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Il sospetto: la caccia della gente perbene

Una piccola comunità danese dove le amicizie e l’unità sono – fino a prova contraria – forti; una bambina di 5 anni, Klara, che rivela qualcosa di “stupido” (parole sue) sul suo maestro alla direttrice dell’asilo Grethe, questa che mette subito in atto la “procedura della municipalità”, in ciò assistita dallo psicologo che conosce da anni e che svolge una sommaria indagine preliminare con la piccola, ragione per cui la direttrice assume serissimamente il ruolo di difensore dei bambini perché essi “non mentono”; la comunità che ha finalmente qualcuno da designare come mostro pedofilo, da isolare perché lontano dalla presunta moralità comune, quella che serve a far sentire migliori i “normali”: ecco come comincia una caccia al diverso, l’assedio che estrania il malcapitato.

Vittima di questa emarginazione è il maestro Lucas, 42enne separato dalla moglie e dal figlio adolescente Marcus, che con pochi altri crede in lui e vorrebbe stargli vicino. Già lo status di separato può, nel sentire comune, giustificare ancor più “il sospetto” di cui al titolo italiano, titolo troppo didascalico e semplificativo, perché di assedio si tratta in realtà, una canea latrante impegnata in una caccia più o meno peggiore di quella al cervo a cui il gruppo di amici, con Lucas, si dedicava.

Le indagini sommarie non toccano minimamente il legame che i bambini hanno instaurato col ricercatissimo maestro Lucas e nemmeno la belligeranza dei genitori di Klara, che può avere suscitato le sue “stranezze” e la sua mania di evitare le righe sul suolo quando cammina. Le rivelazioni che Klara fa sono sfoghi di una bambina – il regista Vinterberg espone chiaramente il ruolo delle varie parti in gioco – che mette insieme parole sentite dal fratello maggiore, non può saperne nemmeno il significato, potrebbe trattarsi di un richiamo agli adulti per avere maggiori attenzioni. Pure i suoi compagni dell’asilo, che trovavano in Lucas il compagno di giochi ideale, si uniformano al sospetto emulandosi a vicenda, ripetendo dicerie.

E’ un film d’accusa alle nostre comunità “linde e pinte”, animate da buoni sentimenti e da amicizie tra uguali, dai riti natalizi in cui si è “tutti più buoni”, solo che si lasci fuori un nemico, di questa distanza “la gente perbene” ha quasi bisogno. E’ facile per i genitori di Klara individuare un colpevole esterno, non si guardano dentro né pensano a che rapporti tra loro due la bambina osservava.

Dopo un anno dai fatti tutto si è ricomposto e chiarito, Lucas è stato pienamente riaccettato dalla comunità, non fosse che in uno sguardo alla bambina (meritatissima la palma di Cannes al miglior attore) pare rivivere le angosce da questa provocate. Era stato pure uno sguardo intenso di Lucas a Theo, suo ex miglior amico e padre di Klara, che un anno prima alla messa di Natale aveva fatto vacillare in quest’ultimo le certezze di colpevolezza. In una battuta di caccia, quella in onore di suo figlio Marcus che con essa viene ammesso tra gli adulti, un colpo di fucile sembra abbatterlo. La sagoma, nella controluce dorata del bosco, fa pensare a uno sparatore giovane (il fratello di Klara?), è il rumore del sospetto che permane o il rammentarci la necessità di un “mostro” nemico della collettività?

 

 

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