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 Home page > Tribuna Libera > Il pareggio di bilanco nella Costituzione. Un’idea geniale?

Il pareggio di bilanco nella Costituzione. Un’idea geniale?

Far mettere nella Costituzione l'obbligatorietà del pareggio dei conti pubblici è pura propaganda, populismo di bassa lega, e non smette di essere tale solo perchè è stata ripetuta dal duo Merkel-Sarkozy anche durate il loro ultimo incontro avvenuto ieri all' Eliseo.

Il debito pubblico è uno strumento che lo Stato ha per fronteggiare i tempi di crisi e le emergenze ed è a queste situazioni difficili, estreme, che bisogna pensare quando si va a toccare la carta fondamentale di un paese.

Le costituzioni non sono fatte guardando all'oggi, alle necessità della congiuntura, ma sono, o dovrebbero essere, per sempre. Pensate ad un paese con il bilancio in pareggio in cui accade un terremoto come quello giapponese. Che fa, se, costituzione alla mano, non può ricorrere al credito? Lascia i senzatetto nelle strade o taglia la sanità a una parte della popolazione? Impone nuove tasse, mentre la sua economia è già in ginocchio a causa del sisma?

E che accade quando, tra cinquant'anni o un secolo, lo stesso paese dovesse essere coinvolto in una guerra? In una guerra vera, per la propria sopravvivenza, magari conseguenza imprevista di una di quelle guerre da esportazione in cui anche l'Italia, negli ultimi decenni, si è lasciata trascinare senza eccessive riflessioni. Che fa? Alza bandiera bianca per mancanza di Euro con cui comprare le munizioni?

E' ovvio che nel momento stesso in cui l'obbligatorietà del pareggio di bilancio fosse scritta nella Costituzione, per le ragioni dette sopra si dovrebbe anche prevedere un meccanismo per consentire al governo, in caso di necessità, di violare questo precetto.

La decisione ultima sul debito resterebbe dunque politica e la norma costituzionale sul pareggio di bilancio risulterebbe inutile; un provvedimento che puzza di populismo di bassa lega e che, se adottato, sarebbe l'ennesimo monumento all'irrilevanza della peggior generazione di politici della storia recente d'Europa.

Vale la pena ricordare che la nostra Costituzione prevede già, all'articolo 81 che: "Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte".

Difficile immaginare un invito più esplicito all'oculatezza nella spesa pubblica.

Resta tutta la mia perplessità di fronte all'ansia di mettere le mani sulla Costituzione di tanta parte del nostro mondo politico.

Il nostro documento fondamentale non è sacro ed inviolabile e contiene le norme da seguire per essere modificato, ma va ricordato che fu scritto, dopo anni di riflessione, dal meglio di una generazione di italiani che aveva visto la guerra e la dittatura; che era in grado, per esperienza diretta e personale, di pensare anche alle situazioni più estreme.

Pensare che per reazione a questa o quella crisi un parlamento popolato di mezze figure come l'attuale possa, magari con le migliori intenzioni, pasticciare con il lavoro di quei giganti non mi tranquillizza affatto.

Tornando alla questione del debito, è un indice dello scadimento delle nostre democrazie pensare che la spesa pubblica possa essere regolata, in qualunque modo, una volta per sempre.

Le finanze, come qualunque altro aspetto della vita della Repubblica, possono essere difese efficacemente solo dalla vigile attenzione dei cittadini. Dovrebbe spettare loro, dopo essere stati debitamente informati, dare, con il proprio voto, il giudizio finale sul modo in cui il governo ha speso i soldi di tutti e, magari, ha indebitato tutti per generazioni.

Il nostro debito pubblico è il lascito di una stagione di follia che è potuta durare per oltre un decennio solo grazie alla generale ignoranza dei cittadini riguardo alle questioni economiche e alla presenza, nel nostro paese, prima ancora che le reti mediaset avessero un solo telegiornale, del peggior sistema informativo dell’occidente.

Nessuna norma costituzionale può impedire di presentare, come facevano i telegiornali degli anni ’80, l’aumento del rendimento dei BOT come una buona notizia; solo il senso della decenza dei giornalisti e la capacità dei cittadini di comprendere quando li si sta prendendo in giro.

Non può essere la Costituzione ad obbligare i giornali ad informare i cittadini, dando il debito risalto a notizie di tale fondamentale importanza, dell’evoluzione del debito pubblico: solo la coscienza di quale sia il vero interesse del pubblico che è cosa assai diversa da quel che, superficialmente, interessa il pubblico.

Sempre quelli sono gli ingredienti fondamentali per la costruzione di una democrazia: educazione ed informazione. Senza di queste i cittadini sono ridotti a plebe; a mandria di buoi da portare la pascolo con l’anello della demagogia al naso.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.16) 12 aprile 2012 13:52

    Non sono un esperto della Costituzione ma, da uomo della strada, capisco che "mettere le mani sull’art.81 della Costituzione" è una operazione, tra le tante, di puro populismo politichese.
    Una cosa è santa e sacrosanta: la classe politica ladrona e pasticciona, la classe politica ignorante e volgare, la classe politica che ha le mani in tasca agli Italiani onesti, quella classe politica attuale se ne deve andare TUTTA per non dissacrare il nome del Popolo Italiano!
    Un qualsiasi cittadino di strada.

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