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L’informazione che cambia, partendo dagli States

Qualche settimana fa avevo scritto in merito alle dichiarazioni di Rupert Murdoch, magnate dei media australiano, in merito all’evoluzione dell’informazione e alle prospettive sempre più reali che la stampa giornalistica cambi gli strumenti di diffusione delle idee, dal cartaceo al mondo del web.

Alla base di quelle dichiarazioni, che non tutti ritengono basate solo su idee progressiste ma soprattutto su interessi economici, c’erano diversi aspetti pratici come l’esigenza di informazioni più rapide e la necessità di offrire contenuti personalizzati per i lettori sempre più esigenti. In sostanza il web offre notizie istantanee, flessibili e direttamente a portata di click, che il lettore sia a casa, in ufficio o altrove con il suo portatile.

Il discorso che voglio affrontare oggi coinvolge invece le dinamiche che, a partire dal 1 gennaio 2008, investiranno i media statunitensi in quella che è stata ribattezzata "la tempesta perfetta dei giornali". Sono 15.000 i licenziamenti previsti nelle redazioni giornalistiche americane a causa di un calo di vendite e un crollo del valore delle azioni quotate in borsa. Paradossalmente questa crisi ha coinvolto sia quotidiani a favore della digitalizzazione delle testate giornalistiche, come il New York Times, sia quelle che sono più legate alla carta stampata.

I media americani hanno sofferto in misura maggiore questa flessione di fatturato anche per colpa di internet e della crisi finanziaria. Il primo ha "rubato", nel corso degli ultimi anni, parte degli investimenti pubblicitari che sono passati sulla rete, mentre la seconda ha dato il colpo di grazia, frenando fortemente il settore dell’auto che usufruisce soprattutto di pubblicità per mezzo cartaceo. Un giornale in particolare sembra immune alla crisi che sta investendo i suoi concorrenti: lo Usa Today. La peculiarità di questo quotidiano è quella di aver uniformato la versione cartacea con quella digitale. In sostanza il giornale che viene pubblicato in edicola riporta fedelmente i contenuti pubblicati sul web, senza discostarsi come invece accade per la maggior parte dei giornali tradizionali.


A quanto risulta le testate più rinomate non hanno visto di buon occhio la pubblicazione online di articoli di rilievo con contenuti ritenuti "di valore", relegando il compito di diffondere queste informazioni di prim’ordine alla tradizionale versione cartacea, piuttosto che al loro sito web. Per quanto lo scetticismo possa manifestarsi in chi da anni legge quotidiani cartacei senza notare tutti questi problemi, la realtà è che il Tribune Co. ha dichiarato bancarotta e il New York Times ha ipotecato la propria sede per far fronte ai debiti accumulati nel 2008.

Tim Porter, consulente di svariate testate americane, ha dichiarato che «Se i giornali fossero dei ristoranti avrebbero sulla porta questo cartello: "Entrate, il cibo non è granché ma ne avrete un sacco". Troppe notizie, focalizzate secondo uno schema vecchio e logoro sulle istituzioni e la politica. Bisogna re-inventarsi o morire». Forse un pò duro e sfacciato, ma tremendamente attuale. Evidentemente questa evoluzione al regno del web è tutt’altro che un mero sogno del sottoscritto, ma una necessità divenuta oramai strutturale.

Fonti e approfondimenti: Zambardino @ Repubblica.it , Massimo Russo @ Kataweb.it , mappa dei licenziamenti , The Economist ,

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