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Il risparmio compulsivo

Ho letto di recente in un quotidiano che, pur nell’attuale “austerity”, alcuni enti pubblici si fanno carico della copertura assicurativa, a tutela del lavoro svolto dai propri funzionari e dirigenti: una forma di tutela, se vogliamo, simile a quella che interviene a favore dei cittadini che si trovano ad aver subire danni, involontariamente arrecati da strutture pubbliche.

In un momento di frenetica e generalizzata rincorsa ad economizzare, la notizia si avvia a guadagnarsi aspre critiche, del tipo: ecco un ennesimo sperpero di soldi pubblici.

Pur tuttavia, io prediligo le “direzioni ostinate e contrarie” e, tralasciando tutti gli altri ben più consistenti “sperperi” cui abbiamo assistito negli anni, non rinuncio a prendere le parti della (avversata, in questi ultimi tempi) categoria della Pubblica Amministrazione e ad esprimere una personale, provocatoria considerazione sulla questione.

Perché, se da un lato occorre mettere urgentemente un freno alla spesa pubblica, ed anche al cosiddetto “costo della burocrazia”, paventato come uno dei principali motivi del deficit nazionale, dall’altro non si può, da cittadini, non riconoscere l’importante e costante ruolo svolto dalle Amministrazioni locali, dalle Istituzioni, di cui noi cittadini siamo diretti destinatari e potenziali beneficiari.

La presente questione parrebbe autolesionista, scomoda e sconveniente la trattazione: utile però a disvelare un sostanziale dubbio di metodo: sarà meglio economizzare fino allo stremo, immiserire il più possibile le condizioni lavorative oppure meglio sarà mantenere, con oculatezza e senza sprechi, condizioni dignitose, perché le condizioni di benessere del lavoro (pubblico e privato), in termini di qualità di servizi resi, riverbera direttamente su noi cittadini?

Se oggi tale amletico quesito fosse sottoposto all’opinione pubblica, stravincerebbe, ritengo, la soluzione inflittiva: dare il meno possibile al lavoratore, già privilegiato ipso facto; “ha già un lavoro, vuol anche essere pagato?”; se invece ragionassimo seriamente, per risultati, senza pregiudiziali ed irragionevoli ostilità, si potrebbe sostenere che dare dignità al lavoro sia un comportamento sensato ed efficace, significativo di un rapporto proficuo tra azienda e dipendente, ma anche, per conseguenza, tra addetto e cittadini.

Oggi, il nostro, è un momento di difficoltà: si tende ad inseguire il risparmio, rendendo contrapposte categorie di cittadini (chi ha il lavoro e chi no, privati contro lavoro pubblico), svilendo e disconoscendo ogni impegno individuale, sacrificando tutti e tutto sull’altare di tagli indifferenziati talvolta poco efficaci in termini di percezione. Non credo che vi sia una soluzione unica e perfetta, solo il tempo ce ne darà misura. Per ora mi limito ad esprimere una lecita preferenza, da cittadino e da lavoratore: quella che dobbiamo pretendere dagli altri, dalle istituzioni, lo stesso identico rispetto che gli dedichiamo; e che non si consideri demagogicamente il cittadino-lavoratore solo una spesa, bensì una risorsa, anche in un malaugurato periodo di crisi.

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