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La Costituzione assediata e un massacro sociale annunciato (e passato quasi inosservato)

Verrebbe voglia di liquidare la proposta, fatta dal partito del Presidente del Consiglio, di modificare l’articolo 1 della nostra Costituzione, con un’alzata di spalle: in fondo a simili iniziative siamo abituati e n’abbiamo, ormai, compreso gli scopi, peraltro assai poco nascosti. 

Da una parte si vuole, ad ogni occasione, ribadire che la Costituzione non è inalterabile per preparare l’opinione pubblica alle sue auspicate (da parte di Berlusconi e dei suoi) modifiche in senso presidenzialista, mentre dall’altra il PdL sta mettendo in pratica, con una disciplina ed una metodicità degna del PCUS staliniano, una perfetta combinazione di maskirovka (diremmo occultamento della realtà) e dezinformatsiya per allontanare il più possibile l’attenzione dell’opinione pubblica, oltre che dai contenuti dei processi che vedono imputato Silvio Berlusconi, dai quei temi economici che più degli altri rivelano la pochezza dell’azione del Governo.

Una strategia che proprio pochi giorni fa ha dimostrato di funzionare benissimo.

Mentre i giornali annunciavano con grandi titoli l’ennesimo attacco del PdL al nostro Testo Fondamentale, infatti, sono passate quasi inosservate le parole pronunciate da Luigi Giampaolino, il presidente della Corte dei Conti, che, durante l'audizione alle commissioni riunite di Camera e Senato sul Def, ha comunicato le proprie perplessità sulla possibilità, a casa della crescita troppo lenta della nostra economia, di raggiungere il pareggio di bilancio previsto dal governo nel Documento, senza "una correzione strutturale dei conti pubblici di oltre due punti di prodotto interno lordo, poco meno di 40 miliardi di euro", da portare a termine nel biennio 2013-2014.

Detto questo, e dopo aver fatto notare che una simile manovra (grossomodo si tratta di 700 euro a testa; 3000 per una famiglia di quattro persone) ammazzerebbe sul nascere qualunque eventuale ripresa economica, quasi a ribadire l’efficacia della maskirovka, neppure io posso evitare di commentare le affermazioni di Remigio Cerioni, il parlamentare del PdL che ha spiegato le ragioni per rivendicare, nell’articolo 1 della Costituzione, la centralità del Parlamento, "titolare supremo della rappresentanza politica della volontà popolare espressa mediante procedimento elettorale".

Un parlamento troppo debole, oggi, dice il marziano Cerioni, "tenuto sotto scacco da magistratura e Consulta" mentre "anche il capo dello Stato mortifica l'Aula".

Ho esagerato, chiamando marzano Cerioni, ma certo non dev’essere italiano, e meno ancora avere a che fare con la nostra politica, se davvero crede a quel che dice.

Il nostro Parlamento è completamento esautorato, ma non certo ad opera del Presidente della Repubblica o della Corte Costituzionale; è il Governo che lo a ridotto a organo con funzioni puramente formali, di vidimazione delle leggi, e privo di ogni sostanziale importanza nella nostra vita politica.

Si è arrivati alla completa espropriazione del poltere legislativo da parte dell’esecutivo; in Italia è il Governo a fare le leggi, ormai, non il Parlamento a cui è riservato solo il compito di approvarle in fretta e, se possibile, senza il minimo dibattito.

Una combinazione di fattori hanno reso possibile questo risultato; alcuni comuni a tutto l’occidente, altri specificamente italiani, altri ancora propri del modo in cui è nato il PdL e della sua peculiare struttura.

Non è solo italiano, ma esteso a tutte le democrazie, il ricorso continuo alla decretazione governativa, spesso ricorrendo a misure emergenziali, in sostituzione della normale attività legislativa; un ricorso allo stato d’eccezione da parte dei governi, che fa della normalità un emergenza e della soppressione delle garanzie democratiche un normalità, che, diventato sistematico, riduce le istituzioni a semplici gusci formali vuoti d’ogni potere reale.

A rendere il fenomeno particolarmente acuto, in Italia, contribuisce la legge elettorale che ha fatto del parlamento un’assemblea di nominati, non di eletti, che devono la propria carica non alla fiducia degli elettori che hanno saputo personalmente conquistare, ma al volere dei capi partito che li hanno candiati in questo o quel collegio più o meno sicuro.

Ancora peggiore è la situazione dei parlamentari del PdL che ha in Silvio Berlusconi un vero e proprio padrone: le fortune politiche dentro quel partito dipendono solo dal volere del Capo; dalla vicinanza al Capo, dalla benevolenza del Capo. Dalla fedeltà al Capo.

Che potere ha il parlamentare del PdL costretto, con l’utilizzo della fiducia, al voto palese di una proposta di legge proveniente dal Governo? Nessuno: può solo dire sì.

Votare esplicitamente contro il Capo rappresenterebbe, per chi avesse il coraggio morale di farlo, il proprio sucidio politico: non verrebbe ricandidato.

Ridicolo, dunque, in queste condizioni, sostenere che siano il Presidente della Repubblica e la consulta ad esautorare il parlamento; non si può esautorare chi, già di suo, non conta nulla.

Vi è, però, qualcosa di ancora più grave nei ragionamenti che stanno dietro la proposta di modificare l’articolo 1 della Costituzione; vi è l’incapacità, già più volte dimostrata da Silvio Berlusconi e dai suoi (per i quali Tocqueville dev’essere una variante francese del Bunga Bunga e Mill un centravanti inglese) di comprendere cosa sia una democrazia liberale.

Chi ha la maggioranza parlamentare, vogliono in buona sostanza affermare, ha diritto a fare quel che vuole; gli altri poteri, poichè non sono diretta emanazione della volontà popolare, sono secondari.

Un discorso che fila ( e infatti la nostra è una repubblica parlamentare proprio perché la Cosituzione garantisce già, se rispettata, un ruolo centrale al parlamento ) se non si pretende, come è nello spirito della proposta modifica costituzionale, di ridurre i rimanenti poteri dello Stato ad ancelle del parlamento.

Gli altri poteri, infatti, sono lì proprio per evitare che il parlamento faccia “quel che gli pare”; per far sì che il volere della maggioranza, travalicando i limiti imposti dalla costituzione, non diventi dittatura della maggioranza; per evitare che i nemici della democrazia (Hitler, ricorderete, vinse le elezioni) usino, per distruggerla, i suoi stessi strumenti.

Facendo un esempio limite, ma che rende perfettamente il concetto che sottende le costituzioni liberali, se non vi fosse il controllo esercitato dagli altri poteri, nulla impedirebbe a chi controlla il 51% del parlamento di mettere fuori legge i partiti dell’opposizione; nulla impedirebbe di trasformare, nel più apparentemente democratico dei modi, la democrazia in qualcos’altro.

Un’ultima considerazione.

La nostra Costituzione è il risultato di un anno e mezzo del lavoro congiunto di alcuni dei migliori uomini che il nostro Paese abbia prodotto nella sua storia recente.

Non sarà perfetta, ma, per certo, non dovrebbe neppure essere messa in discussione da chi siede nel peggior Parlamento che la Repubblica abbia mai avuto; da gente che non sarebbe mai riuscita a guardare Saragat o De Gasperi negli occhi.

Da omuncoli che non sanno neppure alzare la testa dal proprio ombelico.

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