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L’estate delle “tagliate di faccia”

L'estate delle “tagliate di faccia”

La potremmo chiamare l’estate della “chiusura dei conti”, oppure delle “tagliate di faccia”. Perché non passa giorno che uno sgambetto o una coltellata alle spalle colpisca questo o quell’esponente politico, questo o quell’altro pezzo delle istituzioni. Che il patto che ha tenuto insieme, bene o male, apparati e classe politica dopo Tangentopoli stia traballando pericolosamente, comincia a diventare ogni giorno di più evidente. Forse non per il pubblico, ma per i cosiddetti addetti ai lavori si. E la prima crepa, al contrario di quello che in molti si ostinino a pensare, non è la vicenda di Noemi Letizia e neppure quella delle escort a Palazzo Grazioli o a villa Certosa.

L’obiettivo di questa resa dei conti non è Berlusconi, nonostante lui e i suoi più stretti collaboratori siano al centro di tante e tante voci e inchieste, processi e indagini. O almeno non è solo lui.

La prima vera “tagliata di faccia” è quella sulla Protezione civile e sui Grandi Eventi, sul G8 della Maddalena e sulla ricostruzione a L’Aquila. Viene quasi da pensare che la cosa sia esplosa perché il nucleo di potere che si era creato attorno al dipartimento e alla figura carismatica del sottosegretario Bertolaso era diventato negli ultimi anni troppo accentrante, una sorta di governo totalmente autonomo dentro il governo stesso, bloccando di fatto con la sua stessa esistenza una ridistribuzione di visibilità e interessi a settori altri e diversi. Poi è arrivata la vicenda Agcom, quella delle intercettazioni al premier a caccia della testa di Santoro & co, disposto a tutto per azzittire quegli ingrati prezzolati dei giornalisti televisivi della Rai. E poi in rapida sequenza la condanna di Totò Cuffaro, e ancora quella di Marcello Dell’Utri, e poi la bocciatura da parte della Consulta al Lodo Alfano.

E ancora le deposizioni del pentito Gaspare Spatuzza e del teste Massimo Ciancimino, che siano o no in futuro totalmente riscontrate, che almeno per ora hanno avuto il merito di far tornare la memoria improvvisamente a una folla di smemorati: da Ciampi a Martelli fino a Violante e Pietro Grasso. E ancora la vicenda di questi giorni sull’Eolico e su quella sorta di nuova P2 che sarebbe stata messa in piedi da Flavio Carboni (ancora lui) ed altri, e la vicenda squallida legata alla mancata candidatura del sottosegretario Cosentino e alle campagne di dossieraggio messi in piedi per screditare Caldoro, il candidato “non affidabile” per Carboni &co. Tagliate di faccia, appunto. Coltellate alle spalle. Che coinvolgono figure togate, che aprono scenari inquietanti sia sul Csm che sulla Consulta.

E poi nel pomeriggio la condanna del generale Gianpaolo Ganzer, capo del Ros, e del generale Obinu, ex Ros e membro oggi dell’Aise (i nostri servizi). Condannati per presunte irregolarità nel corso di operazioni anti droga (come raccontiamo nel servizio specifico pubblicato poche ore fa). Condanne pesanti mentre a Palermo si sta andando a chiudere un processo che riguarda ancora una volta Obinu e poi il generale Mori, anche lui ai vertici del Ros in passato e prefetto e anche ex capo del Sisde accusati di aver favorito in qualche modo la fuga di Bernardo Provenzano nel 1995 a Mezzojuso. Due storie che mettono in grave difficoltà il Reparto d’élite dei Carabinieri, e in discussione un intero metodo di lavoro.

E poi quella trattativa fra pezzi dello Stato e Cosa nostra andata in scena negli anni della fase stragista della mafia siciliana. Una trattativa che, dopo una sentenza di un processo a Firenze, non è più possibile definire “ipotetica”. Ecco, infatti, cosa scrivono i giudici: «Ciò che conta è come appare, all’esterno e oggettivamente, l’iniziativa del ROS e come la intesero gli uomini di Cosa Nostra. Conseguentemente quale influenza ebbe sulle loro determinazioni. Sotto questi aspetti vanno dette alcune parole non equivoche: l’iniziativa del ROS aveva tutte le caratteristiche per apparire come una “trattativa”: l’effetto che ebbe sui capi mafiosi fu quello di convincerli definitivamente che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione. Sotto questi profili non possono esservi dubbi di sorta, non solo perché di trattativa e dialogo ha espressamente parlato il capitano DE DONNO (il generale Mori ha sempre evitato questi termini) , ma sopratutto perché non merita nessuna qualificazione diversa, non importa con quali intenzioni formulata, se per prendere tempo, costringere Ciancimino a scoprirsi, di contattare i vertici di Cosa Nostra per capire cosa volessero».

Quale che sia l’esito finale di questi due processi, emerge comunque un dato. Che vi sia in atto un conflitto all’interno degli apparati più delicati dello Stato, quelli che si occupano della nostra sicurezza. Un conflitto che ormai risale a più di quindici anni fa e che oggi sta arrivando a un punto deflagrante. Un conflitto arrivato a sintesi inserendosi all’interno di uno scenario nazionale impazzito, dove un intero sistema politico e istituzionale è entrato in crisi per implosione. E dove l’unica soluzione che si prospetta per le prossime settimane e i prossimi mesi è un imbarbarimento della lotta per il potere e per la sopravvivenza. A colpi di ricatto e di dossier.

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