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Joe Petrosino, un ricordo

Palermo, oggi il centenario della morte di Joe Petrosino - Un poliziotto leggendario, libri, fumetti, film ne hanno raccontato le gesta. L’intelligenza, il fiuto investigativo, il coraggio ne hanno fatto un poliziotto non comune.

L’avvincente storia di un emigrato italiano, da umile lustrascarpe a primo poliziotto a sfidare la mafia italo americana. Joe Petrosino (Giuseppe Petrosino, Padula 1860 Palermo 1909) matricola 285, il migliore poliziotto a New York. Nel 1873, a tredici anni emigrò con la famiglia in America, potrebbe essere una normalissima storia di emigranti, ma non per Petrosino.
 
Un poliziotto leggendario, libri, fumetti, film ne hanno raccontato le gesta. L’intelligenza, il fiuto investigativo, il coraggio ne hanno fatto un poliziotto non comune: in un anno aveva eseguito 700 arresti, aveva arrestato per ben tre volte il capo della “mano nera”, aveva intuito la necessità della collaborazione internazionale dei governi.
 
Era amico e consigliere personale del Presidente degli Stati Uniti d’America (Theodore Roosvelt), ai suoi funerali disse: << era un uomo giusto che valeva la pena di conoscere, sono addolorato per la perdita del mio amico Joe >>. Il solo poliziotto ad avere gli onori di due funerali di Stato, in Italia e in America.
 
Il ricordo di Joe Petrosino in America è più che vivo, a lui sono stati intitolati: parchi, strade, monumenti, club, logge, associazioni, una scuola comprensiva statale, un annullo speciale emesso dalle poste, l’istituzione del Petrosino – Day (il 19 ottobre). Un poliziotto da leggenda, ma un poliziotto vero!
 
Petrosino Giuseppe, un italiano, un meridionale, un emigrante che forse l’Italia non ha valorizzato per quanto merita. A Padula (SA), la sua casa natale, oggi un interessante museo, il primo dedicato a un poliziotto, il ricordo è mantenuto vivo dal pronipote Nino Melito, presidente onorario dell’Associazione Internazionale "Joe Petrosino” se si ha la fortuna d’incontrarlo, ma basta una prenotazione, allora la visita al museo diventa un palpabile ed emozionante racconto.
 
La progettazione e la realizzazione della casa museo, a cura del Centro Morandi di Roma, è un suggestivo percorso nella storia che abbraccia il cammino di Joe Petrosino. Una storia ricca di immagini, documenti, arredi e suoni del tempo.
Petrosino, non è un semplice poliziotto, è una persona che ha la dignità scolpita nel cuore, come solo le persone oneste la possono avere. Animo sensibile, ama la musica fin da bambino, nella casa natale si trova ancora il suo violino come la sua divis, il suo sorriso e quello sguardo fiero.
 
Joe Petrosino aveva intuito le radici siciliane della mafia italo americana, allora contraddistinta col nome di “Mano Nera”, una vera e propria organizzazione criminale. E’ convinto che per sradicare la mafia in America bisogna scavare in Italia. Con un accordo tra i governi il capo della polizia newyorkese, Teddy Bingham, autorizza così Petrosino a recarsi in missione segreta a Palermo per incastrare il “the boss of all bosses”, Vito Cascio Ferro.
 
Si ferma a Roma, è ricevuto dal capo del Governo Giovanni Giolitti. Procede per Padula per un saluto al fratello Michele, e sotto il nome di copertura “Simone Velletri” raggiunge Palermo.
 
Il suo viaggio doveva essere e rimanere segreto, ma così non è, già a Padula, un paesano lo raggiunge con un giornale che ne dava notizia della sua presenza in Italia.
 
Comunque in Sicilia avviò un grosso lavoro che l’avrebbe portato a sconfiggere definitivamente la mafia, difatti trovò preziose informazioni sui pregiudicati della mafia, ed ottiene il definitivo riscontro del fatto che il capo dei mafiosi : “Vito Cascio Ferro”, gode di un’insospettabile protezione nei palazzi del potere e dalla politica romana che continua a garantirne l’impunità.
 
Ma la sera del 12 marzo 1909 è ammazzato in piazza Marina di Palermo, fu raggiunto da quattro colpi di rivoltella, alle spalle, al buio, a tradimento.
 
Qualcuno l’aveva tradito. Che strane le combinazioni in Italia, quando si ha un contatto con la politica, la mafia sa….

Commenti all'articolo

  • Di mauro bonaccorso (---.---.---.33) 12 marzo 2009 19:09
     
    L’articolo conferma, ammesso che ormai ce ne sia bisogno, l’ipotesi, anzi la certezza della sinergia tra mafia e politica, ma se parliamo di mafia e politica in termini generici, facciamo un torto alla nostra intelligenza. Sono ormai chiari i rapporti tra esponenti politici e organizzazioni criminali, insomma pupi e pupari che si possono facilmente invertire i ruoli.
    Sono stanco di trarre una morale da questi avvenimenti, preferisco ricordare la frase di Pierpaolo Pasolini che molti ormai conoscono “Io so, ma non ho le prove”.
    Joe Petrosino sapeva e cercava le prove, come molti investigatori a noi contemporanei, ma è stato isolato, e come i nostri Eroi moderni, colpito vigliaccamente, perché la mafia è soprattutto vigliaccheria o come diceva Peppino Impastato “Una montagna di merda”.
    Un ricordo.
    Mauro Bonaccorso 
     
  • Di Gianluca Bracca (---.---.---.85) 13 marzo 2009 11:23

    Da quel poco che ne so, fu lo stesso capo della polizia Teddy Bingham a ’tradire’ Petrosino.
    Joe si apprestava a compiere una missione segreta in Italia, preparata da due anni almeno. Alla sua partenza, il capo della polizia diede la notizia ai giornali e in pochissimo tempo la vicenda fu pubblicata su tutte le testate statunitensi e, a ruota, da quelle italiane: la copertura era così saltata. Nonostante questo, l’eroico poliziotto non rinunciò all’impresa e finì ucciso come tutti sappiamo.
    C’è da dire che dalle prime indagini che riuscì a compiere non ottenne quasi nulla. Egli aveva con sè una lunga lista di persone affiliate alla "mano nera" in America ed era in Italia proprio per cercare informazioni su di loro: le procure che contatto gli consegnarono le schede di questi personaggi, inesorabilmente VUOTE.
    Il muro di omertà avvolgeva in maniera netta anche le istituzioni dell’epoca.

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