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Inutile l’incontro tra Berlusconi e Marchionne

A palazzo Chigi, non ad Arcore come avrebbe preferito Berlusconi, ad oltre un anno dall’ultimo incontro, il governo con il premier Silvio Berlusconi e l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, si rivedranno sabato. Un vertice richiesto dallo stesso Berlusconi, cui prenderanno parte il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ed i ministri dell’Economia Giulio Tremonti, del Lavoro Maurizio Sacconi e dello Sviluppo economico Paolo Romani. “Sabato – fa sapere Romani – chiederò a Marchionne l’impegno di investire nel nostro Paese e di rimanere con la testa e il cuore” in Italia. Sul tavolo la “verifica”, come sottolinea Sacconi, dello stato degli investimenti nel Paese, con il piano “Fabbrica Italia” e le prospettive di integrazione tra Fiat e Chrysler. E, quindi, alla luce di una fusione tra 2 o 3 anni, del possibile trasferimento a Detroit del quartier generale di quella che è la casa automobilistica torinese.

La richiesta che il governo avanzerà sarà “soprattutto quella di un percorso condiviso con istituzioni e parti sociali, quantomeno quelle che a loro volta vogliono condividere”, aggiunge Sacconi. La “testa” dell’azienda “deve restare a Torino», assicura Romani, sottolineando che il settore dell’auto “tra diretto e indotto rappresenta il 10% del Pil. Per noi è un pilastro”. Ma le polemiche, tra i sindacati, non si placano. È un incontro che “arriva molto in ritardo”, dice il leader della Cgil, Susanna Camusso, indicando la necessità di una “grande mobilitazione” del Paese. Il processo di “trasloco” negli Usa è “già iniziato”, aggiunge la Fiom: “Non ci si può scandalizzare oltre misura”. Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, dice di trovare “sgradevole il comportamento così sbrigativo di Marchionne”, ma dire che Fiat sposta “baracca e burattini” a Detroit è “fare allarmismo”: Torino – sostiene – manterrà le sue funzioni, anzi le svilupperà. In vista del vertice di sabato, Sacconi parla di un incontro “utile” e sul possibile trasloco della testa dell’azienda a Detroit risponde che “quelle affermazioni debbano essere collocate nella giusta dimensione”. In ogni caso per il ministro del Lavoro “se ci sarà una fusione, e noi abbiamo interesse che l’integrazione si sviluppi quanto più – evidenzia – penso che il gruppo sarà inevitabilmente multilocalizzato, cioè avrà una testa negli Usa per alcune missioni di prodotto e di mercato e una in Europa e, credo ragionevolmente in Italia, per altri prodotti e altro mercato, quello dell’Europa continentale e del Mediterraneo e altro ancora”.

Una lettura non condivisa dalla Fiom-Cgil: “Più che quattro teste mi sembrano quattro succursali. Una conterà più delle altre e temo parli americano”, afferma Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom. Marchionne “ha fatto tutto da solo” e il suo “annuncio è esattamente la conferma di tutto quello che abbiamo detto in questo anno e mezzo”, ossia “che l’Italia per Fiat stava diventando residuale”, aggiunge Camusso. Sul futuro italiano del Lingotto, il ministro dello Sviluppo economico si dice invece “ottimista”: Marchionne al telefono “mi ha detto che sono solo battute”.

Dopo quello di sabato, lunedì 14 ci sarà poi l’incontro di Romani con i sindacati sulla riconversione dello stabilimento di Termini Imerese – la cui chiusura a fine 2011 fu confermata da Marchionne proprio al tavolo a Palazzo Chigi del 22 dicembre 2009, quando parlò anche del piano “ambizioso” per l’Italia – in vista della firma dell’accordo di programma fissata per il 16. A me sembra che l’incontro tra Berlusconi e Marchionne sia un incontro di “facciata”, voluto soprattutto dal primo, principalmente per motivi che nulla hanno a che vedere con il futuro della Fiat. Berlusconi molto probabilmente vuol dimostrare che la sua attenzione è soprattutto rivolta ai principali problemi che attualmente contraddistinguono il nostro paese, e il futuro della Fiat è senza dubbio uno di questi, quando in realtà le sue vere e prioritarie preoccupazioni sono altre e riguardano soprattutto le sue vicende giudiziarie. Del resto anche se realmente dal governo venisse una richiesta forte a Marchionne per mantenere il “cervello” della Fiat, probabilmente dopo essersi fusa con Chrysler, a Torino, Marchionne non ne terrebbe affatto conto. Per diversi motivi, tra i quali la crescente autonomia decisionale che il manager di origine canadese ha assunto non solo nella gestione della Fiat – la famiglia Agnelli è stata quasi “commissariata” e conta oggi poco o niente come del resto avvenne in passato con Cesare Romiti – ma anche nei rapporti tra Fiat e soggetti esterni, tra i quali le autorità governative italiane, il cui potere contrattuale è peraltro quasi inesistente, diversamente da quello che succede negli Stati Uniti dove la Chrysler è stata beneficiata di consistenti aiuti economici da parte governativa. E proprio quest’ultimo fatto dovrebbe essere la vera motivazione che spingerà Fiat e Chrysler, dopo la fusione, ad avere un unico “quartier generale”, ovviamente negli Stati Uniti.

Con buona pace di Bonanni il quale fa finta di credere che discutere di questa eventualità sia solo fare allarmismo. Ma ormai non stupisce più il fatto che il segretario della Cisl sia completamente “asservito” a Marchionne. Sembra, infine, che Berlusconi abbia fatto di tutto perché l’incontro si tenesse ad Arcore, ma questa volta ha dovuto, “obtorto collo”, rispettare la volontà di Marchionne…

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