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L’ultimo compagno del Che

Correva l’anno 1959 quando il Movimento 26 Luglio guidato da Fidel Castro riusciva a rovesciare il regime di Batista, liberando Cuba dalla dittatura.

Quarantanove anni dopo, nel 2008, Dariel Alarcon Ramirez pubblica il suo ultimo lavoro “Benigno l’ultimo Compagno del Che” e io, 50 anni dopo mi ritrovo a leggerlo e a scoprirlo dietro, dentro e oltre le magliette del Che appese ai corpi degli adolescenti di tutto il mondo.


Dariel Alarcon Ramirez vive in Francia, a Parigi, dove ha usufruito con tutta la sua famiglia dell’asilo politico. Le sue parole, ancora brulicanti di fermenti reazionari, gli sono costati la condanna a morte da parte di Fidel Castro, il lìder maximo che, dopo aver portato alla vittoria la rivoluzione nel 1959, lasciò morire in Bolivia i suoi compagni, i suoi fratelli, e tra i quali c’era anche il Che, giustiziato il 9 ottobre del 1967, mentre combatteva nella Nancahuazù per i suoi ideali, per la sua verità, per la sua rivoluzione. Benigno (questo il nome di battaglia adottato dall’autore in terra boliviana) ci scrive dall’occidente, dove si accorge che la dittatura esercitatavi si basa sul consumismo, i media e le forme di educazione, mentre nei Paesi sottosviluppati, come quello da cui egli veniva, la dittatura è manifesta, esplicita e visibile: e questa è la morte della sua rivoluzione. La stessa rivoluzione di Che Guevara e Camilo Cienfuegos, traditi entrambi dal capo della rivoluzione che si rivela non peggiore di Fulgencio Batista, e viene tratteggiato come un sano e robusto suino Orwelliano.

 

Il libro, interrotto nella sua lettura scorrevole dalla brevità dei paragrafi, lascia sfogliare le fasi della rivoluzione: la lotta armata nella Sierra Maestra, la Rivoluzione al potere, la Rivoluzione estesa ai confini africani e boliviani, la definitiva morte della rivoluzione con la scomparsa del suo Che Guevara. Una storia di guajiros e pacos, gusanos e guerrilleros, fidelisti e comunisti, Oris e Eln, che srotola lungo una struttura semplice e lineare una storia. Una storia vista da protagonista che lascia poco spazio tra le 437 pagine alla vita privata. Lancia però la sua offensiva alla fine del racconto, un attacco preciso e diretto a un sistema simile a quello che affrontò accanto ai protagonisti scomparsi della lotta. E non è a comunisti né a socialisti che vuole rendere omaggio il libro di Ramirez (che forse diventerà un film), scritto insieme a Christophe Réveille e Rubén Tamayo, bensì ai rivoluzionari. <<Il grado più evoluto della specie umana>> , l’Uomo nuovo, per dirlo con le parole del Che, che porta equità e fratellanza nel mondo, istruito nel miglior modo, freddo al culto dei beni materiali e forte di un ideale di giustizia, depone le armi per continuare a combattere con le parole, che devono e dovranno restare armate. E queste sono le parole di Dariel Alarcon Ramirez che rimane fedele a quei giorni, a quegli ideali.

 

E’ nella società capitalistica che la rivoluzione cubana compie 50 anni. Mezzo secolo trascorso per ridurre una lotta armata, di fucili e ideali, a una bandiera, una maglietta, con lo scatto di Korda che rende l’immagine, il guerrigliero, il dottore, il politico, la persona Ernesto Guevara de la Serna detto il Che, un’icona del consumismo. Ma io non posseggo magliette del Che, come non ne ho del Mahatma, come non ho crocifissi appesi al collo.

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