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Per lavoro con i pusher. A casa una mamma affettuosa

Tosta, perché riesce a sdoppiarsi. E lo fa con successo. A lavoro inventa stratagemmi per avvicinare i pusher. A casa è una mamma affettuosa, che vive per i suoi tre ragazzi, anche se con un po’ di caos. L’albero di Natale non l’ha ancora smontato.

Per lei l’agenda di casa può avere ritmi più lenti. E certe faccende, quelle di poco conto, si possono pure delegare.

Lei è Vanna Ugolini, 48 anni, forlivese, vice caposervizio alla redazione di Terni de Il Messaggero.

Ha cominciato nel 1987, quando ancora studiava all’università (Economia) ed è diventata professionista tre anni dopo. Si è occupata di cronaca nera e giudiziaria prima per Repubblica, poi per il Messaggero, seguendo casi scottanti.

Nel 2008 è stata invitata dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alle celebrazioni per l’8 marzo al Quirinale, in seguito a un’inchiesta pubblicata su Il Messaggero dedicata allo sfruttamento della prostituzione. Non è tutto. Vanna ha pubblicato, infatti, Tania e le altre. Storia di una schiava bambina (Stampa Alternativa, 2007), con cui ha vinto il Premio Le Ragazze di Benin City (2008), conferito a pubblicazioni che si distinguono per l’impegno civile nei confronti delle donne vittime di tratta.

L’anno scorso, invece, è uscito il suo terzo lavoro : “Nel nome della cocaina” (Intermedia Edizioni, 2011), libro-inchiesta tratto dal documentario Zbun. Cliente, prodotto nel 2011 con il SIULP e dedicato allo spaccio di droga a Perugia.

Ma chi è Vanna fuori dalla redazione e soprattutto, come fa a conciliare casa e lavoro?

Lei si è occupata dei casi più importanti avvenuti in Romagna e dal 1996 in Umbria: dall’omicidio del senatore Roberto Ruffilli ad opera delle Brigate Rosse, ai crimini della Uno Bianca fino al delitto Meredith Kercher. Come fa a fare la mamma di due ragazzi e una ragazza e la giornalista di casi così scottanti?

I miei figli sono la mia bussola e la mia energia, oltre che le persone da cui più ho imparato nella vita e della vita. Metto in tutto ciò che faccio molto amore e molto impegno. Delego più che posso le cose che ritengo meno importanti e accetto una buona dose di stanchezza e di caos quotidiano.

Cioè?

Ad esempio, a casa non abbiamo ancora smontato l’albero di Natale e il presepe.

Ha mai avuto minacce per quello che scrive? E teme per la vita della sua famiglia?

Non temo né per la mia vita, né per quella della mia famiglia. In realtà minacce (di querele) e tentativi di pressioni li ho avuti solo quando mi sono occupata di politica, non di criminalità.

Per quante ore lavora ogni giorno?

Tra famiglia e redazione praticamente sempre. Ma stare in famiglia è un piacere e guadagnarsi da vivere scrivendo, non è poi così male.

Come si organizza per conciliare vita privata e lavoro?

Accetto i miei limiti e le mie fragilità. Questo mi aiuta a non cercare la perfezione a ogni costo in tutto, che è un grande spreco di energie. Zero vita mondana. Col tempo ho imparato ad essere un’acrobata. E, lo ripeto, mettendo molto amore, molta passione in quello che faccio. Poi ci vuole anche una buona salute!

Una puntatina sul suo lavoro. Occupiamoci del caso Kercher. Che idea si è fatta?

Non è facile sintetizzare un’indagine e un processo complessi, che hanno avuto tanti colpi di scena. Direi che dal punto di vista investigativo c’è stata troppa fretta di voler chiudere il caso. E non è mai stata data una risposta a una domanda semplicissima.

Quale?

Com’è possibile che in una stanza di tre metri per quattro tre persone commettano un omicidio d’impeto – quindi non premeditato, non organizzato – nei confronti di una quarta e ci siano tracce solo della vittima e di uno dei tre? Dal punto di vista mediatico c’è stata un’eccessiva sovraesposizione.

Cosa vuole dire?

Mi sono sempre chiesta, ad esempio, se, nel caso Amanda fosse stata bruttina, le cose sarebbero andate in questo modo.

Com’è stato possibile ribaltare la sentenza di primo grado?

Si ribaltano sentenze anche solo per un diverso convincimento del giudice. In questo caso ci sono stati anche elementi nuovi, che hanno portato a una sentenza diversa. E’ stata chiesta una perizia super partes, che ha sostanzialmente smontato due delle prove considerate fondamentali per condannare i due imputati.

Sono ipotizzabili interventi della massoneria e dei servizi segreti americani? 

Se questa domanda fa riferimento a presunte pressioni della famiglia Sollecito per tentare di trasferire alcuni investigatori – come è emerso da alcune intercettazioni telefoniche che sono agli atti – va detto che nessuna delle eventuali pressioni è comunque andata a buon fine, dato che tutti, investigatori, pm, giudici che hanno seguito il caso sono rimasti al loro posto e, anzi, alcuni sono anche stati promossi o hanno ricevuto riconoscimenti.

Quindi?

Non ho elementi per poter pensare all’intervento fattivo dell’America, un intervento, cioè, che andasse oltre un normale interessamento sulla correttezza di trattamento di una cittadina americana accusata di omicidio. Ritengo, comunque, come ho detto e scritto nei miei articoli, che la trama accusatoria avesse delle lacerazioni in cui si è potuta inserire la difesa. Il mio parere, dunque, è che questo ribaltamento della sentenza sarebbe potuto avvenire anche se Amanda fosse stata italiana.

Alla fine, l’omicida è un ragazzo di colore. Scontato o imprevedibile come esito in una città come Perugia?

Perugia non è certo una città razzista e, con tutta la comprensione che si può avere per un ragazzo che non ha avuto una vita né fortunata né facile, non vanno dimenticati i fatti. La stanza del delitto grondava solo del Dna di Rudy Guede. Sul corpo della vittima c’era solo il Dna di Rudy Guede come sui vestiti della vittima.

Non solo: Rudy frugò, lasciando tracce del suo Dna misto al sangue della vittima, nella borsa di Meredith che era sul letto, evidentemente dopo che la ragazza era stata uccisa. Un comportamento non propriamente ispirato a pìetas. Il ragazzo, che è stato l’unico a scappare dopo l’omicidio, non ha mai fornito elementi di chiarezza sulla vicenda, è stato difeso da due avvocati di fama e ha avuto consulenti e periti di parte di buon livello, grazie al sostegno anche economico della famiglia che l’aveva avuto in affido e dell’associazione immigrati. Rudy è stato considerato colpevole da due tribunali, ha avuto uno sconto di pena, passando da una condanna a 30 anni a una di 16.

Su quest’ultimo punto?

Anche in questo caso mi chiedo come sarebbe andato il processo se l’impronta della mano insanguinata sulla federa del cuscino, che era sotto il corpo della vittima e che apparteneva a Rudy, fosse stata analizzata subito e non dopo una decina di giorni e se, una volta fermato in Germania, Rudy fosse stato sentito prima dalla polizia che dai suoi avvocati.

E veniamo al suo ultimo libro, “Nel nome della cocaina. La droga di Perugia raccontata dagli spacciatori” – Intermedia edizioni. Come è nata l’idea?

E’ il mio terzo libro ed è l’ideale proseguimento di un documentario – inchiesta sullo spaccio di droga, che ho girato nella primavera del 2011 e che si intitola “Zbun.Cliente”.L’idea è stata del Siulp di Perugia, (sindacato italiano unitario lavoratori di polizia) e del suo segretario Massimo Pici, che voleva fornire uno strumento completo e fruibile da tutti per far capire cosa c’è dietro le quinte dello spaccio a Perugia. Il progetto è stato affidato a me. Il perno del documentario sono le interviste ai pusher, agli spacciatori di strada. Il materiale raccolto era molto e così, grazie alla disponibilità della casa editrice Intermedia, è nato il libro, che è stato arricchito da dati, analisi, ricerche, interviste.

Il dato più importante che ha scoperto e che si legge nel libro?

Il libro è un viaggio fatto per tappe. In ogni tappa ci sono elementi che contribuiscono a spiegare il perché di tanti morti per overdose proprio a Perugia e il perché Perugia sia diventata una meta così importante nel traffico di sostanze stupefacenti.

E’ stato facile incontrare le persone che ha intervistato?

Incontrarli è stato facile, sono sotto gli occhi di tutti. Ho usato qualche accortezza per non avere problemi e convincerli a raccontare.

Da dove vengono? Hanno famiglia? Come vivono?

La maggioranza di quelli che ho incontrato viene dalla Tunisia ed è molto giovane. Uno solo aveva più trent’anni. Uno di loro ha sostenuto di avere una laurea e mi ha citato alcuni scrittori nordafricani che aveva letto. Hanno tutti una famiglia d’origine molto numerosa. Mi hanno raccontato tutti i meccanismi dello spaccio, ma anche dei grandi carichi di droga che arrivano a Perugia. Dei clienti, gli “Zbun”, appunto, così solerti di giorno a puntare il dito contro le istituzioni e le forze di polizia per il degrado in cui sta scivolando Perugia e poi, di sera, pronti a comprare droga e a fare affari con loro. Hanno parlato delle loro vite in ostaggio.

Cosa le hanno detto in particolare?

Chi è clandestino in Italia, oggi, non riesce a trovare lavoro perché non ha il permesso di soggiorno e diventa manovalanza per la criminalità e il caporalato, oltre che strumento nella discussione politica. C’è molta ipocrisia e, invece, bisognerebbe guardare a questo problema con grande lucidità e rispetto per le condizioni difficili da cui queste persone fuggono.

Dove si incontrano e si scambiano la coca?

Il centro storico di Perugia è il cuore dello spaccio anche se, ormai, i pusher si spostano con facilità e arrivano anche a fare consegne a domicilio.

Quanto è diffusa l’eroina?

L’eroina è tornata a essere una droga molto usata, anche se magari con modalità diverse dal “buco”: oggi l’eroina si inala oppure si usa insieme alla cocaina.

Perugia ha un alto tasso di morti per overdose. Ha gli ultimi dati?

Perugia dal 2007 è la città che ha il più alto numero di morti per overdose d’Italia rispetto alla popolazione residente. Uno dei record più drammatici. Solo nel mese di dicembre del 2011 sono morte 8 persone. In tutto i morti per overdose nel 2011 dovrebbero essere circa 25. Il numero non è ancora preciso, perché non sono arrivati i risultati di autopsie fatte per conoscere la reale causa di morte di alcune persone. Dovremo comunque abituarci a valutare le conseguenze del consumo di sostanze stupefacenti anche con altri parametri.

Perchè?

Si va sempre di più verso le poliassunzioni (mix di droghe diverse oppure di droga e alcolici o farmaci). Difficilmente chi usa cocaina muore per overdose. Ormai si verificano molti incidenti stradali, suicidi, comportamenti violenti provocati dal consumo di cocaina, droghe sintetiche, allucinogeni.

Il capoluogo umbro è più a rischio rispetto ad altre città umbre per la presenza dell’Università degli stranieri? Pensa che molti studenti per studiare facciano i pusher?

No. I canali sono molti diversi e, in tutti questi anni, c’è stato solo un giovane albanese arrestato per spaccio, che era iscritto alla Stranieri, ma non la frequentava. L’iscrizione era una sorta di copertura.

Ci sono anche donne nel traffico di droga?

Sono soprattutto ragazze tossicodipendenti, che si legano agli spacciatori per avere la droga. Oppure sono donne costrette a prostituirsi, che arrivano attraverso le rotte della tratta portando anche la droga con loro.

Droga e prostituzione. Due fenomeni legati. Giusto?

Fortemente connessi, sì. Un’ipotesi che fanno gli investigatori, che ho sentito, è che siano stati proprio i guadagni fatti con lo sfruttamento della prostituzione a essere reinvestiti in traffico di droga. Non a caso i due gruppi stranieri che più sono coinvolti nel traffico in Umbria, sono albanesi e nigeriani, che da una decina d’anni sono anche quelli che sfruttano le donne.

Inoltre sono stati scoperti casi in cui le donne, che arrivavano a Perugia attraverso le rotte della tratta di essere umani, portavano droga nascosta nel corpo. Ancora, oggi spesso i clienti chiedono, insieme alla prestazione sessuale a pagamento, anche la droga. Le stesse ragazze sono costrette ad assumere droga per restare sveglie il più possibile e lavorare di più.

Come pensa reagiscano le forze dell’ordine?

I numeri degli arresti e delle operazioni portate a termine dalle forze dell’ordine sono importanti. Basti pensare che negli ultimi anni sono stati arrestati per reati connessi allo spaccio o al traffico di droga più di 300-400 persone l’anno dalle forze dell’ordine. E’ vero che il Ministero non ha mai considerato realmente l’emergenza Perugia e che, spesso, le forze dell’ordine sono costrette a fare la guerra allo spaccio con armi spuntate.

Secondo lei, il sindaco Wladimiro Boccali fa tutto il possibile per fare stare tranquilli i cittadini?

Questa è una domanda da rivolgere a un analista politico piuttosto che a una cronista. Quello che posso dire è che questo sindaco, per la prima volta, si sta confrontando con la città e le forze dell’ordine sul problema e non lo minimizza come è sempre successo in passato.

Secondo lei la situazione peggiorerà?

Tutti i fenomeni di degrado peggiorano, se non vengono contrastati: il peggioramento o meno della situazione dipende molto dall’impegno di tutti noi. Il degrado non è un male oscuro che viene imposto dall’alto, contro cui non si può fare nient’altro che subire. Ci sono tutti gli strumenti, a livello di repressione, prevenzione, politiche sociali, per fermarlo. Bisogna solo decidere di prendere questa strada con determinazione, magari rischiando anche di essere, in qualche caso, impopolari, per quanto riguarda le istituzioni. Ma anche ciascuno di noi può fare molto. Bisogna imparare a giocare la partita stando tutti dalla stessa parte: fino ad oggi, invece, tutte le componenti della società civile sono state divise e litigiose.

Proviamo ad ipotizzare un governo di centro destra a Perugia. Cambierebbe qualcosa?

Per quanto riguarda il governo di una città credo che i cambiamenti dipendano soprattutto dall’intelligenza, dall’onestà e dalla capacità progettuale di chi sta al potere.

Camorra, ‘ndrangheta, massoneria, droga. Perugia è messa proprio bene! Rimane bella, ma non è più tanto sicura?

Non si possono mettere sullo stesso piano l’attività di organizzazioni criminali efferate con associazioni come la massoneria, di cui, peraltro, per lavoro non mi sono mai occupata e non conosco direttamente. Della droga abbiamo parlato, per quanto riguarda la presenza di organizzazioni criminali, l’Umbria non può dirsi certo estranea al tentativo di infiltrazioni. Da anni è stata una regione rifugio per mafiosi in fuga o in cerca di nuovi territori in cui operare. Oggi, secondo quanto emerge dalle indagini, l’assedio delle mafie è soprattutto al tessuto economico e le forze dell’ordine stanno cercando di contrastarlo. Per quanto riguarda l’accoglienza, bisogna capire in base a quale parametri valutarla, altrimenti rimane un fatto soggettivo.

Di cosa le piacerebbe occuparsi in futuro?

Mi piacerebbe capire quanto è veramente valido ancora oggi lo slogan “Umbria cuore verde d’Italia”.

Lo capiremo dal prossimo libro. Torniamo a lei. Quanto si sente tosta?

Abbastanza. Ma anche molto flessibile. Per andare avanti con una vita così complicata bisogna essere soprattutto capaci di rialzarsi dopo ogni caduta.

Suo marito cosa dice?
Sono divorziata. Non si può avere tutto dalla vita.

                                                          

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