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Intervista a Giorgio Canali: cuore anarchico e rabbioso del rock italiano

Il percorso artistico di Giorgio Canali non è di quelli che dimentichi facilmente. Nato a Predappio nel 1958, dopo aver cantato in diversi gruppi punk della scena romagnola ha lavorato come tecnico del suono per PFM e Litfiba, ha suonato poi nei CCCP e nei CSI e ha militato nei PGR. Nel 1998 l'esordio da solista con Che fine ha fatto Lazlotòz, che lo ha portato, nell'autunno 2011, a pubblicare Rojo, sua sesta prova discografica (la quinta coi Rossofuoco).

Programmatico già dal titolo, irruento e corrosivo, Rojo è composto da 11 poesie dinamitarde, intrise di nichilismo e disincanto, anche quando parlano d'amore. Riduttivo pensare che si tratti semplicemente di canzoni di protesta, la rivoluzione - o piuttosto la sua mancanza - diventa il pretesto denunciare la stupidità che regna sovrana, quella che rende impossibile ogni cambiamento in positivo. Canali ancora una volta mette il dito nella piaga, quella di una società sorda e cieca, fondata sempre più sull'ignoranza e sul razzismo, incapace di rivendicare una reale inversione di rotta e composta da un popolo sedato e ridotto a marionetta nelle mani del potere.

Lo intervisto al telefono e mi colpisce immediatamente la sua voce profonda e ruvida, come i suoi testi del resto, ventisette domande per cogliere le sue riflessioni sul presente e farmi raccontare il suo ultimo disco, tagliente, denso, incazzato, così come la sua visione del mondo. Il musicista è diretto, non le manda certo a dire, come gli impone il suo cuore "anarchico", ma anche anoressico, anticlericale, refrattario ai compromessi, irriverente e dissacratore. Questo è Giorgio Canali e il suo rock signori, animale ferito e disilluso che ringhia al mondo tutta la sua rabbia e la sua passione e lo deride. Prendere o lasciare.

 

Rojo è uscito nel 2011, a due anni di distanza da Nostra Signora della dinamite. Presentando il disco hai dichiarato di aver dovuto superare una crisi creativa poiché guardandoti intorno prevaleva in te una rabbia impotente che ti faceva solo venir voglia di bestemmiare.

C. - La crisi creativa ha un motivo particolare, è quella di quando hai la sensazione, la consapevolezza - anche se può sembrare un po' presuntuoso - di aver fatto un disco della madonna e scrivere il capitolo successivo non è così facile, quindi è un po' un blocco. Ero convinto di aver tirato fuori il mio bell'album con Nostra signora della dinamite e, o lo superi, o non fai uscir niente a quel punto lì. Quindi ci ho messo un po' ad entrare nell'ordine di idee, poi ad un certo punto mi è venuto improvvisamente in mente che come mi ero rotto di parlare delle cose che mi succedevano attorno con Nostra Signora della dinamite parlando più che altro di me, potevo anche rimodificare la mia rotta e ricominciare a parlare delle merdate che mi succedevano intorno. E' partita così, poi mi svegliavo la mattina con in testa la Carmagnole che è un canto della Rivoluzione francese... così è venuto fuori piano piano Rojo che musicalmente era già pronto da almeno sette-otto mesi perché noi abbiamo un modo di comporre piuttosto particolare, ci si chiude in studio con i registratori attaccati e si improvvisa, quindi le canzoni esistono, ma non esiste assolutamente né la linea melodica né il testo. Poi tocca a me, io a quel punto ho iniziato a tirar fuori delle cose che parlavano del mondo che mi circonda ed è venuto fuori Rojo.

Nostra signora della dinamite era un disco più intimista, autoreferenziale, poetico e doloroso. Avevi deciso di orientarti più sul privato, stanco anche delle strumentalizzazione dei tuoi testi, dell'essere erroneamente considerato un demagogo. Ora invece sei tornato sui temi sociali, anche perché la rivoluzione sembra essere il filo conduttore dell'album.

C. - Sì più o meno, oppure è la mancanza della rivoluzione che mi scatena. Non è che ce l'ho con chi comanda, io ce l'ho con quelli che si lasciano comandare, che sono molti di più e molto più stronzi e molto più stupidi spesso.

Nella formazione dei Rossofuoco ci sono stati degli avvicendamenti significativi, se n'è andata Claude Saut, la bassista storica, sostituita da Giovanni Fanelli ed è entrato Stewie Dal Col come terza chitarra. Quali cambiamenti a livello musicale ha comportato tutto ciò?

C. - Sai, quando un gruppo da quattro diventa un gruppo da cinque e due persone nuove sono un bassista e un chitarrista è chiaro che il mondo cambia, l'universo cambia. Steve Dal Col, chitarrista dei Frigidaire Tango e dei Radiofiera ha un bagaglio di new wave e rock americano notevolissimo. Nanni, essendo un uomo che suona il basso, non può assolutamente suonare come Claude Saut, quando rivoluzioni un equilibrio nel gruppo vuol dire che cambia il suono e cambia anche l'atmosfera. Claude era danzante, morbida e tonda quando suonava e quando componeva col basso; Nanni è nervoso e isterico, quindi è chiaro che musicalmente la cosa cambia. Sono contento che le cose cambino perché rimanere statici non fa mai bene a nessuno.

Per quanto riguarda invece il titolo, il termine "rosso" ti accompagna da sempre in un modo o nell'altro da quando hai iniziato la tua avventura solista. Come è nata l'idea, da che cosa.

C. - L'album avrebbe dovuto chiamarsi Album rosso, appunto per questa mia monomania per questo colore, che poi è il colore che una volta avevano i miei capelli prima di diventare biondi; è il colore delle bandiere di mio padre, stalinista convinto, è il colore della Romagna e dell'Emilia dove sono nato e cresciuto, il colore del sangue se vuoi... è qualcosa di diverso rispetto agli altri colori della tavolozza. Ho sempre avuto questa fissa, addirittura nel primo album coi Rossofuoco nel 2002 in ogni canzone c'era o la parola "rosso" o "fuoco" quindi era una specie di atteggiamento maniacale, questo avrebbe dovuto chiamarsi Album rosso ma sarebbe stato eccessivo perché sembrava un po' troppo autocelebrativo, come l'album bianco dei Beatles per intenderci, poi doveva chiamarsi Risoluzione strategica #6, essendo il sesto album, ma mi sembrava perseguibile dal punto di vista legale, visto che era un comunicato che veniva rilasciato dalle Brigate Rosse nelle cabine telefoniche e a quel punto è diventato Rojo, semplicemente perché in quattro lettere definisce un colore e uno stato d'animo.

Le tue non sono semplicemente canzoni di protesta, ma anche di riflessione. La canzone di apertura Regola #1 da un lato sembra - almeno ad una lettura superficiale - un inno a "sfasciare tutto", ma in realtà non fai altro che deridere chi partecipa alle manifestazioni di piazza come se fosse "un reality show". Anche in Carmagnola parli di "belle adunate oceaniche", di piazza da "un milione di brioches"..

C.- Non vado più in là per non beccare delle denunce! Scherzo, beh sì, il fondamento è quello, il fatto di prendere per il culo i movimenti, i finti movimenti, gli pseudo movimenti. E' pieno di pseudo movimenti in questo momento, dappertutto e a qualsiasi livello. Poi è chiaro che in mezzo a tanta inutilità c'è anche qualcuno che riesce a mettere a fuoco le cose da fare e prova a farle nel suo piccolo, però vedo molti più movimenti inutili, ridicoli e patetici di quanti ne vorrei vedere. Trovarsi tutti quanti in piazza contro il governo Berlusconi e fare i bravi bambini non vuol dire un cazzo, non vuol dir nulla. A quel punto o tiri giù tutto a martellate oppure te ne stai a casa tua aspettando che vengano a prenderti. Tutto lì.

Chi sono i "barbari" di cui parli in Risoluzione strategica # 6?

C. - "Tra una calata di barbari e l'altra" e "il Medievo è tornato" c'è da scegliere tra tre, quattro tipi di barbari; forse i primi sono quelli che rivendicano il fatto di non esser barbari perché si identificano in quella figura che è Alberto di Giussano, il cavaliere che era predestinato proprio a salvarli dalla calata dei barbari, poi ci sono i leghisti, altri barbari sono quelli che ruttano mentre mangiano guardando la televisione, specialmente Canale 5. I barbari sono tanti, ad un certo punto mi è sembrato di vivere una specie di Rinascimento che era il rifiorire di una certa libertà, ti parlo del '68 e del '77 e anche dell'86 però subito dopo, specialmente in Italia, sono arrivate tutta una serie di cose che hanno fatto sì che ogni possibilità di migliorarsi e di diventare "superiori" ci è stata cassata e la tv ha fatto parecchio in questo, quindi tra i barbari c'è anche quel signore pelato che fino a poco tempo fa era il capo del nostro governo. 

Sempre in questa canzone tratteggi la figura di un leader piuttosto particolare, proiettato a preoccuparsi più della sua tavola da surf che a guidare le rivolte di piazza. Ti riferivi a qualcuno in particolare?

C. - Mi divertivo a pensare che chi ha i mezzi sia mentali che teorici per fare le cose, quando vede che tanto la gente pensa solo al suo piccolo orto, dice "andate a cagare, io il leader non lo faccio". Può essere chiunque, nella mia testa è uno tra il Che e Castro, peccato che uno sia morto e l'altro sia troppo vecchio per fare del windsurf, però potevano avere quella faccia lì, con gli occhiali a specchio chiaramente.

Che cosa è cambiato da quando cantavi 1, 2, 3, 1000 Vietnam?

C. - Anche lì era una bella presa per il culo nei confronti delle mie belle idee, i miei ideali, mi prendo per il culo da solo e prendo per il culo anche quelli che ogni tanto ci credono. 1, 2, 3, 1000 Vietnam altro non era che un viaggio ipotetico in una Cuba pre-castrista dove Hemingway andava, e durante il regime di Batista si faceva i suoi bei cocktail al bar. Voglio dire, era una persona che parlava tanto di libertà e poi alla fine era coccolato dal regime di Batista. Non che questo lo squalifichi, però essere "puri" è difficile e mi diverte un sacco andare a rimestare in questo tipo di equivoci.

Ritieni sia possibile nel tuo orizzonte una resistenza armata contro gli oppressori?

C. - Dipende da quali sono gli oppressori. Si sbaglia sempre il bersaglio, avevamo un oppressore pubblico, un nemico pubblico n. 1 e per cacciarlo via abbiamo messo su degli oppressori ben organizzati e in sintonia con l'ordine mondiale, voglio dire.. .e dobbiamo anche essere contenti di averlo fatto. Non so, chi comanda di solito è sempre non più intelligente, ma molto più furbo di chi sta sotto.

Che cos'è per te la democrazia? Come la immagini?

C. - La democrazia è fondamentale. La democrazia però avrebbe bisogno anche di un po' di fascismo, è impopolare però dovrebbero votare e procreare solo quelli che riescono a passare un test del Q.I. Il problema è poi che hai la possibilità di truccarli questi test del quoziente intellettivo, quindi è praticamente un'utopia assolutamente irrealizzabile, la democrazia non funziona perché gli idioti sono troppi. E' più videocrazia che democrazia. Oltre a chiamarmi fuori come ho sempre fatto, avendo una specie di cuore anarchico, non vedo troppe strade possibili e forse non me ne frega neanche molto.

Nel 2007 hai dedicato l'album Tutti contro tutti a Federico Aldovrandi, spesso nei tuoi testi ricorre un atto d'accusa nei confronti delle forze dell'ordine. Secondo te esiste una polizia democratica?

C. - E' una questione di divisa... io purtroppo sono come i cani, mi agito e abbaio quando vedo una divisa che sia il postino, il benzinaio, uno sbirro o un finanziere o chiunque abbia una divisa con un cappello in testa mi girano i coglioni, non ci posso far niente, è più forte di me, poi è chiaro che se uno si mette a razionalizzar le cose... non so che dirti, la divisa mi sta sui coglioni anche perché spesso sono addosso a dei coglioni, quindi non si può far niente, sai l'uomo è nato e cresciuto per prevaricare gli altri, nel momento in cui metti a uno una divisa, quella diventa uno strumento per dire "io sono più di te", "io comando più di te", è normale che una buona parte della gente in divisa cerchi di approfittarne. Tutti gli sbirri sono pecorelle. E' una cosa sacrosanta e non ci piove. Non ci piove proprio.

In Morire di noja dici che non ci resta altro da perdere oltre alla libertà di scegliere tra "la noja e la noja, tra due tipi di pillole" e tanti sbirri per "sedare la nostra voglia di essere vivi e liberi". Ma cosa intendi esattamente con la parola "noia"?

C. - Noja è tutto quello che ci circonda, è il mondo com'è, quello che ti regolamenta gli orari degli aperitivi, ti regolamenta persino il fatto di non poter uscire dopo le 23 con un bicchiere di vetro in mano, perché piano piano ci stanno facendo fare quello che vogliono, sono tutti piccoli tentativi, tutte prove di totalitarismo e sono esperimenti che funzionano. La gente ad un certo punto ha cominciato a mettersi le cinture di sicurezza, caschi in testa, noi più tardi degli altri in Europa perché il casco in testa vuol dire nascondersi e quindi, col pericolo delle bande armate, il casco in testa è passato molto più tardi rispetto agli altri paesi europei. Son tutte cose assurde, ci manca che ci vengano a controllare se mettiamo il preservativo mentre scopiamo e poi siamo a posto. Si chiamano prove di totalitarismo e noi ci caschiamo sempre perché poi alla fine facciamo qualsiasi cosa ci venga detto o imposto.

Nel brano La solita tempesta canti con Angela Baraldi. Com'è nata questa collaborazione, com'è avvenuto l'incontro con lei?

C. - L'ho conosciuta dopo averne sentito parlare per almeno una decina d'anni da amici in comune, a lei dicevano la stessa cosa, che avremmo dovuto conoscerci. L'opportunità di farlo è nata quando il Comune di Reggio Emilia, per la celebrazione del trentesimo anniversario della morte di Ian Curtis, ci ha proposto di fare un omaggio ai Joy Division. Alla fine abbiamo scoperto di esser fratelli, quindi è normale che facciamo cose insieme, in questo momento stiamo anche lavorando al suo album. Il tributo ai Joy Division è poi diventato un tour ed è interessante perché è diverso da qualsiasi altro omaggio a qualche artista; è una rivisitazione veramente personale..poi Angela è spaventosamente brava a cantare i pezzi nel registro originale con la voce bella bassa, è una cosa divertente e siccome è richiesta la facciamo.

Sempre nella canzone La solita tempesta parli di un amore che "riduce a brandelli", così come i Joy Division cantavano di un amore che ci avrebbe fatto a pezzi e straziato..

C. - E' chiaramente un omaggio a Ian Curtis, non rivendico assolutamente quelle parole, mi capita di prendere frasi e parole da libri e da film, da canzoni di altri e di rovesciarne anche il senso e il significato, è uno dei miei trucchi di scrittura, neanche tanto originale, ma ogni tanto saltan fuori delle cose divertenti. 

Del resto è anche il tipo d'amore che hai sempre cantato, non certo quello da canzonetta romantica con le parole in rima..

C. - Ma sai, non è colpa mia... Les Rita Mitsouko, un gruppo francese degli anni '80, aveva una canzone bellissima che si chiamava Les histoires d'amour finissent mal en général, le storie d'amore finiscono male in generale. C'è dell'ironia in una frase del genere, però è così, la precarietà delle cose, il fatto che prima o poi finiscono, spesso più prima che poi, rende tutto molto più affascinante ed è per quello che poi ci si scrive e ci si racconta sopra; se una volta che hai trovato l'amore, dura fino alla fine dei tuoi giorni, nessuno ne parlerebbe e sarebbe mortale così. Le storie d'amore al 90% esplodono, se ne vanno in pezzi ed è normale che chi crea emozioni ne parli.

In Rojo sono presenti alcune ballate, tipo Treno di mezzanotte o Orfani dei cieli, ma anche tra le pieghe di questi pezzi più intimisti si insinua comunque una critica al sociale. In Controvento ad esempio, una donna "si infila" tra i tuoi pensieri, le immagini simili "a scariche elettriche", mentre in sottofondo gracchia una radio, la "voce del regime"..

C. - E' normale, il privato si mescola sempre col pubblico, il mondo invade anche i momenti più intimi, penso che sia normalissimo, separare le due cose è terrificante. E' un clima normale, che torna sempre nelle mie canzoni, il personale e il pubblico che si mescolano in una maniera micidiale, d'altronde è così che viviamo. Quando stai facendo l'amore con una persona e ti viene in mente improvvisamente che hai dei casini economici o mentali le cose vanno a "catafascio"..è difficile avere momenti puri, dedicati solo ad un tipo di esperienza nella tua vita.

In Sai dove compatisci chi spreca il suo tempo "col rosario tra le dita" e ne sgretoli le certezze "da sagrestia". Nel tuo linguaggio ricorre spesso la bestemmia... ma perchè la usi? E' un mezzo per sfogarti, per infastidire qualcuno...

C. - Non mi sfogo affatto con le bestemmie, anzi, cresce ancora di più in me l'incazzatura quando bestemmio, semplicemente si chiama "pan per focaccia". Nel momento in cui io devo ascoltare tutti i giorni una marea di concetti di merda espressi spesso da cattolici tedeschi che in nome della loro fede rivendicano cose tipo che abortire è un crimine, che decidere di voler morire se sei destinato a morire è un crimine, che la procreazione assistita è un crimine, alla fine ne sento talmente tante di cazzate che mi mettono a disagio e mi fanno star male, così cerco semplicemente di rendergli pan per focaccia. Nel momento in cui so che ai cattolici credenti la bestemmia da fastidio la uso! Chiaro, è una specie di rappresaglia, di ritorsione, chiamala come ti pare. E' stupido bestemmiare? Non me ne frega niente, perché loro sono molto più stupidi di me, quando si mettono a cercare di diffondere i loro pensieri.

C'è stata anche la questione della canzone Lettera del compagno Lazlo al colonnello Valerio in cui compaiono due bestemmie, esclusa dalla compilation Materiali resistenti. Hai dichiarato ironicamente che probabilmente non erano piaciuti "i giri di armonica"..

C.- Non credo sia stata esclusa per la presenza delle bestemmie, ma semplicemente per quello che c'era espresso. Nel momento in cui la sinistra italiana e specialmente quella emiliana è diventata un enorme calderone cattocomunista, sono concetti un po' pesanti. La bestemmia ha aiutato sicuramente l'esclusione però, secondo me, il "non dovevamo fermarci", di fronte all'ordine di disarmarci, il "dovevamo continuare", ("si fa con lo schioppo l'unità nazionale, mandando ogni uomo vestito di nero, prete, fascista o sbirro del re al cimitero, invece sono ancora tutti là coi sorrisi smaglianti") è molto più pesante della bestemmia. E' il politicamente corretto che diventa praticamente la bandiera di tutte queste persone.

Qual è il tipo di pubblico che non sopporteresti mai ai tuoi concerti?

C. - Quello che accende gli accendini quando suono le ballate d'amore strappamutande, mi da proprio fastidio, infatti spesso mi fermo e cambio canzone se continuano gli accendini accesi. Non sopporto il pubblico facile, quello che si mette a fare "chi non salta Berlusconi è", quello del "tutti insieme con le mani". Mai mi vedrai a batter le mani incitando il pubblico a farlo tutti assieme, il pubblico pecora non mi piace, che è un po' il "pubblico-sbirro" insomma. Infatti penso di averlo selezionato, è poco ma buono il mio pubblico di solito, a parte qualche rara eccezione, specialmente quando mi vengono a chiedere di Giovanni Lindo Ferretti alla fine dei concerti, quello non lo sopporto.

Durante i live ti ho visto sbattere la testa contro il microfono. E' una sorta di esperienza catartica?

C. - E' una figata, fa un sacco di rumore, un po' di male, è divertente, è liberatorio... è catartico in effetti, anche se non avrei mai usato quel termine!

 Oltre ad essere un musicista e un cantante sei un formidabile produttore, hai prodotto i Verdena, Le luci della centrale elettrica, solo per citarne alcuni. Cosa pensi del panorama indie italiano?

C. - C'è sempre qualcosa di figo in giro e c'è sempre un sacco di merda in giro, non è una novità. Ci sono gruppi fighi che non emergeranno mai, nonostante siano già al terzo o quarto album, ci sono gruppi che fanno un mezzo album e vengono celebrati come se fossero i nuovi marziani. E' chiaro che nel momento in cui la tecnologia consente a molta più gente di registrare, le proposte aumentano, ma non è detto che aumentino anche quelle di qualità. Io cerco di selezionarle, prima di tutto, quando faccio il produttore e almeno ultimamente, cerco di farlo solo con amici, con gente che conosco bene e a cui voglio bene, indipendentemente da quello che fanno, non è necessario che mi piaccia da morire quello che fanno musicalmente o quello che scrivono, bensì che siano delle persone fighe con cui è piacevole fare delle cose. Ho anche riaperto la mia etichetta che era stata sepolta all'inizio degli anni '90 e si chiama Psicolabel, le prime uscite sono i Radiofiera, i Muletta, Operaja Criminale. E' uscito anche l'album di Ilenia Volpe che ho prodotto io. Mi diverto a fare il produttore, però solo con gli amici.

Hai partecipato al video della canzone di Ilenia Volpe La mia professoressa di italiano in cui interpreti un prete, ma com'era l'alunno Canali? E quali sono state le letture che ti hanno influenzato nel corso della tua vita?

C.- Boh, non mi ricordo più com'ero a scuola, son passati anni, epoche intere, ere... Per quanto riguarda le letture Céline, Vian, Calvino, Queneau, Stefano Benni, Sandro Veronesi, ho sempre letto un sacco, anche se ultimamente, essendomi calata la vista - da buon vecchio - leggo di meno.

Antonin Artaud, il commediografo francese, ha detto che "nessuno ha mai scritto, dipinto, scolpito o inventato se non per uscire dall'inferno", ti ritrovi in questa definizione?

C. - Certo, è chiaro, crei quando stai male, quando stai bene non hai nessuna esigenza di metterti a scrivere, a dipingere o a ritagliare origami di carta, lo fai quando non stai bene, quando sei disturbato in qualche maniera, è normalissimo, è alla base dell'arte, quella vera. Conduco da sempre una piccola battaglia con il nome di Lazlotòz, che dava il titolo al primo album, che è quel tipo che nel '72 è andato a S. Pietro a spaccare a martellate la Pietà di Michelangelo. Michelangelo fa cagare, non è un artista, è un ottimo artigiano, bravissimo sì, ma senza nessun tipo di emozione. Dà emozione ai bancari, agli impiegati del catasto, alle professoresse di diritto, Mantegna è un'altra roba. La differenza sta nel non aver chiaro questo concetto. La creazione nasce dalla sofferenza o dal travaglio.

Che fine ha fatto quindi Lazlotòz? Come dicevi, nel 1998 sei partito proprio da questa piccola inchiesta personale...

C.- Probabilmente si trova in qualche ospedale psichiatrico, io pensavo lo avessero chiuso buttando via la chiave, invece lo han mollato praticamente subito dopo, è stato rimpatriato... è in Australia chissà... penso che sia da qualche parte in una clinica anche perché tanto normale non doveva essere, nonostante fosse un genio. Sì, è un genio probabilmente.

Hai seguito Sanremo? Chi butteresti giù dalla torre tra i musicisti che si sono esibiti sul palco dell'Ariston?

C. - Ho guardato Sanremo su Youtube, gli interventi di Celentano, Patti Smith con i Marlene, Bersani con Bregovic, li avrei picchiati tutti e due col badile, perché Bersani è un musicista spettacolare secondo me, ma ogni tanto fa dei passi falsi di merda come questo ad esempio. Bregovic non lo sopporto, ma tutta la musica etnica in generale mi fa incazzare moltissimo. Molto probabilmente giù dalla torre butterei Morandi e il direttore artistico del festival, anzi il festival direttamente, secondo me conviene. Per quanto riguarda la polemica intorno a Celentano è tristissimo che abbiamo bisogno di questo tipo di manifestazioni ed esternazioni per accorgerci che esistono dei problemi, come è tristissimo che i momenti di rivendicazione negli ultimi anni spesso siano passati attraverso Striscia la notizia, la tv ha fatto molti danni negli ultimi 25 anni, per fortuna c'è un altro mezzo che è Internet che riesce ad essere più efficace da tutti i punti di vista e quando saran morti anche quelli che non riescono ad utilizzarlo, visto che ce ne sono ancora un sacco, comincerà a diventare un problema anche Internet, nel senso che internet rovinerà il mondo.

C'è qualcosa che rimpiangi, musicalmente intendo, degli anni '80 e '90?

C. - Rimpiangere è proprio una di quelle cose che non mi appartiene, non ce la faccio, mi dà quasi fastidio, mi sembra un po' come i vecchi rimbambiti che pensano che quando c'erano loro andava tutto bene. No, il rimpianto è una cosa che non esiste, sono sempre stato quasi un futurista, mi piacciono le cose nuove se son fighe, anche se spesso fan cagare però... non rimpiango nulla.

Che cosa intenerisce Giorgio Canali? C'è qualcosa che suscita la tua tenerezza?

C. - Un sorriso la mattina mi intenerisce parecchio, quando ti svegli a fianco della persona che ti sorride e a cui vuoi bene, quello sì, mi intenerisce. Questa è una delle poche cose che mi inteneriscono, poi ci sono tante cose che funzionano in negativo e mi fanno venir da piangere, ad esempio, quando guardavo ancora la tv, il TG2 Costume e società mi faceva venir da piangere ogni volta, ma con le lacrime agli occhi, ogni volta che sentivo le stronzaggini arrivare a quei livelli mostruosi, quella lì è una cosa che mi commuove.

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