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Illegittimo ed insostenibile: un debito da ridiscutere

"Il debito pubblico che un potere dispotico ha contratto per perpetuarsi deve essere considerato illegittimo. Non dovrebbe essere ripagato dai cittadini, ma dalle élite che lo hanno voluto e creato”. 

Questo, suppergiù, insegnava nel 1927 ai suoi studenti parigini Alexander Nahum Sachs, già ministro delle finanze dello zar Nicola II, divenuto professore di diritto. Una dottrina che, con i dovuti distinguo, si può applicare anche alla situazione Italiana. A un debito pubblico formatosi per la più parte durante gli anni '80, sì ad opera di governi democraticamente eletti, ma senza il minimo riguardo per le future generazioni. Approvato dai cittadini di allora (e il partito della spesa, e del debito, era ben più ampio delle maggioranze parlamentari) ma esclusivamente a proprio beneficio; servito solo in minima parte a finanziare investimenti di cui oggettivamente godano i cittadini di oggi, molti dei quali allora neppure nati, che sarebbero tenuti ad onorarlo.

Un debito creato per finanziare il voto di scambio e non, o solo in minima parte, per costruire scuole, ospedali o linee ferroviarie. Non basta. In un processo perverso, che offende qualunque senso di giustizia, tanta parte di quel debito è stato creato per concedere sconti fiscali, nella forma di una diffusa ed impunita evasione, proprio a quei ceti che ne hanno comprato la maggioranza dei titoli e, grazie ai loro interessi, rimpinguato i propri patrimoni.

Considerazioni analoghe, solo declinate secondo la realtà di quel paese, hanno portato alla nascita, in Francia, di centinaia di comitati locali del Collettivo per la revisione del debito, che ha il suo più autorevole portavoce in Jean Gadrey, già docente all'Università di Lilla; un economista che arriva a considerare illegittima anche quella parte di interessi dovuta ai rialzi dei tassi provocati da manovre puramente speculative.

Idee che, mentre ne vengono meno ben altri, fondati su ideali assai più alti e nobili, mettono in discussione i tabù della sacralità del debito e della fondamentale “giustizia” dei mercati. Tabù che dovrebbero esser messi da parte, anche dai più incalliti liberisti, in base a considerazioni di carattere squisitamente pratico.

I debiti pubblici dei paesi occidentali, compresa la Germania, che ne ha uno pari allo 83% del Pil e che supera di oltre 200 miliardi quello italiano, sono ormai tropo alti per non ritenere altro che una pia illusione l'idea che possano davvero essere ripagati. Davvero, senza l'utilizzo di politiche monetarie che di fatto li svalutino.

I tassi d'interesse sono ad un livello storicamente infimo, eppure gli stati, tutti, non solo l'Italia o la Spagna, fanno una gran fatica a far quadrare i conti. Le economie si riprenderanno? Aumenteranno anche i tassi, e quelli pagati sui titoli di stato potrebbero non essere tanto gentili da farlo assecondando il ritmo dell'economia. Pur con tutte le misure prese fin qui, è solo questione di tempo prima che ripeta uno tsunami come quello dell'autunno 2011. E non è affatto detto che vi possano di nuovo sopravvivere l'Euro, il sistema bancario e l'economia del continente.

Non si tratta di strillare un “non pagheremo” che creerebbe un'apocalisse finanziaria. Non si tratta neppure di ricorrere ad un'indiscriminata “monetarizzazione” del debito; di avviare le stampanti ed inondare il pianeta di Euro che diventerebbero subito carta straccia. Devono, i governi europei, sedersi attorno ad un tavolo per trovare una via d'uscita comune ad un problema che è di tutti, anche dei paesi più virtuosi. Una soluzione difficile, che non potrà ridursi ad una sola misura, ma che difficilmente potrà prescindere da una radicale ridefinizione del ruolo della BCE.

Levata di mezzo qualunque remora moralistica, il risultato di una trattativa a viso aperto tra i paesi più in difficoltà, che dovranno dimostrare di volersi liberare, oltre che di una parte del debito, delle inefficienze dei loro sistemi, eredità dei governi che quello stesso debito hanno creato (sì, alcuni compitini dovranno comunque essere fatti), e paesi che gli stessi problemi hanno in minor misura, ma che non possono sostenere che le colpe dei padri e dei nonni debbano ricadere su figli e nipoti. Un concetto su cui i tedeschi, proprio i tedeschi, dovrebbero essere i primi ad essere d'accordo.

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