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Kafka a Teheran

Film che in Iran nessuno potrà vedere, di due registi “scomunicati” ed espatriati. Alì Asgari 41enne, vive a Roma e Alireza Khatami 43enne, a Toronto. “Capillare presenza in ogni risvolto della vita quotidiana...stato teocratico che s'infiltra nel vissuto dei cittadini...resistenza civile iraniana, inquisizione, assurdità di una burocrazia”: meglio non può descriversi rispetto alla presentazione che ne scrive myMovies. Si tratta di satira che per ora non scalfisce né smuove il potere costituito di quel Paese.

L'inizio è dedicato a una ripresa panoramica di una Teheran superpopolata, con grattacieli del “potere” imponenti e abitazioni che vi pullulano attorno. In sottofondo si sentono rumori sotterranei come di un terremoto incombente e minaccioso, che gli ideatori del film, ovviamente di critica, sembrano predire. Qualcosa che scuota le usanze, le imposizioni e i costumi della teocratica repubblica.

Piccoli episodi di persone comuni costrette a confrontarsi con le norme della giornaliera burocrazia a cui devono sottostare, con un interlocutore che non si vede ma di cui si ode solo la voce. La bambina vestita modernamente che danza, in un negozio con la mamma, al ritmo della musica che proviene dalle sue cuffiette auricolari: deve essere iscritta alla scuola elementare a cui si può accedere solo indossando vestiti castigati, quasi da “religiosa”. Il papà che vuol dare un nome non ammesso dal regime al figlio appena nato. L'esplorazione, di un funzionario, dei tatuaggi sul corpo di un aspirante autista pubblico. Il produttore che vuole stravolgere il copione di un film non rispondente alla presunta cultura statal/religiosa (e pensare che qualcosa del genere avvenne 500 anni fa da parte dell'Inquisitore su Veronese per un suo dipinto!). Un direttore del personale che pretende da un uomo che cerca lavoro la conoscenza a memoria delle “sure” del Corano. La ragazza fotografata alla guida di un auto, la polizia pretende non stesse indossando il hijab, ma era suo fratello al volante e non lei. Un capo del personale che tra le norme per l'assunzione al lavoro di una giovane con buone attitudini per quell'impiego la vuole più “concessiva” nei rapporti con lo stesso.

Un film attuale come non mai ora, con le violenze e le uccisioni di ragazze iraniane che non si conformano all'abbigliamento e ai comportamenti loro imposti. Si potrebbe dire di regole coercitive, impossibili per una vita appena più libera. Ma, dato che un film può servire per confrontarsi con Paesi stranieri, per discuterne e ragionarne, come ci confrontiamo noi della “evolutissima” (?) e democraticissima Repubblica italiana? Con tutti i dottori e dottoresse, reverendissimi, dell'amministrazione pubblica? A quando un maggior tasso di cortesia e solerzia negli sportelli pubblici? A quando una maggiore debrurocratizzazione e digitalizzazione? Amministrativamente siamo più vicini a Teheran o Kabul piuttosto che a Londra o Berlino.

Il film dei due registi iraniani fuoriusciti si conclude comunque con un liberatorio terremoto (immaginato) che fa crollare i palazzi del regime. Si spera che avanzino nel progresso civile, che acceda ad esso l'umanità intera.

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