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Karadzic - Il narcisista senza talento

L’arresto di Karadzic e la caccia a Mladic. Il Tribunale dell’Aja cerca di fare giustizia dei crimini di guerra in ex Jugoslavia. Ma le coperture per imputati e latitanti sono potenti. Ora si spera che la "trattativa" per la consegna di Ratko vada in porto.

La cattura di Radovan Karadzic, il 21 luglio scorso, ha riaperto uno spiraglio nelle speranze di chi sta cercando giustizia da più di un decennio per i crimini contro l’umanità perpetuati nel corso della guerra in Bosnia. L’ex presidente dei serbi di Bosnia è stato uno dei principali responsabili delle stragi di Srebrenica, delle decine di migliaia di morti dell’assedio di Sarajevo, delle innumerevoli piccole e grandi stragi di civili durante il conflitto e della terribile pulizia etnica nelle enclave mussulmane. Un narcisista, ma senza talenti. Poeta fallito, psichiatra a Sarajevo di basso livello, poi presidente di un “non Stato” e fantoccio di Milosevic e infine santone olistico, o forse sarebbe meglio definirlo ciarlatano new age. Ma con tanti e potenti protettori. La sua cattura sarebbe arrivata solo grazie a una “spiata”, arrivata al Bia, l’intelligence di Belgrado. A telefonare, hanno dichiarato gli investigatori serbi, sarebbe stato un uomo che avrebbe detto di aver riconosciuto nella voce di «un medico che praticava la medicina alternativa», il dottor Dragan Dabic, quella di Karadzic, ricercato per il massacro di Srebrenica. Poco credibile. Con ogni probabilità il governo serbo ha deciso di “sacrificare” Karadzic. I livelli di protezione in Serbia e non solo hanno funzionato per 13 anni.


Consentendo al latitante di recarsi in mezza Europa, intoccabile, di crearsi una nuova vita e addirittura una nuova identità pubblica. Su questi suoi viaggi si è creato anche il giallo del “sosia”, di un suo arresto presunto a Vienna nel 2007, di suoi continui viaggi a Milano a vedere la squadra del cuore (o meglio i giocatori del cuore serbi): l’Inter. Che l’Italia, e Milano, siano stati un luogo dove sono transitati negli anni molti dei criminali della guerra è raccontato anche nel libro di Paolo Rumiz “Maschere per un massacro” in cui l’attore racconta di un suo incontro con il super latitante Arkan in un negozio di via Monte Napoleone.
Ora continua la caccia all’altro “grande” latitante, Ratko Mladic, il macellaio di Srebrenica, l’ex ufficiale dell’esercito federale titino Jna, formatosi nella repressione dei kosovari prima del conflitto del 1991. Nel 1996 Mladic, insieme a Kradzic e ad altri leader serbo-bosniaci, venne accusato di crimini di guerra e genocidio dal Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nell’ex Jugoslavia dell’Aja, in connessione con l’assedio di Sarajevo in cui morirono 10.000 persone e per il massacro di 8.100 musulmani bosniaci l’11 luglio 1995 a Srebrenica, definita dallo stesso Tribunale la peggiore atrocità mai commessa in Europa dalla Seconda guerra mondiale. Il mandato di arresto pendente su Mladic, a seguito della risoluzione numero 61 del Tribunale Internazionale, ha concluso che ci sono ragionevoli sospetti per credere che Mladic abbia effettivamente commesso i crimini in questione, compreso il genocidio.
In seguito a questo mandato di arresto Il governo statunitense ha anche offerto una taglia di 5 milioni di dollari per la cattura di Mladic e Karadzic. Una taglia che non ha convinto mai nessuno, e che oggi sembra anacronistica visto che da molte fonti, sia dell’intelligence serba che da parte delle stesse autorità dell’Aja, si sospetta che, almeno quanto riguarda Karadzic, ci sia stata negli anni una sorta di non ufficiale “copertura” verso il ricercato proprio da parte statunitense. Le voci, finora non smentite, circolano fina dalle prime ore dopo l’arresto dell’ex “presidente santone”. In ogni caso che le coperture fossero ben più vaste di quelle fornite dalla fazione nazionalista serba è evidente visti i viaggi all’estero che Karadzic ha impunemente fatto in 13 anni di latitanza. Mentre per Mladic l’ipotesi più diffusa, come ha riportato anche l’ex generale Usa Wesley Clark che comandò le truppe Nato nella guerra del Kosovo, lo vede in Bielorussia o Russia dove avrebbe molti amici potenti e coperture efficaci.

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