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Io che ho fondato Forza Italia vi dico: "Camerieri del Pdl, ribellatevi contro Silvio per salvare il Paese"

Lettera aperta di Alfredo Biondi agli ex colleghi del Pdl

Roma. L’intervista che l’amico Pisanu ha rilasciato a Repubblica mi conforta e allo stesso tempo non fa che accrescere la mia amarezza. Anche lui, come altri compagni d’avventura liberali e cattolici, sogna forse un partito diverso perché questo non rappresenta più i suoi valori. Non è difficile scorgere nelle sue parole il profondo disincanto che deve avergli istillato la tribolata vicenda di quest’ultima manovra finanziaria. Veti, giravolte e piccoli tornaconti personali che in alcuni casi hanno placato il dissenso, devono essere sembrati anche a lui la pietra tombale di un progetto liberale fondato su ideali non negoziabili. È nei momenti di crisi, che un partito rivela la sua capacità di tenere il timone. E invece, persino in un frangente tanto grave per il futuro del Paese, la logica funzionale ha prevalso ancora una volta sull’ideale. In molti, nel Pdl, hanno alzato la voce. Ma ciò è accaduto soltanto in funzione di una partita personale. In pochi hanno pensato invece alla partita che gioca il Paese. In troppi hanno taciuto in nome di un’utile quiescenza e di una regola sovrana che si chiama sottomissione. Sono molte le ragioni che hanno condotto il partito a questa deriva. La pretesa di modellare un organo politico a struttura piramidale, non è di per sé inammissibile. Ma senza i giusti collegamenti tra il vertice e la base, la storia ci insegna che la piramide crolla. Che essa diventa il rudere di quello che era stato. Penso a quei coordinatori che per anni sono stati i missi dominici del Presidente, che sono stati scelti univocamente sulla base della fedeltà al sovrano. Penso ai mille guasti che hanno prodotto tante caricature di satrapi locali legittimati dalla sola obbedienza. Penso alle troppe volte in cui si è lasciata cadere su tutti la responsabilità dei singoli.

Quante volte il disonesto è sfuggito alle conseguenze delle sue azioni a scapito dell’onesto? Si è violato un principio giuridico che deve valere a maggior ragione a tutela della credibilità del partito e degli uomini che lo rappresentano. Né va nascosta la complicità di una legge elettorale che ha prodotto come unico risultato un sistema premiante a uso e consumo del Principe. Assemblare una corte di nominati, significa snaturare la spontanea partecipazione di individui liberi. Rinunciare a quello che da sempre è il patrimonio più prezioso di un autentico partito liberale. Ciascuno, nel Pdl, è dominus ex domino. Comanda. Ma a condizione che si faccia comandare dal sovrano. Non è mia intenzione produrmi in giudizi sui singoli. Oggi, come nel ‘94, continuo a pensare che gli imputati siano da presumere innocenti. Ribellarsi non è tradire, e mi chiedo a quanti militano in buona fede, se non sia arrivato il momento del coraggio. È il momento di far scedere dal trono gli uomini, e di rimettere al loro posto i valori. I grilli parlanti come me, sono stati circondati da troppi Pinocchio armati di matterello. Ma c’è un’altra soluzione che non sia l’esilio per chi chi intende discutere? Per carità di Patria bisogna sancire una volta per tutte, o forse per la prima volta, che l’esercizio del dissenso non equivale a un delitto di lesa maestà, ma è piuttosto partecipazione creativa necessaria per dare linfa al dibattito. Un elemento vitale, senza il quale il partito, come la pianta, non mette foglie né radici, ma muore lentamente.

Chi mi conosce sa bene che ho sempre espresso le mie opinioni senza remore. E che non ho mai taciuto per trarre profitto dal silenzio. Qualcuno ha parlato di tradimento, ma non hanno tradito quanti hanno lasciato il partito che ho avuto l’onore di fondare con altri. Hanno tradito quelli che sono rimasti nel disagio di una cattiva coscienza, quanti hanno lasciato che il peggio avvenisse attraverso la quiescenza e la sottomissione. Se tradire equivale a difendere gli ideali che spiravano nel ’94 in un partito liberale di massa, allora sarete tutti persuasi che tradire è un atto di coraggio. A proposito della rivoluzione liberale che anche noi sognammo per questo Paese, già Gobetti disse che compierla sarebbe stata un’impresa ardua. Essa pone al centro l’individuo, la libera critica, sull’apporto di posizioni disomogenee. Ormai vent’anni fa, prim’ancora che nascesse, era difficile immaginare dunque che Forza Italia potesse trovare tale straordinaria adesione collettiva. Ma se per un verso il partito ha realizzato la sua vocazione collettiva, d’altro canto è vero che ha fallito. Il Pdl è oggi un partito di massa, ma nient’affatto liberale. È questo il partito della libertà che molti amici hanno sognato? Mi chiedo quindi se non sia giunto il momento di immaginare un incontro tra quanti, moderati e liberali, hanno a cuore l’antica battaglia per un Paese nuovo. I motivi ispiratori che hanno portato alla nascita di Forza Italia permangono in vita ancora oggi, ma sono atrofizzati perché hanno perduto la loro capacità realizzativa. Credo che possano rifiorire pertanto in un’area di centro democratica e liberale che è la sola ad avere le carte in regola per affrontare le pressanti esigenze di un mondo nuovo. Sarebbe ingenuo pensare che la realtà contemporanea sia del tutto compatibile a quella che portò alla fondazione di Forza Italia. Ma è pur vero che, come ci insegna Cavour, per affrontare momenti delicati sia necessario “tornare allo Statuto”. Affidarsi ai valori liberali tanto trascurati in questi anni, significa immaginare una nuova forza, non conservatrice e non rivoluzionaria, ma soprattutto innovatrice. Parlo di una convergenza figlia di uno spontaneo atto costruttivo, ispirata alla concezione liberale di Malagodi: democratica e riformatrice, non del tutto uniforme ma contraria alla coazione che tanto male ha fatto all’Italia. Non ho la forza personale e politica per realizzare un progetto tanto grande. Ma ho dalla mia la persuasione che in tempi tanto duri, l’equilibrio del nostro Paese poggi sopra un filo. Molti, come me, hanno lasciato a malincuore Forza Italia, ma nessuno di loro ne ha abbandonato gli ideali. Molti ripensano con nostalgia e delusione a quel partito liberale di massa che avevamo sognato. In fondo tutti gli esuli sognano di tornare prima o poi nella propria casa. Ma per tornare a casa, occorre coraggio.(testo raccolto da Francesco Lo Dico)

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di paolo (---.---.---.156) 9 settembre 2011 13:32

    Biondi e Pisanu lasciano il tempo che trovano .Questa lettera aperta mi lascia del tutto indifferente .Quando io vedevo in Berlusconi il super taroccato che è , Biondi era il suo indefesso avvocato tutto fare e Pisanu ne tesseva le lodi senza il minimo pudore .

    Siccome sono due trombati che hanno perso la "golden share " con Silvio , sostituiti da servi ancora più zelanti , allora improvvisamente diventano dei pentiti e fanno della " moral suasion" sui berluscones.
    Semplicemente penosi .Ma va affa .............. !!
  • Di vittorio Cucinelli (---.---.---.225) 9 settembre 2011 20:52

    non era Biondi che coccolava Berlusconi, con uno dei tanti LODO SALVA SILVIO?

  • Di (---.---.---.133) 10 settembre 2011 01:01

    Lo sfogo malinconico di Alfredo Biondi è un’analisi impietosa della deriva dei valori liberali nei quali egli ha creduto per una vita al fianco di uomini come Croce,Pannunzio,Einaudi e Malagodi. Con l’avvento in politica di Silvio Berlusconi, il vecchio liberale sperò nella nascita di un grande partito nel quale potessero riconoscersi tutti i moderati.Oggi,dopo quasi un ventennio,il vecchio giurista non può che constatare il misero naufragio delle sue speranze,e soprattutto dell’idea liberale.Traspare pure il suo disappunto,forse per non aver capito da subito,o per essersi accorto in ritardo, di aver contribuito a fondare una monarchia assoluta presidiata da un sovrano che impone il pensiero unico,cioè il suo,per difendere i suoi interessi e per porsi al riparo dalle inchieste giudiziarie nelle quali era incappato nella sua precedente vita da imprenditore.Oggi che il Paese langue in una crisi economica senza precedenti e rischia la catastrofe,Alfredo Biondi non può che tentare di risvegliare le coscienze di vecchi amici ed indurli ad uscire dal servile letargo nel quale si sono fatti soggiogare,ammonendo che non c’è più tempo da perdere perchè non è in gioco la sopravvivenza del Governo,ma è in serio pericolo il destino del Paese. E’bene però che Alfredo Biondi non si faccia soverchie illusioni,tanto il suo appello rimarrà inascoltato,visto che la schiena degli uomini del PDL è ormai talmente incurvata che neppure ortopedici di fama mondiale riuscirebbero a raddrizzare.Se ne faccia una ragione il giurista Biondi e consideri che con la Borsa di Milano paurosamente a picco,il sovrano è andato ad imbonire una platea addomesticata,sciorinando stantie litanie sotto lo sguardo compiaciuto di una minsistra per caso che incitava ad applaudire il nulla.Non una parola sulla gravissima situazione,ma la conferma che la priorità è una e una sola,la giustizia.Gli uomini del PDL fanno quindi quadrato attorno al loro"padrone",
    non escluso il guardasigilli che manda ad" inquisire" la Procura di Napoli,piuttosto che prendere le distanze,anche con le dimissioni,da una vicenda squallida ed indegna di un Paese civile.Alfredo Biondi è un decano delle aule giudiziarie e sa bene che la riforma della giustizia che vorrebbe Berlusconi non è quella che serve,ma è soltanto l’esigenza di paralizzare la macchina giudiziaria con il duplice obiettivo,uno immediato,che è il silenzio stampa,e l’altro,il più grave,assicurare l’impunità al malaffare.Nel marasma che incombe è del tutto evidente che non besterebbero Gasparri e compagni, e sarebbe
    ininfluente l’apporto di pochi transfughi,per sostenere il Governo,se non ci fosse il peso decisivo della Lega,anch’essa inspiegabilmente berlusconizzata al punto di non valutare neppure il rischio che sta correndo di affogare assieme al PDL. Nel suo appello Biondi non ha nominato la Lega,la ragione c’è ed è la distanza siderale che separa la sua storia personale dal bieco opportunismo di Bossi e compagni.
    Non resta allora che augurarci che riusciremo ad evitare il peggio per poterci riaffacciare sulla scena internazionale,ma sappiamo tutti che al capezzale del malato grave il medico di famiglia non basta,servono clinici di provata capacità.

  • Di vittorio Cucinelli (---.---.---.153) 11 settembre 2011 18:58

    Il nome di Biondi è indissolubilmente legato al decreto SALVA LADRI. Meglio Berlusconi (anche se c’è da vomitare) che i componenti dei consigli di amministrazione degli istituti bancari e delle belle imprese ( delocalizzate) del made in Italy. Il liberismo ha FATTO VEDERE tutti i limiti e una accertata pericolosita’. Riforma della legge elettorale. Punto e basta. gli squali del capitalismo truffaiuolo lasciamoli fuori

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