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L’ultimo boy scout

È dunque arrivato il momento di mettere mano alla pubblica amministrazione in Italia; l’autonominato ha stabilito che se i sindacati, gli alleati di governo e le parti sociali non saranno d’accordo con lui, il 13 giugno, giorno di S. Antonio da Padova, egli varerà da solo quest’altra tornata di riforme che hanno la pretesa di portare il paese fuori dalla palude. È guerra dichiarata a fannulloni, prefetture, camere di commercio, uffici periferici dello stato, società partecipate e via elencando. Il popolo italiano è convinto che una volta rottamate tutte queste voci di spesa, gli 80 euro al mese potranno diventare come minimo 200, almeno è questo che gli si fa credere attraverso stampa, televisioni e sondaggi; le “mucche di Fanfani pascolano che è una bellezza”. 

Facile prevedere che tutto procederà secondo i piani stabiliti a prescindere dagli esiti delle elezioni europee del 25 maggio che sicuramente lo vedranno, il Capo del Governo, ancora in sella, nonostante lo tsunami di euroscetticismo che va profilandosi all’orizzonte e che gradualmente produrrà effetti in tutto il vecchio continente, a partire dalla Francia.

Però l’Italia è un caso a parte; è un Paese dove la partita tra i sistemi di governo, ovvero tra monarchia e repubblica, è difatti inchiodata sul due a due. Le riforme intervenute, già per mano del Governo Monti, proseguite con Enrico Letta e in via di attuazione con Matteo Renzi, hanno reso ancora più grave la situazione italiana, estendendo gli effetti collaterali di una crisi finanziaria, divenuta economica, precipitata in una recessione profonda, a ciò che resta del tessuto sociale. Siamo così depredati di ogni cosa, al punto da far apparire difficile persino identificare con l’appellativo di Nazionale Italiana, la squadra di calcio che parteciperà ai mondiali in Brasile. Al momento la squadra degli Azzurri può essere definita col titolo di “Statale Italiana”, posto che la sovranità nazionale del nostro Paese comincia a diventare addirittura sbiadito ricordo. Difatti, dalla perdita di sovranità dell’Italia, in favore di un’Europa a trazione tedesca, risiedono le ragioni di quel pareggio tra monarchia, prima e seconda repubblica e questa nuova forma di governo plutocratico.

Impensabile che sarebbe stato un partito che si richiamava agli ideali del socialismo, di ispirazione marxista, che era quello della classe operaia, a divenire il pilastro di siffatta plutocrazia. È difficile individuare il nesso tra le riforme renziane, risanamento del debito e ripresa laddove gli effetti prodotti, ad oggi e in prospettiva, sono un restringimento degli spazi democratici e una drastica riduzione dei servizi al cittadino. Non c’è corrispondenza tra abolizioni, soppressioni, dismissioni e alleggerimento della tassazione, del carico fiscale che opprime cittadini e aziende e allontana ogni credibile ipotesi di ripresa.

I risparmi di spesa, o presunti tali, non si traducono in investimenti; non vengono ripartiti tra i contribuenti (mancia elettorale degli 80 euro a parte); non generano nuova ricchezza e non servono a creare nuova occupazione, la spending–rewiew non ha effetto alcuno sulla crisi in atto, né si saldano i debiti della pubblica amministrazione con i fornitori e le aziende che hanno concesso credito allo Stato. Così facendo si pagano soltanto gli interessi sul debito pubblico e si garantisce ai nostri creditori che i tassi per loro rimarranno invariati, senza nessuna ipotesi di rinegoziazione, che il più debosciato dei padri di famiglia cercherebbe strenuamente.

Tutto questo mentre tra gli effetti immediati e tangibili per i cittadini c’è lo svilimento del loro potere elettivo: dall’Italicum alla riforma del Senato; dalla trasformazione delle province alla prospettata riforma delle pubbliche amministrazioni e della giustizia. L’autonominato Matteo Renzi è un uomo che tiene tantissimo all’immagine; sovraesposizione mediatica personale a parte, impressiona però anche il suo corollario di ministri e collaboratori, anche nell’aspetto.

Per esempio, l’immagine di uomo triste, afflitto e trafelato del sottosegretario Del Rio, rievoca tantissimo la figura di un centurione romano che ha assistito accanto a Ponzio Pilato lo svolgersi della Via Crucis. Va poi detto che c’è un enorme spread d’immagine tra le ministre dell’ex Governo Monti e quelle dell’attuale esecutivo: così lontane la Fornero, la Severino e la Cancellieri dalla divina Maria Elena Boschi, in fatto di appeal. Ma neppure in tal senso esiste alcunché di nuovo; niente che faccia, dica e proponga Matteo Renzi che Berlusconi non abbia fatto, detto e proposto. Tuttavia le differenze tra l’attuale esecutivo dell’uno e quelli guidati dall’altro ci sono, esistono e sono sostanziali. Non è che l’ex sindaco di Firenze abbia più coraggio e determinazione dell’ex Cavaliere. È che a Renzi gli sono dati più forza e poteri, dal sistema plutocratico che lo sostiene, in ragione delle sempre più accentuate oscillazioni dell’Unione Europea e dell’euro che partono dal proliferare dei movimenti no-euro e giungono sino alla crisi in Ucraina.

Una faglia, quest’ultima, estesa e profonda, che potrebbe addirittura inghiottire la stabilità della pace nel mondo e che, nella prospettiva di un intervento russo, avallato dalla prima potenza mondiale che è la Cina, fa diventare le altre minacce e gli altri pericoli che incombono sulla UE, null’altro che fastidiose punture d’insetto. Sarà che ognuno ha i grattacapi che gli competono in ragione di quanto ha grande la testa. All’Italia e alla plutocrazia di quel Matteo Renzi, che Pierò Pelù ha definito “boy scout di Gelli”, basta l’idea che Beppe Grillo possa andare oltre le quote assegnatagli da sondaggi per le europee, per non fargli dormire sonni tranquilli.

Magari il Movimento 5 Stelle non ha rimedi immediati ma per guarire l’Italia la terapia che hanno in mente non è certamente adeguare il corpo al cancro che l’ha aggredito, così come da Mario Monti in poi stanno facendo i governi alternatisi alla guida del paese. Non è nel cedere all’Europa a trazione tedesca il residuo di sovranità nazionale rimasta, il rimedio per uscire dalla crisi; cosi come un corpo non può e non deve cedere cellule sane al male che se n’è impadronito. In questi casi, ovvero una volta chiarito che in Italia il berlusconismo e l’appartenenza alla UE, così come concepita, hanno identica longevità e che le loro fasi storiche coincidono, pur essendo due mali di diversa origine, non c’è che una via da seguire per la guarigione: un intervento traumatico, come quello chirurgico. A Beppe Grillo e al Movimento 5 Stelle, ciò che chiedono gli italiani è solo il coraggio di prendere in mano il bisturi; quello che verrà dopo, la terapia, sarà tutta un’altra storia.

 

 

Foto: Palazzo Chigi/Flickr

 

 

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