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L’indiscutibile primato del pallone

di Adolfo Fattori

Tutti parlano del calciodi calcio, e del calcio. I club, le sue istituzioni, i tifosi, i media. E naturalmente, i moralisti di tutte le tendenze e provenienze, e coloro a cui non piace o che non lo seguono, aiutati dalla prevalenza dell’autoreferenzialità dei discorsi sul pallone, e dalla immensa forza del senso comune e del “sentito dire”, i canali forse più potenti prodotti dalla modernità per fare esercizio della chiacchiera in libertà e dell’abdicazione allo spirito critico.

Perché il calcio – come tutti gli sport – è un fenomeno sociale, e quindi è parte della realtà sociale, con in più la caratteristica di essere lo sport più seguito e più praticato del mondo. E siccome è un fenomeno sociale, attrae l’attenzione del senso comune, e dovrebbe incuriosire la sociologia, cosa che però è successa di rado, se non attraverso ricerche e studi particolari, concentrati su suoi aspetti specifici.

Questo è stato il punto di partenza di Luca Bifulco e Francesco Pirone nello scrivere A tutto campo. Il calcio da una prospettiva sociologica (Guida, Napoli, 2014), con cui i due sociologi campani provano a dare un quadro completo del sistema del calcio, evitando di concentrarsi sulla parzialità dei suoi singoli aspetti, ma esplorandoli ad uno ad uno senza perdere di vista le relazioni che li combinano fra loro, dalla cultura e dai comportamenti dei club di tifosi, all’interesse periodico – e in genere strumentale – della sfera della politica, alle dimensioni economiche del fenomeno, alle politiche delle istituzioni che lo governano, alla percezione sociale e individuale dell’identità dei calciatori, insieme lavoratori dipendenti e patrimonio delle società per cui giocano, a partire dalla “sentenza Bosman”, che ha rivoluzionato il sistema di arruolamento degli atleti professionisti nell’Europa comunitaria, parificandoli agli altri lavoratori.

Intendiamoci, la bibliografia sul calcio è ormai decisamente ricca, ed ha una evidente distribuzione internazionale, ma nella maggior parte dei casi è appunto dedicata ai singoli aspetti di questo sport, senza offrire uno sguardo complessivo sul fenomeno. E il primo merito dei due ricercatori è quello di riuscire a trarre dalle singole ricerche consultate gli elementi per costruire un discorso coerente e fluido.

Ancora, la tendenza della sociologia dello sport a ragionare sulle dimensioni quantitative del fenomeno studiato è sempre forte – e diciamo che la natura stessa di questo spinge in questa direzione – ma Bifulco e Pirone riescono, pur tenendo conto dei dati statistici disponibili, a non perdere di vista le qualità in senso sociologico del calcio, gli intrecci con le sfere contigue, la sua natura di fenomeno in grado di fare da luogo dove si riverberano e si riproducono dimensioni tipiche della società moderna e tardomoderna nel suo complesso, a partire dal rapporto fra sport e finanza, a quello con la politica, al coinvolgimento emotivo e alle spinte all’appartenenza che stimola.

Insieme al cinema lo sport è la forma spettacolare pubblica più poderosa che il Novecento ha prodotto, e fra gli sport decisamente il football è diventata quella più diffusa sia come pratica che come consumo. Le ragioni sono senz’altro nella semplicità della sua struttura, dell’equipaggiamento necessario e delle sue regole – anche se le sue istituzioni provano continuamente a complicarle con l’alibi di renderlo ancora più spettacolare – ma c’è sicuramente di più: il particolare coinvolgimento del corpo degli atleti coinvolti, la difficoltà nel gestire l’attrezzo (il pallone) e nel raggiungere lo scopo del gioco (fare goal), la vicinanza che continuamente lega calciatori in azione e spettatori (che tutti, almeno qualche volta, hanno giocato a pallone almeno nel cortile sotto casa, per cui sono sempre capaci di apprezzare il grado di difficoltà e di bellezza delle azioni singole e di squadra che si svolgono sul terreno di gioco), e – alla fine – la “congenita” cine- e telegenicità del gioco, che gli ha permesso di diventare lo sport più adatto alla Tv, e come logica conseguenza, di stimolare una relazione sempre più stretta, quasi necessaria fra network televisivi, società di calcio e pubblicità. Il che naturalmente fa storcere il naso e scatena le critiche di chi è abituato a guardare solo alla superficie delle cose, alla loro apparenza, senza cercare in profondità. Lo stesso discorso si può fare sulle organizzazioni dei tifosi, di cui si notano solo gli episodi di violenza in cui periodicamente (ma più raramente di quanto appaia) sono coinvolte, senza chiedersi a quale bisogno profondo risponda la decisione di associarsi, organizzarsi e sviluppare specifiche forme di appartenenza.

Come pure – e le considerazioni dei due sociologi su questo tema sono particolarmente interessanti – è facile criticare la gestione del potere (calcistico) da parte dei dirigenti delle istituzioni internazionali del calcio (Fifa, Uefa), senza riflettere sul fatto che questa gestione – senz’altro legata anche alla conservazione del potere – dirottando finanziamenti e aiuti verso paesi poveri e giovani calcisticamente, ha permesso la diffusione della cultura e della pratica sportiva in aree del pianeta dove questa era del tutto assente. Un perfetto esempio di come i fenomeni sociali abbiano sempre più di un volto e di un effetto…

Ragionando più in generale, a partire dai motivi per cui è possibile ipotizzare perché il calcio è lo sport più popolare, diffuso, seguito – e anche promosso dai media – del mondo (la sua semplicità, spettacolarità, affinità con l’esperienza del suo pubblico), e quindi finisce per essere la punta di lancia del rapporto fra sport e società prima moderna poi contemporanea, uno dei motivi per cui il lavoro di Bifulco e Pirone è importante è che i suoi apparati e il suo indotto diventano uno degli osservatori privilegiati da cui osservare l’evoluzione dei rapporti fra pratica e consumo degli sport in generale, da quelli più “plebei” a quelli più elitari, come la vela, il tennis, anche lo sci, al limite il polo; tutti quegli sport che implicano forti investimenti da chi volesse praticarli, e che per forza di cose confinano la maggior parte delle persone unicamente al ruolo di spettatori, di consumatori passivi, con buona pace dei loro sostenitori e delle loro lamentele sullo scarso interesse di cui godono da parte dei media, senza riflettere sullo scarso appeal che hanno, proprio per la loro lontananza dall’esperienza concreta degli abitanti delle società di massa. Come dimostrano invece, al contrario, ad esempio, automobilismo (la maggior parte dei maggiorenni guida un’automobile) o il ciclismo (nel settentrione d’Italia, ad esempio, la “bici” è di uso quotidiano, e non solo in pianura…)

Altra considerazione, sempre a latere: ci sono anche altri sport che si giocano solo con la palla, senza altri attrezzi come racchette o mazze: rugby, football americano, pallavolo, basket. Perché per questi non vale quel che vale per il calcio? Il seguito a livello mondiale, la pratica diffusa? Perché implicano l’uso di ulteriori strumenti, forse, come cestini su pali, reti, e altri oggetti. Ma prima di tutto perché, credo, fare punti è facile: lo dimostra il confronto fra i punteggi finali medi di tutti questi sport e il calcio, in cui è contemplata – e continuamente verificata – la possibilità che una partita finisca sullo zero a zero, magari per le scelte tattiche degli allenatori delle due squadre.

Fine del romanticismo dello sport? Cancellato dalle tecnologie dell’informazione, dalla logica del business? Dall’interesse degli stessi calciatori a avere cura del proprio capitale, il proprio corpo? Non credo. Penso anzi che sono altri gli sport in cui la dimensione romantica è del tutto apparente, forzata, illusoria: pensiamo alla vela, ad esempio, dipendente in pieno dalle tecnologie più avanzate e buona per lanciare testimonial per oggetti di consumo di lusso, laddove il calcio continua a produrre, grazie alla essenziale narratività delle partite di calcio, anche le più periferiche e sconosciute, quelle confinate nelle ultime pagine sportive dei quotidiani locali, una sua epica, memorie, racconti (Soriano, 2001; Bifulco). 

 

Letture 

Luca Bifulco, Quando il pallone va all’ala sinistra, “Quaderni d’Altri Tempi” n. 49, http://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero49/bussole/q49_b11.html

Adolfo Fattori, La disposizione del pallone e della vita, “Quaderni d’Altri Tempi” n. 26, http://www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero26/mappe/q26_m02.htm

Osvaldo Soriano, Ribelli, sognatori e fuggitivi, Einaudi, Torino, 2001.

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