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L’isola dei fiori di cappero, storie di vita sospese tra amore e violenza in terra di mafia

Esordio letterario per il giornalista aversano Vito Faenza (L'Unità, Il Messaggero, Corriere del Mezzogiorno) con un romanzo ispirato a fatti realmente accaduti nella sua terra. 

“Anna aveva poco più di tredici anni. Non conosceva l’amore... Lui rimase silenzioso ma decise che in quell’istante sarebbe stata sua. La più bella del paese non poteva essere che sua”.  Può la prima cotta di una tredicenne, troppo bella per essere solo una bambina ma non abbastanza donna per decidere del suo futuro, segnare in maniera tanto irrimediabile quanto drammatica il suo destino? 

Vito Faenza, giornalista dall’esperienza trentennale affida la risposta a quest’interrogativo al suo romanzo d’esordio: “L’Isola dei fiori di cappero” (Edizioni Spartaco, Collana Dissensi, euro 10). L’opera liberamente ispirata a storie realmente accadute fornisce uno spaccato della realtà dell’agro-aversano attraverso gli occhi di chi vede schiacciare la propria libertà dall’egemonia camorrista.

Capita che, quando il “lui” di un amore adolescenziale è il figlio del capoclan della zona, una ragazzina come Anna debba cedere la sovranità sulla propria vita e perdere per sempre la libertà di scelta. Il suo principe azzurro si trasforma presto in un carceriere che incatena i suoi sogni, le ambizioni ed i sentimenti ad un matrimonio da lei non voluto. Qui la camorra è come la religione: vale la formula “Finché morte non vi separi”. 

Morte e amore. Perché questa rimane, tuttavia, una storia d’amore. Nel vero amore, quello che Anna nutre verso il giovane magistrato Giovanni, la donna trova la forza e la speranza per non cedere alle avversità che la vita le riserva e combattere la sua battaglia di libertà contro il destino impostole.

Il racconto sollecita, inoltre, un’attualissima riflessione sul ruolo delle donne e la violenza che le affligge. Nel romanzo non c’è solo Anna che con una pistola è costretta al matrimonio, ma altre figure femminili si muovono nella penombra relegate da un retaggio culturale ancestrale a semplici comparse. “Erano donne di malavita perché così doveva essere. In vita come in morte erano considerate cose, non persone”. Donne violentate prima nello spirito che nel corpo, sopraffatte mentalmente prima che fisicamente, relegate al ruolo di vittima come la moglie e la figlia del Boss, divenute semplici bersagli durante la guerra di camorra che segnerà in maniera definitiva le sorti dei personaggi.

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l’autore Vito Faenza

"L’Isola dei fiori di cappero" ha il merito di percorrere strade narrative poco battute nel seppur inflazionato panorama degli scritti sulle mafie. L’autore trasferisce nel romanzo la sua esperienza e il suo stile descrittivo maturato come cronista di trincea. La tecnica narrativa risulta essere tanto essenziale quanto efficace, in quanto celebra i fatti senza cedere a facili moralismi. Attraverso la descrizione dei personaggi e delle vicende umane che li caratterizzano, dalla storia emerge chiaramente il contesto sociale in cui hanno luogo le vicende criminali.

In definitiva Faenza offre al lettore una diversa chiave interpretativa della realtà camorristica. Dipinge, attraverso la narrazione di una delle tante lotte personali alla mafia, il quadro di una terra sospesa tra l’omertà di chi non si sente un eroe e la voglia di riscatto di un popolo che non vuole più essere schiavo .

Per capire prima di giudicare.

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