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L’uomo e il lavoro



Tutto deve essere cominciato con una distinzione dei ruoli, per così dire, naturale: l’uomo va a caccia, procura il cibo al suo gruppo, mentre la donna accudisce la prole. Erano forse battute di caccia che duravano ore o giorni, a seconda della fortuna, si trattava comunque di mangiare, un bisogno essenziale al quale non si poteva dire di no.

Poi venne l’agricoltura, accompagnata dall’allevamento, e l’uomo imparò gli orari e le stagioni della natura. Ed è qui che le cose si complicano, non tanto per la differenza dei lavori assegnati a uomini e donne (ovviamente l’uomo aveva i lavori più duri, ma le donne erano certamente sfruttate oltre modo), ma perchè inzia ad esserci qualcuno che si discosta, che pretende di mangiare senza fare nulla.
Che so, un "latifondista", il primo, l’antenato di tutti, dichiara sua una proprietà che ancora non è di nessuno e non si sa come, impone agli altri di lavorare anche per lui.

Da qui in poi i nuovi contadini non dovranno produrre per se stessi e basta, ma anche per il piccolo latifondista e la sua famiglia. Entrambe le famiglie si allargano, e il tributo di cibo diviene sempre più alto, implica maggiore lavoro.
Poi arrivano le fabbriche, la rivoluzione industriale, e l’uomo finisce per rinchiudersi definitivamente nella meccanica del lavoro.



Ma pensateci un attimo soltanto, chi ha detto che lavorare sia necessario?
Benissimo, Hegel sosteneva che "il lavoro rende liberi", e ne aveva tutte le ragioni, molto più che persuasive, ma quello che voglio dire è: conoscete un altro animale in natura che lavora?



Conoscete un altro animale che si impone da solo orari improbabili, veri e propri turni forzati, e che dedica a se stesso 26-30 giorni l’anno?

Guardo i miei gatti, imperterriti nel loro leccarsi i baffi quando mangiano, dolci e candidi nel loro dormire sulle mie coperte, veloci e furbissimi quando si tratta di giocare o cacciare.

Guardo i documentari e sembra davvero che a nessun animale sia mai venuto in mente di distruggere la propria esistenza dedicando il proprio tempo ad altri che a se stessi.

Che diamine, l’evoluzione, mi direte! L’intelligenza, mi direte!

Non fatevi fregare, io sono un Vonneguttiano puro, e vi garantisco che l’uomo è nato per cazzeggiare.

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