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In memoria di Abdesselem el Danaf: merci, uomini-operai e logistica

La tragica morte del lavoratore egiziano Abdesselem El Danaf, 53 anni e padre di cinque figli, avvenuta la notte del 14 settembre, travolto da un Tir sul luogo di lavoro - Gls a Piacenza - durante una fase di rivendicazione sindacale, ha portato all’attenzione nazionale le condizioni di lavoro e la dinamica operativa di un segmento lavorativo rimasto sempre complessivamente marginale nella conoscenza collettiva, la Logistica, con tutti i settori correlati: carico, scarico, sistemazione, selezione e “marchiatura”, trasporto sulle lunghe e micro distanze, delle merci.

Una rete gigantesca, avvolgente interamente l’Italia, che dai “punti di raccolta” per la distribuzione utilizza in maniera preponderante le ruote gommate; a “beneficio” dell’inquinamento e del traffico autoveicolare. Anche i porti e gli aeroporti svolgono una funzione di forte rilievo. Le merci internazionali provenienti da lontano viaggiano via mare nei famosi container, stipati a decine di migliaia in enormi navi di trasporto ( er singola unità navale in quelle di ultima generazione) con pochissimi marinai a bordo. La marea umana, per scaricare, caricare sui Tir e poi consegnare, attende a terra, per lo svolgimento delle variegate funzioni.

Operando dai numerosissimi punti di raggruppamento, spedisce e disloca prodotti di tutte le specie: dell’agroalimentare – freschi e lavorati – alle bottiglie d’acqua, dall’abbigliamento a tutte le “cineserie”, prodotti tecnologici micro e macro, e tutto ciò che alimenta quotidianamente la nostra articolata e complessa struttura sociale e di comunità. Così come viene costantemente esortato dalle strutture economiche neoliberiste nazionali ed internazionali che guidano questo enorme ed impazzito burattino che influenza e comanda i nostri veri o presunti desideri. Incessantemente. Un’enorme ragnatela di mezzi di tutte le fatture, senza vuoti temporali, avvolge le strade italiane, compreso, in maniera sempre più grande, quelle urbane, con un ritmo sempre più crescente.

Glia addetti del comparto Logistica sono oltre un milione. La parte preponderante lavora nell’indotto. Con questo gentile termine si identifica il mondo del subappalto, che a sua volta si suddivide in svariati ulteriori livelli. Al sub di primo livello segue sempre il sub del sub, e ancora più sub. Più si scende più si accrescono le condizioni di sfruttamento del lavoro. 

Una vera e propria marea umana opera senza appropriati contratti, regole, diritti (quelli elementari). Gli “ultimi” – quantitativamente numerosi - sono retribuiti con bassissimi salari, la precarietà è dilagante. Strumenti principali d’uso sono le cosiddette “cooperative” e il lavoro a chiamata. Molti lavoratori vanno sui luoghi, aspettando la richiesta di prestazione, per lavorare, se verrà.

Con la liberalizzazione selvaggia ormai strutturalizzata, che “onora” la competizione senza limiti, la pratica del subappalto a go-go, altrimenti raffinatamente detto esternalizzazione (dei processi produttivi), è ampiamente praticata in tutti i comparti produttivi nazionali.

Il settore della Logistica, non comprendente nomi storici e “nobili” del padronato e delle attività lavorative, non è masi stato in appropriata evidenza nelle cronache informative e nelle valutazioni socio-economiche nazionali. Eppure il comparto “ muove” oltre il 13% del Pil nazionale con oltre 200 miliardi di euro. Negli ultimi anni molte iniziative di lotta, dure ed incessanti – per lo più gestite dalle organizzazioni sindacali di base - sono state condotte dai lavoratori nei principali punti degli immagazzinamenti della logistica, siti per lo più nelle aree del centro nord, cercando di “spezzare le catene” del servaggio.

Con la globalizzazione selvaggia sempre più crescente, lo sviluppo e il consolidamento costante degli ipermercati e delle variegate strutture commerciali (specie delle multinazionali dove viene venduto di tutto), l’incremento gigantesco degli acquisti online da parte dei singoli “consumatori”, dove si ricerca il fantoccio del prezzo più basso, senza porsi altre domande – con la conseguente già avvenuta cancellazione di centinaia di migliaia di punti vendita nelle aree urbane nazionali, e l’ omologazione subdola dei comportamenti - la caratteristica del settore è ormai complessivamente cambiata. In maniera enorme sono cresciuti i magazzini di smistamento. In gran parte servono operai per le operazioni di carico e scarico. Un lavoro di grandissima fatica e, quindi, date le condizioni in essere, di sfruttamento.

Nella stragrande maggioranza dei casi queste attività sono svolte da lavoratori immigrati. Così come succede nelle campagne in molte attività agricole. Il lavoro sporco delle raccolte viene fatto fare ai migranti (utilizzati a centinaia di migliaia… tanto si sa loro hanno “meno esigenze”, senza patemi salgono e scendono per l’Italia, si” accontentano” di pochi euro. Il ritorno dello sfruttamento selvaggio si svolge sotto gli occhi di tutti, cittadini, gestori istituzionali, forze politiche e sociali. Si blatera, ma nulla cambia in maniera sostanziale! Si mangia e si beve, o si gode del “gingillo” portato a casa dal corriere, lo sfruttamento non ci riguarda, fino a quando non ne restiamo intrappolati! E’ l’esaltazione estrema dell’egoismo cieco imposto a tutti gli strati della popolazione. Anzi, più si sfrutta e meno si paga il lavoro, meglio è! Acquistiamo a prezzi più bassi (almeno così cercano di farci credere). Poi, il prodotto parte cento e arriva a mille. Tutti guadagni incontrollati per i gestori delle filiere. Con la pubblicità dilagante imbottiscono e addormentano le menti e le coscienze.

Nel frattempo, ci parlano della nuova, evoluta ed “ineluttabile” generazione tecnologica - la quarta rivoluzione industriale. Quella precedente ha rimodellato la gran parte dei processi produttivi di fabbrica introducendo automatizzazioni che hanno imposto l’espulsione di un’enorme quantità di lavoratrici e lavoratori, mentre a latere si espandevano senza “lacci e laccioli” le esternalizzazioni/subappalto.

I nuovi soloni filosofici del 4.0 (così, giovialmente, viene chiamata la nuova era), nella loro spietata ed egoistica personalizzazione ci spiegano che ora, in maniera sempre più grande, la novella forza motrice sarà rappresentata dall’intelligenza artificiale inserita nei robot, che, a loro dire, invaderà tutti gli ambiti di produzione e di lavoro, toccando anche in maniera rilevante le mansioni “intellettuali”. Il tutto, ovviamente, soggiacerà solo alle regole della competizione del capitalismo in auge detto neoliberalismo, senza regole, programmazioni, e riferimenti appropriati alle centinaia di milioni di posti di lavoro che potrebbero (saranno) essere eliminati su scala mondiale.

Nessuno di questi balzandosi alfieri del “progresso” fa previsioni alternative, sul “5.0”: “quali attività diversificate per gli umani espulsi”? Evidentemente immaginano una società di umanoidi (robot) che si muove al comando dei pochissimi che ancora ricercano l’eccelso scettro del profitto sempre più massimo, dove gli esseri uomini e le donne, in carne e ossa, saranno spariti per autoestinzione, di fame e guerre.

Già, mentre parlano e sparlano, in più nulla dicono sulla robotizzazione in corso sugli umani.

Le vicende che riguardano molti lavoratori della Logistica la dicono tutta, a maggior ragione perché “stranieri”, nella patria della propria produzione. 

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