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Il nuovo rinascimento di Radio e Tv nell’era digitale. Intervista a Giuseppe Mazzei

Parlare di informazione e soprattutto di tv, radio, giornali e nuovi media è ancora possibile e mai come adesso necessario. Lo facciamo con Giuseppe Mazzei, docente di Tecniche del linguaggio giornalistico nella facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma.

Giuseppe Mazzei è un giornalista con un passato in Rai come inviato, caporedattore e caposervizio per il GR1, vicedirettore del Tg1 fino al 1993, ha anche guidato per due anni la redazione politica del Tg2 e ha seguito come quirinalista l’attività dell’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro fino al 1997. Adesso dirige i Rapporti Istituzionali del gruppo Allianz e insegna a La Sapienza, lo ospitiamo ad AgoraVox per parlare di Comunicazione.

Salve professor Mazzei, parlando di radio e tv qual è a suo parere lo stato di salute dei media italiani in questi rutilanti anni duemila.

A mio parere radio e televisione attraversano una fase discreta, non possiamo dire che la situazione sia entusiasmante. C’è stata però una grande riscoperta della radio negli ultimi tempi, legata proprio al cambiamento delle abitudini di vita, per cui tutti quanti abbiamo bisogno che le informazioni ci raggiungano rapidamente, anche mentre siamo impegnati in altre attività. La qualità media è abbastanza accettabile ma c’è purtroppo scarsa attenzione ad un pieno utilizzo di quella ricchezza lessicale che la nostra lingua permette e nella selezione delle notizie c’è ancora un eccesso di attenzione verso la cronaca spiccia, che in realtà non ha tanta importanza rispetto a quella che gli si attribuisce, attiene più alla curiosità della gente.

Dall’esterno sembra di assistere ad una sorta di spaesamento della Tv generalista (quella del duopolio ribattezzato dalla satira “RAISET”) dovuta ad una nuova e sconosciuta Piazza. Riuscirà il digitale terrestre ad attecchire dopo le innumerevoli scosse di assestamento che sta subendo in questi anni? Una sua previsione in proposito?

Quella del digitale terrestre è stata una scelta che secondo me andava fatta, perché comunque è una scelta di ottimizzazione dell’utilizzazione dello spettro elettromagnetico. Se in un’autostrada invece di far passare un camion ne possono passare cinque è meglio, no? Il problema è che è stata fatta senza convinzione e senza la dovuta serietà di investimenti che un progetto del genere comporta, per cui i segnali possono avere in alcune zone problemi che si possono risolvere. Però il digitale terrestre ha migliorato complessivamente le potenzialità del sistema, perché avere la possibilità di trasmettere con una maggiore purezza di segnale e avere più canali a disposizione è sicuramente un’occasione per il pluralismo.

 
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L’avventura del digitale terrestre non sembra partita nel migliore dei modi!

Diciamo la verità, è capitato in un momento infelice in cui è diminuita la pubblicità a disposizione del mercato e quindi ci sono meno risorse. Si spera che questa fase congiunturale prima o poi finisca. Io sono un sostenitore del digitale terrestre, perché comunque è una tecnologia che ha liberato tutta una serie di frequenze.

Si parla anche di interattività... è un mondo in divenire!

Per come noi lo abbiamo importato in Italia ancora non ha sperimentato tutte le sue potenzialità, che sono enormi. Dipende ovviamente sempre dalla struttura di rete: dalla qualità del segnale e dagli investimenti!

La competizione sembra farsi, tra l’altro, più agguerrita con l’avanzamento di Sky (che col rastrellamento sta riuscendo a superare i 5 milioni di nuovi abbonati, attraverso contenuti invitanti sotto il profilo del narrowcasting e attraverso nuove tecnologie come il MySky e l’HD). A questo si aggiunge la rete che attraverso riconversione, multimedialità, costante innovazione e interattività riesce con rapidità a contrapporsi al tubo catodico. Il futuro è nella rete?

Il futuro è nell’integrazione di tutte queste cose. Sicuramente la rete può contribuire parecchio, ma si parla di una rete che sia diffusissima e senza digital divide. Nel momento in cui avremo le città piene hotspot Wi-Fi, la possibilità di bande di trasmissione almeno tre o quattro volte più alte di quelle che abbiamo adesso, sicuramente la rete avrà più potenzialità di sviluppo rispetto all’etere. La rete è tutta da sviluppare e anche lì contano gli investimenti. Naturalmente la rete consente poi l’integrazione e la competizione si sposterà sulla qualità delle immagini!

Sembra più una competizione tra Internet e la tv. La Radio invece sembra non essere stata intaccata da Internet, anzi: pare che attraverso lo streaming, i blog, le chat, le web cam in studio e i profili di conduttori e trasmissioni sul web, proprio la Radio stia rimodulando la sua identità e vivendo una seconda giovinezza. Che ne pensa?

La Radio è lo strumento che sopravviverà sicuramente meglio di tutti gli altri a questa tempesta di innovazioni continue che c’è nel settore dei media. E’ uno strumento essenziale, elastico, a dimensione umana che non richiede occupazione di occhi e di mani: è la cosa più ‘portatile’ e compatibile con la vita frenetica che facciamo!

 
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(Cirri e Solibello in un momento di diretta su Radio2 Rai con Caterpillar)

 

Su Internet sembra più una radio che si vede! Sta cambiando anche il modo di fruirne?

La radio è stato il primo media che ha potuto utilizzare Internet, perché l’impegno della banda, del segnale audio è decisamente più ridotto del segnale video. La radio via Internet è sicuramente meno costosa di una tv con le stesse caratteristiche, naturalmente c’è una piccola ibridazione: con la radio su Internet possiamo vedere alcune cose, il conduttore del giornale radio, il contenuto. Internet però non ha snaturato la radio, che rimane quella che è nello stile, nel messaggio e nel linguaggio. Al massimo può subire un’integrazione, un’arricchimento.

Anche l’informazione è vissuta in modo differente, più interattiva. Una sua opinione sul citizen journalism?

Sono convinto che in un vicino futuro il numero dei giornalisti non professionisti che contribuirà a dare notizie aumenterà. Il citizen journalism è importante, però pone due grossi problemi: l’attendibilità delle fonti e la competenza tecnica. Il giornalista non è uno che si improvvisa e il citizen journalism è fatto da cittadini testimoni di determinati fatti, devono anche saperceli raccontare e saper individuare quali sono le caratteristiche essenziali, perché omettendo un particolare o enfatizzandone qualche altro si può distorcere completamente la percezione del fatto. Quindi diciamo che il citizen journalism è un’alimentazione del giornalismo, uno spunto, uno stimolo, un primo passo per l’immissione di notizie, ma poi ci vuole l’intervento del giornalismo tecnico e professionale! Bisogna tener conto che oggi in rete possono circolare notizie false di tutti i tipi, quindi la possibilità di controllo è piuttosto limitata, però non vanno tarpate le ali a questi tentativi, vanno poi sistematizzati con l’intervento dei professionisti.

Le sue lezioni alla facoltà di Comunicazione de La Sapienza di Roma sono piuttosto sperimentali, lei ha infatti introdotto un nuovo sistema interattivo per valutare l’apprendimento attraverso dei telecomandi collegati con la cattedra con cui lo studente può rispondere ad una serie di domande incentrate sugli argomenti svolti durante le lezioni. Come nasce l’idea?

E’ sbagliato secondo me tenere un corso universitario e aspettare il giudizio solo all’esame. Il monitoraggio dell’attenzione degli studenti e della capacità del docente di farsi capire andrebbe fatto con una certa immediatezza e rapidità. Sono convinto che questo metodo che stiamo sperimentando, unico nel suo genere in Italia, sia da implementare e generalizzare perché costringe da un lato gli studenti a stare più attenti, perché hanno un sistema di valutazione che precede quello dell’esame finale (che diventa un giudizio molto più accurato e attento); dall’altro serve anche a valutare il docente, che così non può tenere una lezione senza essere consapevole del grado di apprendimento. Il docente testa anche un po’ se stesso e quindi modifica in corso d’opera anche la sua lezione.

 
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(il telecomando con cui gli studenti interagiscono con la lezione del professor Mazzei)

 

La sua esperienza in materia, tra radio e tv, può permettere ai nostri lettori di usufruire di ottimi consigli e input. Quali sono i suoi suggerimenti per un giovane che vuole intraprendere questa tortuosa strada ricca di ostacoli?

Bisogna armarsi di grandissima buona volontà e non arrendersi di fronte alle difficoltà che saranno altissime, lavorare molto sulla formazione tecnica: conoscere bene gli strumenti tecnici, conoscere bene i linguaggi e quindi saper scrivere per la radio in maniera diversa dalla televisione. Tenersi sempre molto allenati, una cosa che consiglio sempre a tutti è di ascoltare molti giornali radio e vedere molti telegiornali per poi fare la pagella ad ognuno di questi, così si stimola e si abitua il proprio senso critico a capire cosa non va, perché se uno dice ‘va tutto bene’ allora vuol dire che non ha capito. Come al ristorante: quello che ne capisce è sempre molto esigente, tutti dovrebbero essere più esigenti nei confronti dei mezzi di comunicazione di massa, naturalmente di più quelli che lo vogliono fare questo mestiere. Cominciare a sentire il disagio su come vengono fatti e confezionati certi telegiornali e certi giornali radio aiuta a sviluppare la propria parte critica, permettendo alla propria auto-formazione di svilupparsi in positivo, perché queste sono attività che non si finisce mai di imparare, un giornalista può sempre e deve sempre migliorare!

L’accesso alle redazioni è sempre difficile!

Bisogna saper prendere quello che c’è, l’importante è cominciare a farlo presto! Non appena uno ha la consapevolezza di avere un minimo di dotazione di strumenti deve cominciare a lavorare, ovviamente assistito da qualcuno che lo aiuti a correggere i propri errori, e non aspettare di entrare nelle grandi redazioni. Basta cominciare anche da una piccola radio, da una televisione locale o su Internet, poi si affinano le capacità, ci si fa conoscere e si spera che il mercato crei le opportunità in un settore che comunque è in espansione. Soprattutto bisogna darsi da fare anche in proprio, io dico ai giovani di non aspettare il posto di lavoro altrove, se volete mettere in piedi la vostra piccola radio locale, un sito web, fate dei piccoli investimenti. La vostra creatività vi darà sicuramente delle idee che altri non hanno e potrete diventare dei piccoli imprenditori e crescere così. Non aspettate la pappa pronta dagli altri.

Grazie per la disponibilità e saluti da AgoraVox.

Grazie a voi, a presto.

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Si ringrazia per la collaborazione ai testi Valerio Mattia Bocchino. 

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