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Kenya, Siria: "J’accuse" di Papa Francesco contro il "silenzio complice"

Il grido di dolore che viene dal Kenya, dalla Siria, dai luoghi delle stragi è risuonato possente in piazza san Pietro ed è diventata una critica sferzante contro l'inerzia dei grandi della terra, che non è più indifferenza, ma "silenzio complice".

E’ la teologia della liberazione di Romero che ritorna prepotente nell’invettiva di Francesco.

Il silenzio non è solo ciò che consente di uccidere: il silenzio uccide.

L’equidistanza tra vittima e carnefice non è neutrale, ma è scelta di campo.

In questa nuova guerra, che non è solo attività bellica, ma finanziamento, ideologia, comunicazione, indifferenza, scompaiono i muri e i tradizionali steccati tra chi uccide, distrugge e chi tace o sta fermo.

In una concezione di guerra allargata, attività formalmente neutrali ma sostanzialmente ausiliarie e di supporto all’attività bellica diventano parte integrante della stessa.

E allora il silenzio, il disinteresse, l’indifferenza non solo favoriscono e consentono l’inciviltà e le stragi, ma esprimono coinvolgimento operoso in queste attività, criminose ed incivili.

Di qui l’invito del Papa a superare ogni ipocrisia e equidistanza, il pacifismo inerte, trasformando “la nostra conversione fatta di parole, in conversione fatta di vita e di opere”.

E’ un invito alla guerra santa?

Certamente no, la guerra è contro il messaggio di amore e di pace che è nel DNA della Chiesa e del suo pastore. E d'altra parte l’opzione militare, la guerra santa, legittima lo scontro di religioni, l’ingresso in quel circuito di morte e di inciviltà che è ciò che vuole l'ISIS.

Ma il rigetto dell’opzione militare non può tradursi nell’inerzia, nell’impassibilità di fronte all’orrore, all’inciviltà, al martirio.

Ci sono strumenti diversi dalla guerra, che, come la guerra e più della guerra, possono aiutare nella lotta contro la jihad.

Combattere il razzismo, che alimenta e giustifica l’ideologia antioccidentale dell’Isis, favorire l’integrazione, significa combattere l’ISIS. Fare terra bruciata intorno all’attività finanziaria del califfato, inaridire le sue fonti di finanziamento , colpire i suoi strumenti di finanziamento: il traffico di carne umana, i rapimenti, isolare gli Stati presunti finanziatori (come l'Arabia saudita), significa combattere l’ISIS.

Neutralizzare la comunicazione, la propaganda del califfato, significa combattere l’ISIS.

Perchè la lotta contro il razzismo è cosi timida? Perchè è così fiorente la globalizzazione dell’indifferenza?

Perchè l’attività di contrasto della propaganda del califfato va così a rilento?

Perchè l’occidente ha ancora rapporti con questi stati?

Il fatto è che sono in campo gli interessi petroliferi connessi ai rapporti con l’Arabia saudita e gli interessi elettorali connessi ad un razzismo che porta voti.

E allora Occidente civilizzato del G20, l'ONU, la Nato, l'Europa cercano di evitare ogni iniziativa che possa pregiudicare tali interessi.

Possono il petrolio e qualche voto in più giustificare questa scelta criminale che è anche suicida?

La ragione ed il buon senso direbbero di no, ma esse fanno un passo indietro quando sono in campo soldi e potere.

Il silenzio, l’indifferenza dell’occidente, come la barbarie della Jihad, sono figli del profitto e della brama di potere, che sono il filo conduttore che lega il fondamentalismo religioso del califfato e l’allergia dell’Occidente verso strumenti di lotta pacifici nella lotta contro l’ISIS.

E contro queste collusioni si scaglia Francesco, quando parla di silenzio complice. 

Foto: Wikimedia

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