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Rifugiati dalla Libia: le pecore nere del sistema d’integrazione italiana

Caserta, il 28 febbraio lo sgombero dei rifugiati dalla Libia ospitati nell'hotel Regina. Le misure straordinarie decise dalla Prefettura all'ultimo minuto hanno scongiurato, ad ora, problemi di ordine pubblico. 

Soufference, sofferenza: quasi un sibilo ripetuto da centinaia e centinaia di labbra nere sembra riflettersi negli occhi incapaci di chi vuol scorgere un futuro. Le voci tra i rifugiati politici ospiti degli hotel "Hotel Regina 1", "Hotel Regina 2" e "Giovy" si fanno sempre più insistenti: non ce la fanno più, sono allo strenuo delle forze.

“Come la vita umana si può ridurre al solo mangiare e dormire per due anni? Non stiamo vivendo bene così. Vogliamo diventare autonomi. Anche se non sappiamo dove andare vogliamo affrontare la vita e lasciare l’hotel. Abbiamo bisogno di un po' di tempo perché solo pochi giorni fa ci hanno accordato la buonuscita ed ancora non l’abbiamo ricevuta. Come potevamo trovare un altro alloggio prima?”.
Fredric, 27 anni, originario del Togo, si fa interprete del pensiero condiviso dai suoi compagni relegati ormai dal 2011 in uno stato di “cattività”, in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato.

Lui, perseguitato politico come tutta la sua famiglia, è emigrato in Libia dove ha lavorato come macellaio fino alla tremenda guerra civile. Come i suoi compagni di sventura è approdato sulle coste italiane a bordo di una “carretta del mare” e, dopo aver aspettato con impazienza il momento di poter lasciare la sua “prigione italiana”, ora si trova di fronte ad un ulteriore problema. Causa lungaggini burocratiche, un nutrito gruppo di ospiti che sono alloggiati negli hotel di via Nazionale Appia (Casagiove-Caserta) non hanno ricevuto tempestivamente i mezzi per organizzare il primo passo verso la nuova vita entro la scadenza perentoria del programma assistenziale fissato per lo scorso 28 febbraio. A partire da quel pomeriggio la comunità dei profughi libica si trovano sul ciglio della strada.

Fredric è tra i pochi, circa 10 su 150, della comunità togolese che parla fluentemente l’italiano e anche per questo funge da 'braccio destro' di padre Giorgio Ghezzi. Il sacerdote, da sempre impegnato a favore degli immigrati, si è fatto portatore delle istanze dei rifugiati del casertano presso la prefettura di Caserta. Dopo essersi prodigato per l’espletamento delle pratiche burocratiche, padre Giorgio sta combattendo l’ultima battaglia a fianco dei suoi ragazzi per ottenere che l’abbandono degli hotel avvenga nella maniera più pacifica ed umana possibile. “I ragazzi vogliono abbandonare gli alberghi. Tutti hanno firmato l’accordo di buonuscita (cinquecento euro riconosciuti ad ognuno). E per chi ha già un alloggio o si sposterà all’estero non ci saranno problemi – ha spiegato il padre sacramentino. C'è, però, la possibilità che molti necessitino di alcuni giorni per trovare una sistemazione, per affittare un appartamento in comune, tanto più che i soldi gli saranno consegnati solo l’ultimo giorno”.

Lo stesso “Movimento dei profughi dalla Libia", ospite dei tre hotel casertani, ha redatto un documento col quale ha formalizzato le istanze dei rifugiati in relazione all’obbligo di lasciare gli alloggi. Le richieste portate all’attenzione del vicario del prefetto, Michele Campanaro, una proroga per il pernottamento agli hotel di 14 giorni, il rilascio della tessera sanitaria, la distribuzione in contanti di quanto dovuto, hanno trovato, però, assoluto diniego.

“C’era da aspettarselo – ha commentato il prelato –. Il governo è fermo, e la prefettura non ha mai dialogato con noi ma solo con gli albergatori che, sebbene arricchitisi, non hanno fatto alcuna opera di mediazione. Ora i rifugiati inizieranno una forma di resistenza non violenta appoggiati dalla Chiesa di Caserta e da chiunque creda sia ingiusto mettere questi ragazzi per strada”.

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Come previsto, la procedura di riconoscimento e di consegna dell’assegno si è protratta fino a sera e ha obbligato la prefettura a consentire ai rifugiati di passare un’ulteriore e unica notte nella struttura.
Comunque vada per i ragazzi dell’hotel "Regina" si prospettano altri giorni di sofferenza. Negli occhi hanno gli orrori della guerra e nella mente due anni di semiprigionia in condizione drammatiche. Non hanno chiesto altro che la libertà di cercare di sopravvivere, lavorare e aiutare la loro famiglia: in altre parole, il diritto alla speranza.

Fredric l’ha già detto: lascerà l’Italia, andrà in Francia, forse a Parigi. “Non posso generalizzare perché qui ho trovato tante persone che mi hanno aiutato. Volontari, sacerdoti e laici che hanno capito il mio problema e mi hanno permesso di imparare l’italiano e frequentare le scuole serali. Ho superato anche l’esame per accedere al terzo anno delle superiori", ha sussurrato con fierezza il ragazzo africano.

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"Ho capito, però, che la maggioranza delle persone nasconde il loro razzismo. Noi non volevamo la carità ma la possibilità di badare a noi stessi, di seguire le vostre leggi ed avere i vostri diritti.

Quando l’ho detto, a nome dei miei compagni, nelle riunioni con le associazioni o in prefettura ci hanno risposto: "Non c'è lavoro e voi volete rubarci quel poco che è rimasto?".
"Qui ho perso ogni speranza e dopo due anni ho capito che non c'è futuro in Italia per noi rifugiati”, ha detto ancorsa Fredric.

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