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Il reato di tortura nel codice italiano (si spera)

Come ogni sabato in edicola, con l’Unità, esce anche il settimanale Left; che, questa settimana, lancia un appello perché anche in Italia si introduca finalmente il “reato di tortura”.

Sembra incredibile ma un paese che si pretende civile non contempla nel suo ordinamento un reato specifico per una delle più abberranti pratiche di sadismo “di stato”; nella supposizione, si presume, che non essendoci il reato non esista nemmeno la pratica.

Purtroppo le cronache giudiziarie ci dicono invece che la pratica è esistita e non poche volte. A partire dalle drammatiche giornate di Genova 2001, come ricordavo in altro articolo, in cui la convivenza civile in Italia ha subìto una drammatica lesione, che non sarà facile ricucire. In particolare durante la sanguinosa e immotivata irruzione alla scuola Diaz dove molti giovani, colpevoli di niente per quello che se ne sa, furono selvaggiamente massacrati.

Nelle motivazioni della sentenza di condanna per i vertici della polizia di allora, i giudici della quinta sezione penale della Cassazione hanno scritto “come la condotta violenta della polizia nell’irruzione alla Diaz, le violenze ai danni di persone inermi e innocenti e gli arresti immotivati, abbia screditato l’Italia agli occhi del mondo intero”. Parole della magistratura, non di un blogger di ultrasinistra.

Ma anche nelle cupe ore di Bolzaneto furono messe in atto azioni che la Corte d'Appello di Genova, motivando in 647 pagine la condanna dei 44 imputati per le violenze e i soprusi commessi, ha descritto con scrupolo meticoloso; pagine “che ripercorrono tre giorni e tre notti di tortura, ricostruendo le atrocità morali e fisiche commesse dagli uomini di legge”.

Tortura. Questa definizione ricorre anche nelle angoscianti vicende di cronaca che hanno spezzato le vite di giovani e meno giovani come Aldrovandi, Cucchi, Uva, Lonzi, Ferrulli, Bianzino, Rasman e chissà quanti altri, meno noti. Magari perché "negri" o "marocchini".

“Uno studente di scuola media superiore, un geometra, un operaio, un artigiano. Questi sono i nostri cari. Non sono morti in guerra, non sono morti per incidenti stradali o sul lavoro, no! Sono morti in modo disumano perché sottoposti alla violenza di coloro che, soltanto essi, quella violenza potevano esercitare perché in nome dello Stato”.

Sono le parole che i familiari delle vittime hanno indirizzato in una lettera aperta ad Amnesty International per sollecitare l’introduzione di un reato che non esiste “Fino a che la legge sulla Tortura non esisterà, nel nostro Stato non si potrà certo dire che essa è stata commessa”.

"La legge sulla tortura, adottata da decenni da tutte le democrazie del mondo, in Italia per motivi oscuri, quale che fosse il colore dei governi che si sono succeduti, non è mai stata approvata" scrive Ilaria Cucchi su left, mentre Patrizia Aldrovandi chiede che chi le ha ammazzato il figlio venga espulso dalla polizia. Incredibile a dirsi, nel nostro paese un torturatore può ancora vestire la divisa dei "tutori" dell'ordine; e incutere timore e dare ordini e parlare come rappresentante dello Stato. Chi ha violentato il vivere civile in modo così crudele può ancora pretendere di imporre agli altri il rispetto e il rigore della legge. O magari la loro personale interpretazione della legge.

Perché se un fatto non è definibile, si può dire che non sia mai esistito. Il più cinico dei bizantinismi giuridici ha permesso che ignobili assassini - non si possono definire altrimenti - se la siano cavata finora con punizioni ridicole, al limite dell’offensivo per il buon senso comune.

Oggi forse “dopo quasi un quarto di secolo” sembra che anche il nostro paese - quello di Beccaria tanto per dire - si adegui ad una banale norma di civiltà.

Non dico “buoni ultimi”, ma di sicuro con impressionante, scandaloso ritardo.

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