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Il redistributore

Torniamo (anche per fatto personale) sulle dichiarazioni del sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta. Quelle in cui il nostro eroe vuole “convincere” gli imprenditori ad investire, costi quel che costi, e gli investitori istituzionali a cacciare soldi per finanziare gli investimenti medesimi. Ieri Baretta torna sull’argomento nel corso di una intervista concessa ad Alessandro Barbera de La Stampa, e precisa ulteriormente il proprio pensiero. Confermando i nostri timori ed aggiungendone di nuovi.

Intanto, è utile sapere che Baretta ha alcuni cavalli di battaglia, che ad ogni intervista ripropone. Uno tra essi, già presente nell’intervista ad Avvenire che vi abbiamo segnalato due giorni fa, è che serve mettere mano immediatamente alle agevolazioni fiscali (detrazioni d’imposta e deduzioni dall’imponibile), a prescindere dal deficit, per insopprimibili esigenze redistributive. Premesso che a lui “non risulta” che siano in programma nuovi blocchi retributivi nel pubblico impiego, il punto è che non si esce dalla crisi “senza aver distribuito in maniera proporzionale il costo di essa”:

Che intende dire? Che i ricchi dovranno piangere?
«Non uso queste espressioni. Di certo chi evade non avrà vita facile. Né possiamo immaginare che le detrazioni sui mutui, per le spese veterinarie o le palestre possano essere ancora concesse a tutti a prescindere dal reddito»

Sta preannunciando una stretta sulle detrazioni?
«E’ una delle opzioni sul tavolo»

Questa è una posizione legittima, pur se ovviamente discutibile. Ipotizza che le detrazioni d’imposta per interessi passivi su mutui prima casa, oggi pari al 19% su un esborso massimo di 4.000 euro (quindi con riduzione d’imposta massima di 760 euro), possano invece essere calibrate in modo decrescente in funzione dell’imponibile. Premesso che, sul piano del “sussidio” pagato dallo Stato, meglio detrazioni d’imposta che deduzioni dall’imponibile, perché in quest’ultimo caso tale sussidio sarebbe crescente al crescere dell’aliquota marginale del contribuente, la proposta di Baretta è, banalmente, un aumento di pressione fiscale sui redditi più “alti”. E resta sempre da capire cosa vuol dire “redditi alti”, in questo ridicolo paese di redistributori compulsivi di povertà.

Più in generale, Baretta ignora (o finge di ignorare) che il “riordino” della agevolazioni fiscali ha senso solo se, a fronte della loro cancellazione totale o parziale, si realizza in cambio la riduzione dell’aliquota d’imposta. Il motivo, è presto detto: si allarga la base imponibile, si riducono le aliquote in modo da mantenere la pressione fiscale invariata e si riducono le distorsioni che aliquote elevate implicano. Ogni operazione che elimini le agevolazioni solo per ridurre il deficit si risolve in aumento di pressione fiscale. Pare semplice, ma in troppi non ci arrivano. Come detto, è del tutto lecito e legittimo che un esponente politico da sempre attento alle esigenze della “redistribuzione” sostenga che occorre aumentare la pressione fiscale sui “ricchi” che hanno un mutuo prima casa. Ci mancherebbe, e poi sarebbe anche un interessante metodo per frenare il noto boom immobiliare che da qualche anno piaga l’Italia (questa è ironica, mi raccomando). E comunque, c’è un premier che “fa sintesi” e ci farà sapere.

Quella che invece appare del tutto psichedelica è la posizione di Baretta sugli investimenti di casse previdenziali professionali e fondi pensione. Leggere per strabuzzare:

Lei di recente è finito nel mirino per aver chiesto ai fondi previdenziali di investire nell’economia italiana. II blogger Mario Seminerio la accusa di malcelato dirigismo
«Queste critiche non le capisco. Casse e fondi di previdenza hanno un patrimonio di 120 miliardi di euro, metà dei quali investiti in debito estero, metà in debito italiano. Non è possibile invitarli, nel rispetto delle loro scelte, a credere nell’economia italiana anche solo un decimo di questo patrimonio? E così incredibile chiedere al fondo dei medici di investire in welfare, o a quello degli insegnanti nell’edilizia scolastica?»

Ora è perfettamente chiaro quello che sospettavamo ed abbiamo anche segnalato. I fondi pensione e gli altri investitori istituzionali hanno come bizzarro ed immorale obiettivo quello di guadagnare (facciamo il segno della croce, mentre scriviamo questo verbo), per permettere ai propri iscritti di avere uno straccio di assegno previdenziale, tra alcuni millenni.

Se Baretta fosse così gentile da farci sapere quale potrà mai essere il rendimento di “investimenti in welfare” o in “edilizia scolastica”, gliene saremmo infinitamente grati. A meno che Baretta pensi che non c’è solo il rendimento, nella vita, e quindi che queste forme previdenziali non debbano essere così squallidamente venali da pensare di guadagnare (segno della croce) per i propri iscritti. Che comunque la pensione non la vedranno, e la smettano di essere così asociali ed avidi.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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