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L’horror del nuovo millennio

Alcuni consigli per orientarsi in uno dei generi più ostici ma anche più intriganti della storia del cinema

Di fronte a un genere apparentemente – o forse scomodo per davvero come l’horror è facile avere pregiudizi. Tanto che non manca chi, pur non avendo mai visto una pellicola “horror”, asserisce di non apprezzare il genere. Anche il sottoscritto era, fino a qualche tempo fa, della categoria. Ma prescindere dall’horror nell’esplorazione della settima arte significa escludere un grande e importante capitolo della storia del cinema, e rinunciare alla visione di alcuni capolavori.

L’horror raggiunge i massimi livelli tra gli anni ‘70 e ’80 con autori come – per citare i più importanti – John Carpenter, Wes Craven, Tobe Hooper, Sam Raimi, George Romero, Dario Argento per quanto riguarda il cinema italiano; il periodo è inoltre segnato da classici come “Shining” e “L’esorcista” i cui registi non erano però dediti principalmente all’horror. Col passare degli anni il genere è andato sempre più decadendo e oggigiorno le proposte raramente sono interessanti: la maggior parte degli horror del nuovo millennio tende a soffermarsi sull’esibizione della violenza ed è lo splatter a dominare. Il problema non è la rappresentazione delle crudezze in sé, aspetto anzi richiesto dal genere, quanto piuttosto la prevaricazione dell’atto efferato sul vero obiettivo delle pellicole horror: far paura. Spesso accade infatti che il film susciti disgusto nello spettatore, il quale rimane turbato solo a livello viscerale, laddove invece l’horror dovrebbe porsi ben altri obiettivi. Uno su tutti: creare un clima di tensione e inquietudine. In questo senso il meccanismo della suspense diventa fondamentale e i registi di riferimento sono Hitchcock e De Palma. Tale procedimento non si basa su ciò che lo spettatore vede, bensì su quel che egli immagina e teme possa accadere: quindi la paura viene suscitata mediante l’attesa, con la descrizione di un momento durante il quale di fatto non succede nulla. Ma, dettagli tecnici a parte, la scelta di un horror contemporaneo rimane molto rischiosa ed è facile imbattersi in film di scarso livello: da qui a sottovalutare l’intero genere il passo è breve. Ritengo perciò che qualche consiglio possa tornare utile.

Perché non è vero che tutti gli horror degli ultimi anni sono brutti, ve ne sono anzi di molto interessanti e con alcuni di essi vediamo tornare all’opera dei maestri del genere: è il caso di “Drag Me to Hell”, diretto da Raimi, ricco di belle trovate anche umoristiche; e se Dario Argento peggiora di anno in anno, assistiamo d’altra parte all’affermazione di registi come James Wan o Rob Zombie. Il primo, reso celebre dal riuscito “Saw – L’enigmista”, gira “L’evocazione – The Conjuring” riuscendo a confezionare un’opera più che meritevole sulla possessione demoniaca; anche il prequel “Annabelle” di cui Wan è produttore si colloca nettamente sopra la media. Rob Zombie è un regista più particolare, difficilmente apprezzabile da chi non sia un appassionato di horror: della sua produzione sono interessanti “La casa dei 1000 corpi” e “La casa del diavolo”, entrambi incentrati sulle vicende della famiglia Fireflay, che tanto ricorda i Sawyer del classico di Tobe Hooper “Non aprite quella porta”. Va poi detto che in un periodo in cui la mancanza di idee ha portato a realizzare remake dei maggiori successi degli anni ’80, Rob Zombie è uno dei pochi o forse l’unico ad aver girato un rifacimento dignitoso: “Halloween – The Beginning” (l’originale è “Halloween – La notte delle streghe”, capolavoro di Carpenter).

Rapidamente alcuni titoli degni di nota; titoli dei quali non mi dilungherò a esporre la trama, giacché intendo soffermarmi un po’ più a lungo su una pellicola in particolare. I titoli sono “The Others”, “The descent – Discesa nelle tenebre”, “Quella casa nel bosco”, mentre il film di cui propongo una breve analisi è “Oculus – Il riflesso del male”, diretto da Mike Flanagan. Ottimo lavoro sul piano stilistico, degno di nota soprattutto il montaggio delle scene, che alterna sapientemente due linee temporali diverse: il 2002 e il 2013. I fratelli Kaylie e Timbo vivono da bambini un’esperienza terribile che riguarda la morte dei genitori (Flanagan è ben attento – qui come in altre occasioni – a non rivelare subito cosa sia realmente successo) e in seguito alla quale il ragazzo entra in manicomio. Egli termina la terapia nel 2013 e può finalmente incontrarsi con la sorella, la quale intanto è riuscita a procurarsi un antico specchio dall’aria inquietante. Veniamo quindi a sapere che tale oggetto apparteneva alla famiglia dei due fratelli all’epoca in cui era accaduta la tragedia, nel 2002. Ora, la ragazza è convinta che la causa di tutte le loro disgrazie sia proprio questo specchio, abitato da un qualche spirito maligno, mentre il fratello, dopo anni di terapia, ritiene di essersi inventato una storia paranormale per nascondere il proprio delitto, cioè l’uccisione del padre. Kaylie ha intenzione di provare l’esistenza dell’entità soprannaturale nello specchio e a tal proposito, una volta riportato l’oggetto nella casa dell’infanzia, allestisce un elaborato impianto di sorveglianza: telecamere, sensori per rilevare la temperatura; il tutto per dimostrare che una forza diabolica abita effettivamente lo specchio e che dunque Tim è innocente. Il film prosegue svelando a poco a poco, in parallelo alla narrazione degli eventi presenti, ciò che è accaduto nel 2002, e lo fa con un’originalità narrativa che avvince sempre. A partire dalla seconda metà il film assume le caratteristiche di un horror vero e proprio, mentre nella prima parte si era limitato a suggerire una serie di sventure senza che di fatto accadesse nulla, nonostante, beninteso, l’attenzione dello spettatore rimanga alta dall’inizio fino alla conclusione. E questo in buona parte si deve alla maestria di Flanagan nel montaggio e alla gestione intelligente dei due differenti periodi: sequenze azzeccate permettono di passare da un’età all’altra ad esempio percorrendo semplicemente una scala, senza interruzioni della ripresa.

Oculus - Il riflesso del male

La storia in sé, per quanto proponga alcune trovate d’effetto, non racconta molto di nuovo, ma lo racconta bene, attingendo a modelli del genere sia datati che più recenti (le telecamere installate da Kaylie, per dirne una, ricordano il sistema di monitoraggio di “Paranormal Activity”). È inoltre molto interessante il potere dello specchio di alterare la percezione della realtà, per cui i personaggi sono convinti di agire in un certo modo e invece fanno tutt’altro. Lo spettatore condivide il medesimo punto di vista dei protagonisti e si trova pertanto disorientato quanto loro nel chiedersi cosa sia vero e cosa un’illusione. In questo senso lo specchio e i suoi meccanismi altro non descrivono che il potere del cinema (del cinema come della letteratura), il quale può a sua volta rielaborare la realtà in un’immagine fittizia, suscitando in noi – se è il caso dell’horror, quello serio – paure più o meno recondite. Questo film di Flanagan è un esempio odierno di bel cinema horror, bello stilisticamente ma anche profondo nelle sue riflessioni, che indagano la natura dell’uomo e la sua fragilità di fronte al male. Vediamo quindi che un genere solitamente accostato allo spavento e al disturbo fini a se stessi può invece rivelarsi interessante anche da un punto di vista più intellettuale e, perché no?, filosofico, oppure politico, se pensiamo a Romero. Insomma, l’horror è un genere da riscoprire e spero che l’articolo qui proposto possa incentivare un recupero dei classici di Craven, Argento, Cronenberg e compagnia bella, senza che per questo vengano snobbati a priori tutti i prodotti contemporanei.

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