un invito a continuare a sognare, a non disperarsi. lo so, è tanto difficile, ma conosco tanti ragazzi che non possono lasciare l’italia. meglio allora provare, buttarsi, cercare di inseguire un sogno. e chissà......

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