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Italia: povera, ignorante e inefficiente

Così è stata fotografata dal rapporto "Noi Italia 2014" dell'Istat.

Un compendio di dati, raccolti soprattutto nel 2012, che racconta di un paese dove una famiglia su quattro si trova in gravi difficoltà economiche e sei famiglie su dieci devono sbarcare il lunario con meno di 2500 euro il mese. Poveri in un paese che è ormai diventato più povero della media della UE allargata, vale a dire mettendo nel conto anche i paesi ex comunisti.

Il nostro PIL pro capite nel 2012 è diminuito del 2,8% col risultato che ora è dello 1,6% inferiore alla media dell'Unione, mentre, all'inizio del millennio gli era di poco meno del 18% superiore. Effetti della crisi? Certo, come alla crisi si devono un tasso di disoccupazione generale che ha raggiunto il 10,7% e, soprattutto, che più di un terzo dei giovani (il 35,3%) sia senza lavoro.

Alla crisi di deve anche il crollo dei nostri consumi culturali, cui abbiano dedicato solo il 7,3% della spesa; un buon 20% in meno dello 8,8 % riservatovi dalle famiglie del resto d’Europa. Poco a che vedere con la congiuntura, hanno altri dati che dovrebbero preoccuparci assai di più delle statistiche sulla criminalità (restiamo un paese più sicuro della media con un omicidio volontario ogni centomila abitanti contro gli 1,2 del resto dell’Unione) che occupa uno spazio spropositatamente grande tanto sui nostri mezzi d’informazione quanto nel nostro dibattito politico.

Risultato di scelte politiche vecchie di decenni, infatti, è che siamo uno dei paesi che meno investono in istruzione: vi riserviamo solo il 4,2% delle nostre risorse, contro un 5,3% della media europea. Nulla di cui stupirsi se, come registravano altre statistiche pubblicate poco fa, abbiamo una delle forze lavoro meno qualificate d’Europa e indici di analfabetismo funzionale trai più alti di tutta l’OCSE.

Di che chiedersi anche fino a che punto sia efficace il nostro sistema scolastico, quando si considera, e questi sono altri dati pubblicati ieri, che solo un’ italiano su tre ( il 36,2%) legge il giornale almeno cinque giorni su sette. (Ma le statistiche di vendita parlano di una copia ogni undici abitanti in tutto il paese e di una ogni ventiquattro in alcune zone del Meridione).

Un disamore alla lettura che si traduce anche in un 57% di noi che non “tocca libro”, mentre anche il 43% che lo fa non è particolarmente vorace se, altro dato reperibile altrove, le vendite arrivano a malapena ad un libro l’anno per abitante, inclusi gli almanacchi del calcio e i manuali di giardinaggio.

Di che chiedersi anche quale possa essere la qualità della nostra democrazia, considerato quanto e in che modo si informano i nostri elettori. In rete? Neppure lì, almeno non tanto quanto nel resto d’Europa. Legge riviste e giornali on line un italiano su tre (ma solo uno su tre di questi lo fa quotidianamente) ma la percentuale generale di chi utilizza la rete arriva a malapena al 50% contro una media UE del 70%. Un riflesso anche dell’obsolescenza delle nostre infrastrutture informatiche: la banda larga connette solo il 55% delle famiglie italiane contro il 73% di quelle europee.

Bisognerebbe investire di più in istruzione e cultura, oltre che nell’informatizzazione. Certo. In fondo è quello che hanno fatto i nostri agricoltori che, in una delle pochissime nostre storie di successo, in questi anni hanno migliorato tanto le proprie conoscenze tecniche quanto i propri prodotti. Non a caso siamo il paese con più marchi Dop, Igp e Stg: ne abbiamo 248, esclusi i vini, contro i 192 della Francia ed i 161 della Spagna.

Dove trovare, però, le risorse per questi investimenti o gli altri (un programma di edilizia pubblica; dei veri sostegni alle famiglie in un paese che è tra i più vecchi del mondo) di cui pure avremmo bisogno? Una domanda che non ammette facili risposte, Purtroppo siamo anche terribilmente inefficienti. Abbiamo una pressione fiscale del 44,1%, quasi pari a quella svedese (44,7%), ma un sistema paese e, in ultima analisi, una pubblica amministrazione capaci di fornire solo servizi di livello… beh, italiano.

Un dato che si somma agli altri per fare di noi il paese meno competitivo d’Europa; quello in cui 100 Euro di costi generano minor valore aggiunto: 126 Euro conto i 211 e passa della Romania. Un dato, quest’ultimo, che riassume tutta la drammaticità della nostra situazione; che dice fino a che punto siamo già scivolati giù per la spirale di povertà, ignoranza e sottosviluppo che abbiamo imboccato ormai da decenni.

Una spirale da cui potremo uscire solo con delle scelte che non potranno essere del tutto indolori per tutti. Nulla a che vedere con i populismi più o meno strillati e più o meno opposti a cui si è ridotta la nostra politica. Nulla a che vedere con i giochetti di potere a cui, esterrefatti, dobbiamo assistere.

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