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La Fiat, Torino, le automobili

In attesa dei dati completi dell’indagine TP, una prima puntuale analisi del voto di Mirafiori

Il 13 ed il 14 gennaio 2011 si è tenuto a Mirafiori un referendum tra i lavoratori sul cosiddetto "piano Marchionne".

Il testo dell'accordo, reperibile a questo link sul sito FIM-CISL, ha profondamente diviso il mondo sindacale sia nei contenuti sia nelle modalità di proposizione.
 
Il testo dell'accordo è infatti stato presentato dalla FIAT, nella persona del suo Amministratore Delegato Sergio Marchionne, come un vero e proprio ultimatum: o l'accettazione totale del testo, o il progressivo abbandono di Mirafiori fino alla chiusura totale dello stabilimento.
 
I punti più controversi dell'accordo, che hanno provocato di fatto la rottura tra la FIOM, contraria all'accordo, e le altre sigle sindacali, favorevoli invece al trattato, riguardano sostanzialmente:
  • deroga al contratto nazionale (pag. 2)
  • possibilità per l'azienda di licenziare lavoratori o gruppi di lavoratori che agiscono in maniera da violare l'accordo anche senza valutazione del sindacato sulle infrazioni commesse (pagg. 3-5)
  • diminuzione delle pause da un totale di 40 minuti (15-15-10) a 30 minuti (10-10-10); i 10 minuti recuperati in tal modo saranno oggetto di una retribuzione inferiore rispetto al normale stipendio e non concorreranno alla maturazione del TFR (pagg. 6-7)
  • abolizione di paghe di posto, indennità disagio linea, premio mansione e premi speciali (pag. 9)
  • per coloro che avranno cumulato più del 6% di assenze nel periodo gennaio-luglio 2010, e per coloro che avranno almeno tre assenze inferiori a cinque giorni riguardanti giorni precedenti a festivi o giorni di riposo, non verrà pagato alcun trattamento per il primo giorno di malattia (pag. 10)
  • se dopo il 2011 il tasso medio di assenza non sarà sceso globalmente sotto il 4%, e se dopo il 2012 non sarà sceso almeno al 3,5%, non verrà riconosciuto alcun trattamento per i primi due giorni di malattia (pag. 11)
  • cassa integrazione senza preavviso per un anno (pag. 14)
  • corsi di formazione obbligatori non retribuiti per i lavoratori in cassa integrazione (pag. 15)
  • schema di turnazione al di fuori della normativa di legge (pag. 17-20)
  • ricorso a 120 ore di straordinario a persona senza preavviso anche per ritardi di produzione non dovuti all'azienda (pag. 23, 29)
  • spostamento della pausa pranzo alla fine del turno di lavoro (pag. 24)
  • solo i sindacati firmatari dell'accordo potranno costituire un proprio gruppo all'interno dell'azienda (allegato 1)
  • assenza di qualsiasi piano di investimenti dal testo dell'accordo, con riferimenti presenti nei soli allegati

Le votazioni indette tra i lavoratori hanno sancito infine i seguenti risultati (fonte FIM-CISL):

Seggio Reparto Sì (%) No No (%)
1 lastratura 212 50,84 205 49,16
2 lastratura 202 48,10 218 51,90
2 turno di notte 262 70,24 111 29,76
3 verniciatura 140 60,09 93 39,91
4 verniciatura 113 52,56 102 47,44
5 impiegati 421 95,47 20 4,53
6 montaggio 374 46,34 433 53,66
7 montaggio 349 48,27 374 51,73
8 montaggio 360 46,94 407 53,06
9 montaggio 302 45,48 362 54,52
Totale   2.735 54,05 2.325 45,95

Particolarmente importanti sono i dati relativi all'aggregazione per area:

 

Reparto Sì (%) No No (%)
lastratura 414 49,46 423 50,54
verniciatura 253 56,47 195 43,53
impiegati 421 95,47 20 4,53
montaggio 1.385 46,77 1.576 53,23
turno di notte (non aggregabile) 262 70,24 211 29,76
 

Il SI all'accordo trionfa tra gli impiegati e vince largamente anche nel reparto verniciatura, un reparto altamente automatizzato in cui la presenza operaia è ormai ridotta all'osso. In lastratura il NO si impone di misura, mentre vince in maniera convincente al montaggio, l'area in cui la FIOM è più forte e in cui il lavoro delle cosiddette "tute blu" la fa ancora da padrone.

A fronte del 54% ottenuto dal SI, si può parlare di vittoria di Marchionne, quindi? Senza alcun dubbio, e senza possibilità di appello, sì.
Ma una vittoria dettata dalla paura degli operai di perdere il lavoro, e non per la forza di un piano industriale convincente per il futuro della FIAT.
Particolarmente significativo a questo proposito è il lavoro eseguito da Termometro Politico:
Tra chi ha votato Sì, il 67% degli intervistati ha addotto come motivazione la necessità di salvare il posto di lavoro, il 23% ha detto che l'accordo presenta limiti ma è accettabile mentre solo il 10% esprime un giudizio esplicitamente positivo sulle condizioni di Marchionne.
Netta la scelta tra chi si è espresso per il No: l'85% ha dichiarato che si è trattato di un ricatto dell'azienda, mentre l'8% ha indicato la riduzione delle pause e l'aumento di turni e straordinari, il 4% le restrizioni su sciopero e rappresentanza sindacale e il 2% i nuovi limiti alle assenze.

Il primo passaggio è fondamentale: il 67% di chi ha votato SI - stiamo parlando di circa 1.800 lavoratori di Mirafiori - lo ha fatto sostanzialmente per paura di rimanere senza lavoro. Il clima da "prendere o lasciare" imposto da Marchionne ha quindi contribuito in maniera pesante a spostare il voto di molti lavoratori, schiacciati tra l'incudine di dover sottostare ad un vero e proprio ricatto, come è stato definito da molti di quelli che hanno scelto il NO, e il martello dello spettro della disoccupazione.

"La FIAT produrrà auto, con o senza Torino". Questo è stato lo slogan, nemmeno tanto recondito, di Marchionne, questo è stato il vero tema su cui si è deciso il referendum. Non è stata determinante la produttività, non sono stati dirimenti i piani industriali, non si è parlato di nuovi motori ecologici, di auto ibride o elettriche, di ricerca e innovazione.

Marchionne non ha nemmeno avuto bisogno di impegnarsi, di promettere qualcosa più dell'indispensabile mantenimento in esercizio dello stabilimento, perché gli operai di Mirafiori non avevano reali alternative.
 
Ma chi in Italia aveva il potere, il diritto ed il dovere di schierarsi dalla parte del lavoro e dei lavoratori? Chi poteva offrire un'alternativa al piano di Marchionne? Ovviamente la politica, locale e soprattutto nazionale.
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Così recita l'articolo 4 della Costituzione. Eppure la politica italiana in questo frangente si è letteralmente dissolta, adagiandosi su impotenti (dal Partito Democratico) o interessate (Popolo della Libertà) esortazioni a cercare di salvare il lavoro votando SI e sterili comizi (Sinistra Ecologia Libertà) ai cancelli della fabbrica sul furto dei diritti.

"Torino produrrà auto, con o senza la FIAT". Questo avrebbe dovuto essere lo slogan di risposta al diktat dei vertici FIAT, il grido di una città che non vuole rinunciare a collegare lavoro e diritti, l'esortazione di un Paese che intende combattere affinché i dettami della Carta diventino realtà.

Come ottenere questo risultato?

In primo luogo polarizzando le masse. Il rapporto tra la FIAT e gli italiani è un rapporto tra produttore e consumatore. Spesso i consumatori agiscono in maniera indipendente tra loro, e le aziende approfittano dell'assenza di reazioni coordinate da parte della massa; eppure la crescente sensibilizzazione, ad esempio, per la sostenibilità ambientale o contro il lavoro minorile dimostra che il popolo consumatore, se adeguatamente stimolato, è in grado di generare una selezione sul mercato premiando e punendo in maniera dirimente le aziende su parametri differenti da quelli strettamente legati al prodotto o servizio acquistato.

Una politica forte non si chiede se l'Italia può permettersi il modo in cui la sta trattando la FIAT. Si chiede se la FIAT può permettersi di scatenare una reazione dell'Italia. La semplice applicazione dell'articolo 4 della Costituzione avrebbe dovuto significare una mobilitazione politica totale, senza distinzioni, volta alla contemporanea difesa del diritto al lavoro e del diritto dei lavoratori marchiando a fuoco chi i diritti li usa a scopo ricattatorio.

Perché si dovrebbe comprare una macchina prodotta in un'azienda dove non sono riconosciuti certi diritti rispetto ad altre dove invece questi vengono garantiti? Certo, occorrerebbe una degna campagna di sensibilizzazione e di informazione, ma la politica nazionale è proprio nella posizione più indicata per prendere posizione.

Purtroppo per i lavoratori, il Governo ha scelto una posizione differente, ha scelto la linea di minor resistenza al potere economico della FIAT, giocando un'asta al ribasso, rinunciando a far sentire la propria voce proprio per permettere alla FIAT di portare a casa il massimo risultato con il minimo sforzo e inaugurare una pericolosa diffusione a macchia d'olio di deroghe e limitazioni a quanto i lavoratori avevano conquistato nelle generazioni precedenti. Il Governo ha scelto di non stare dalla parte di chi lavora e di chi paga più pesantemente l'attuale frangente di crisi internazionale.

Ma se una campagna di sensibilizzazione e boicottaggio avrebbe potuto far recedere la FIAT, o costringerla a offrire ai lavoratori maggiori garanzie, la politica avrebbe dovuto iniziare a preparasi all'eventualità di un abbandono di Mirafiori da parte della FIAT. Il mercato italiano, ad oggi, necessiterebbe di colmare l'eventuale vuoto lasciato dalla FIAT? Se sì, esistono prospettive per attitare investitori, anche stranieri? O in alternativa è possibile pensare ad un'industria pubblica sul modello di realtà virtuose e funzionanti dal punto di vista economico come Finmeccanica o Terna? In caso contrario, esiste lo spazio per una riconversione che possa massimizzare i livelli di occupazione e minimizzare i danni all'indotto? Forse sarebbe stata una ricerca vana, ma una strada che chi governa, amministrazioni locali - Comune, Provincia e Regione - in prima fila, avrebbe dovuto battere.

Purtroppo, anche in questo gli operai sono stati lasciati soli. Ed è stato questo assordante silenzio della politica a far vincere, in ultima analisi, il SI al referendum.

(Blog dell'autore: Città Democratica)

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