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Italia: un paese immobile che fa emigrare i giovani

"Perquanto grandi possano essere le potenzialità di un ragazzo, per quanto possa avere talento e per quanto possa aver voglia di fare, nell’Italia di questi ultimi decenni, se è un figlio di nessuno, un nessuno è destinato a rimanere. (...) Cosa hanno, in più dei loro coetanei di altri paesi, i ragazzi italiani? La convinzione assoluta di partecipare a un campionato truccato".

Se un paese ha un'economia che ha smesso d’espandersi almeno trent’anni fa, e tutte o quasi le posizioni sono ereditarie, c’è ben poco spazio per fare alcunché.

Se poi chi ha raggiunto una qualunque carica, posizione o chiamatela come volete, vi sta abbarbicato fino ad essere decrepito, le possibilità per i giovani si riducono ancora di più; in Italia domini un’orrida gerontocrazia è sotto gli occhi di tutti.

Ogni volta che rientro in Patria mi stupisco nel vedere ultrasettantenni continuare a mantenersi saldamente al potere; i personaggi televisivi, addirittura, sono gli stessi di quando lasciai il paese quasi trentenni fa.

Se a questo aggiungete che le reti amicaliparentali sono le uniche in grado di fornire capitali, contatti ed entrature (queste ultime fondamentali per fare qualunque cosa in Italia, anche per trovare un posto di lavoro da operaio), ne consegue che per quanto grandi possano essere le potenzialità di un ragazzo, per quanto possa avere talento e per quanto possa aver voglia di fare, nell’Italia di questi ultimi decenni, se è un figlio di nessuno, un nessuno è destinato a rimanere.

Non lo dico solo io, lo dicono tutte le statistiche di mobilità sociale secondo le quali il nostro paese è il più immobile, e il secondo più ingiusto (primo nella differenza di reddito tra fasce ricche e povere della popolazione sono gli USA) di tutta l’OCSE.

A questo aggiungete che le imprese tendono a premiare la cosiddetta affidabilità, mantenendo cavalli bolsi nelle posizioni di responsabilità perché garantiscono il quieto vivere e non premiano in alcun modo l’iniziative dei singoli, per quanto brillanti possano essere, e il quadro è completo.

Se ha talento, ma non è figlio di, amico di o parente di, un giovane italiano o si mangia il fegato sul posto o prende la valigia ed emigra.

Quanto alla possibilità di fare impresa, risolto in qualche modo il problema del capitale iniziale, ci pensa poi lo Stato ad aiutarlo… ad emigrare.

Ci sono delle belle pagine ne “Il Mulino del Po” dedicate alla situazione socio-economica dello Stato Pontificio. L’Italia di oggi somiglia moltissimo alla realtà descritta da Bacchelli: una società ingessata e uno stato che si occupa d’impresa solo per intralciare chi la vuole fare e, soprattutto, farla nascere.

L’impresa è vista come un male, o al massimo come un male necessario; il nuovo imprenditore come un perturbatore dell’ordine sociale.

Chi ha già non ha alcun bisogno di veder sorgere nuove attività per vivere agiatamente e chi non ha è meglio che continui a non avere; non sia mai che lo status quo di questa o quella delle mille province di un paese che è tutto e solo provincia possa essere alterato dall’insorgere di nuovi protagonisti: le putride acque della nostra vita pubblica, in economia come in politica, non debbono esser smosse.

Supponiamo però che un eroico Stefano Lavori italico riesca a superare tutto questo e si avvii. Di più: che abbia un grande successo; che possa improvvisamente moltiplicare per cento il proprio fatturato servendo un mercato completamente nuovo.

Ancora una volta vi invito a dare un occhiata alle statistiche reperibili in rete.

La grande differenza tra le imprese italiane e quelle straniere non è nel modo in cui nascono, ma in quello in cui si sviluppano: tutte nascono piccole, ma mentre quelle americane o nord-europee crescono molto rapidamente, quelle italiane tendono a restare piccole.

Crescono, se lo fanno, molto lentamente.

Stefano, che è partito con i soldi prestati dal papà o dallo zio, deve rivolgersi al sistema bancario per fare il salto di qualità e di quantità e le banche italiane sono terribilmente conservatrici: i capitali, se non si è amici, parenti, conoscenti, o non si hanno solide garanzie, semplicemente non li scuciono.

Non finanziano idee e progetti se non nel campo, ritenuto tradizionalmente sicuro, delle attività immobiliari.

Stefano Lavori, ricco delle sue idee e delle promesse di un parco clienti, in un banca italiana riceverebbe solo delle grandi risate da parte di un funzionario che non sarebbe neppure in grado di capire di cosa, il ragazzo, gli stia parlando.

Possiamo discutere su quali siano le cause di questa mancanza di sensibilità imprenditoriale delle banche italiane. Io ritengo, ma è un’idea mia, che abbia a che vedere con le loro antiche origini. Nacquero cambiavalute i nostri banchieri e ancor oggi pare che di quello, di costi d’operazione, vogliano campare. Mi chiedo se non sia il fatto che siano nate come assicuratrici navali, o come organizzatrici di spedizioni commerciali, a rendere le banche anglosassoni più propense al rischio calcolato.

Come per tanti altri nostri problemi, ad ogni modo, anche la messa a frutto del nostro capitale umano non richiede solo un intervento qui o là, un ritocco a questo o quel punto della struttura economico-sociale del paese, ma il ripensamento di tutto il nostro modo di lavorare e, soprattutto, di valutare l'operato di chi lavora.

Sicuramente non tutti saranno d’accordo su quel che dico. Ci saranno quelli che diranno, e simili commenti mi capita spesso di leggere o ascoltare, che sono i giovani italiani ad essere sbagliati: che gli manca la voglia di lavorare o la capacità di rischiare; questo o quello.

Signori: ogni anno 30 o 40 mila laureati italiano, 30 o 40 mila di queste mammolette che tanto disprezzate, lasciano il paese per cercare, e molto spesso trovare, fortuna all’estero.

Raccontatevi quel che volete, ma non raccontale a loro le vostre baggianate.

Sapete cosa hanno, in più dei loro coetanei di altri paesi, i ragazzi italiani?

La convinzione assoluta di partecipare a un campionato truccato.

Chi l’ha creato, questo campionato, chi ne ha stabilito le regole e continua ad arbitrarlo, siamo noi che giovani non siamo più.

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.215) 29 agosto 2011 11:59
    Damiano Mazzotti

    L’Italia sopravvive da centinai di anni grazie ad alcune leggi informali più vere di quelle reali...

    L’articolo n. 1 della Costituzione Informale recita: "L’Italia è una popolazione fatta di sottopopolazioni che vivono di magheggi".

    Ma le specie animali e culturali che non si adattano ai cambiamenti epocali si estinguono o finiscono nel cul de sac ecologico e politico (cioè rimandano l’estinzione e la fine di qualche anno o decennio).

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