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Israele: vince chi ha perso e viceversa

Il paradosso mediorientale.

Non era difficile da capire – ne abbiamo già parlato - quale strada avrebbe dovuto seguire il vincitore delle ultime elezioni israeliane.

L’unica strada possibile (e obbligata) era infatti segnata da due condizioni; una interna ed una esterna.

Quella interna era, banalmente, che il vincitore del voto, Benjamin Netanyahu non aveva vinto affatto. Il punto di equilibrio sancito dall’elettorato si era infatti spostato di qualche percentuale (alias seggio) verso sinistra.

Quella esterna ha un solo nome: Barack Obama e la sua avversione politica e personale verso l’attuale premier israeliano.

Di queste due condizioni la prima è palese, la seconda – per ovvi motivi – solo ipotizzabile, ma non per questo meno credibile. 

La situazione interna, determinata dal voto, ha visto l’estrema destra ultrareligiosa e ultranazionalista andare incontro ad un ridimensionamento forse determinato da una qualche forma di onnipotenza politica pregressa; convinti di poter fare di tutto e di più ritenendosi indispensabili per un governo fortemente spostato a destra, hanno alzato il tiro dell’intransigenza - dopo l’ennesima guerra di Gaza - e hanno fallito la tornata elettorale.

L’ago della bilancia si è quindi spostato su un ex deputato del Likud, Moshe Kahlon, fondatore di una nuova formazione politica, Kulanu, che deve essere sembrata affidabile per un elettore centrista poco propenso a valutare tutto solo in termini di sicurezza e più attento alle ragioni dell’economia. Kahlon è infatti noto per la sua decisa pretesa di gestire in prima persona il dicastero economico e le commissioni parlamentari ad esso collegate.

I giochetti connessi con le trattative per la formazione del nuovo governo sono durati un bel po’ più di quanto fosse necessario, ma alla fine le cose sono andate come era prevedibile che andassero.

Kulanu era l’ago della bilancia che, presumibilmente (qui si entra nel campo delle ipotesi), prestava il fianco a possibile pressioni esterne. Cioè di Washington. Che voleva palesemente limitare il potere di Netanyahu (se non addirittura fargli lo sgambetto).

Il che, in altri termini, significava impedirgli di formare un governo fortemente radicato a destra. Visto il risultato del voto ed il ruolo centrale conquistato da Kulanu, la cosa non è sembrata impossibile fin da subito.

Senza Kulanu qualsiasi altra possibilità era infatti preclusa dai numeri: non poteva resistere un governo di destra dal momento che le opposizioni (unite) avevano la maggioranza alla Knesset, il parlamento di Gerusalemme; non poteva formarsi un governo di centrosinistra non avendo i numeri per farlo vista l’indisponibilità dei partiti arabi (per la prima volta tutti insieme appassionatamente dai comunisti agli ultraislamisti) a governare con un partito dichiaratamente “sionista” come, appunto, l’Unione Sionista, fulcro del centrosinistra.

Il primo risultato di questa centralità di Kulanu è che l’ex ministro degli Esteri (dicastero quanto mai determinante per Israele), l’ultrafalco di origini russe Avigdor Liebermann (grande ammiratore di Vladimir Putin), leader dell'ultranazionalista Yisrael Beiteinu, si è dimesso dall’incarico ed ha sbattuto la porta sdegnato. Lui e i suoi 6 seggi (ne aveva ottenuti 11 alle elezioni precedenti) non faranno parte del nuovo governo.

Che nascerà quindi con una maggioranza di 61 seggi su 120. Un solo voto per stare a galla sempre e comunque. Sarebbe impossibile per chiunque.

L’unica chance nelle mani di Netanyahu sarà quindi far buon viso a cattivo gioco e accettare la strada preconfezionata insieme dagli elettori israeliani e dagli alleati americani, quella della formazione di un governo di unità nazionale con l’aborrita Unione Sionista: una Grosse Koalition, decisamente prevedibile ed ampiamente prevista, che vedrà il dicastero degli Esteri, oggi ancora in sospeso, assegnato ad un esponente di centrosinistra parecchio più gradito ai palestinesi tanto quanto ai paesi occidentali, USA in testa.

In sintesi: alle elezioni israeliane ha vinto chi in realtà ha perso e ha perso chi poi sembra aver vinto. Paradossi mediorientali.

Foto: Wikipedia

 

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