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Il mese di Gennaio di Musikàmera

Tre concerti, due nelle sale Apollinee della Fenice, uno al Teatro Malibran

 

E’ iniziata con il consueto brindisi beneaugurante offerto agli abbonati, l’ottava stagione di Musikàmera (14 gennaio – 2 novembre), intitolata Anni Venti, poiché l’intenzione è quella di riflettere su un decennio che negli ultimi sette secoli è stato ricco di momenti significativi per l’evoluzione della musica.

Doppia esibizione per il duo Andrea Mastroni, basso ; Mattia Ometto, pianoforte, preceduta dalla consueta introduzione musicologica del direttore artistico Vitale Fano, il quale si è soffermato a lungo a riflettere sulla figura del pianista, che non deve mai e poi mai, in questi contesti, essere definito un accompagnatore.

I musicisti hanno eseguito, forti di un affiatamento frutto di molti anni di collaborazione, il ciclo liederistico di Franz Schubert (1797 – 1828), Die schoene Mullerin, composto fra il maggio 1823 e il febbraio 1824, dunque giusto duecento anni fa, rivelatore di un orientamento del musicista verso quelle nuove correnti della poesia romantica che ricercavano nel canto e nella poesia popolare le radici culturali dei popoli tedeschi.

I testi poetici del ciclo, scritti dal poeta romantico Wilhelm Muller (1794 – 1827), ebbero origine da un lavoro teatrale collettivo in 5 atti, creato all’interno di un circolo letterario berlinese. L’autore ne trasse un ciclo di 23 poesie, più un prologo e un epilogo. Schubert omise tre Lieder, il prologo e l’epilogo. Nell’evolversi dei Lieder è narrata una vicenda comune nella narrativa romantica dell’epoca : un giovane mugnaio vaga lungo un ruscello (in tedesco Bach, come il cognome del sommo compositore). E’ il tema del viandante e della natura, dove il ruscello diventa un alter ego del poeta.

In questo girovagare senza meta, il protagonista incontra la giovane figlia di un mugnaio. Se ne innamora e si illude di essere riamato. Nella realtà, l’apparizione di un cacciatore gli fa capire che il suo amore non è corrisposto. In lui si manifestano gelosia, angoscia e disperazione, finché troverà la pace attraverso la morte nel ruscello. In Des Baches Wiegenlied, “Ninna Nanna del ruscello” , l’ultimo Lied, il ruscello gli dice che la felicità è qui (Wanderer, du bist zu Haus, “Viandante, tu sei a casa”).

Ottima l’interpretazione artistica e vocale in un Recital ininterrotto di 69 minuti, ascoltato in religioso silenzio da un pubblico devoto, che si è reso conto delle difficoltà della partitura, felicemente risolte dai musicisti, i quali, non ostante la stanchezza, hanno concesso un breve bis, Mein Herz, mein Herz, tratto dal più conosciuto ciclo Die Winterreise, un ciclo di 24 Lieder, sempre su testi di W.Muller.

Il secondo concerto, di nuovo nelle Apollinee, è stato il primo di una sezione, all’interno di Musikàmera, dedicata al Novecento storico italiano, organizzata in collaborazione con l’Archivio Musicale Guido Alberto Fano, un’associazione che ha lo scopo di favorire la conservazione, la catalogazione e lo studio delle fonti musicali e biografiche di Guido Alberto Fano (Padova, 12 maggio 1975 – Tauriano di Spilimbergo, PN, 19 agosto 1961).

In pedana, il duo composto dal pianista Aldo Orvieto e dalla soprano Silvia Frigato hanno dato vita ad un interessante Recital, recuperando quello cancellato il 15 ottobre scorso per motivi di salute. Medesimo il programma, arricchito da un iniziale Lied di Silvio Omizzolo (Padova, 26 agosto 1905 – 18 marzo 1991), che musicò nel 1962 la lirica Strade, come omaggio per l’ottantesimo compleanno dell’amico, scrittore e poeta, il padovano Attilio Canilli.

A seguire Sette Canti su poesie di Gabriele D’Annunzio, composte da Fano nel 1945, quando si trovava ad Assisi, rifugiato in un monastero di clarisse clarettine per sfuggire alle deportazioni naziste. Si tratta di sette degli ultimi otto canti della sua produzione (quello non eseguito mette in musica Ad Annie, una poesia di Giosuè Carducci).

Non poteva mancare Gian Francesco Malipiero (Venezia, 18 marzo 1882 – Treviso, 1 agosto 1973). Del celebre compositore veneziano, che ha all’attivo un vastissimo repertorio, Frigato e Orvieto hanno interpretato I tre canti di Filomela, pubblicati nel 1926, ossia tre poesie di Paolo Rolli (Roma, 1687 – Todi, 1765), il maggiore poeta dell’Arcadia accanto a Metastasio.

Malipiero era affascinato dal mito di Filomela, sorella di Procne, figlia del re di Atene, violentata da Tereo, re della Tracia e sposo di Procne e in seguito trasformata da Zeus in rondine (secondo altre fonti in usignolo).

Filomela rappresentava per Malipiero quasi un’antologia di testi, presi dall’antica poesia italiana, che rilanciava i ritmi della musica italiana antica.

Orvieto, pianista dallo splendido tocco, delicato o veemente, ha dimostrato la stima per il compositore veneziano, del quale ha recentemente registrato, in un progetto di collaborazione con l’Istituto per la Musica della Fondazione Cini e con Francisco Rocca, l’integrale per pianoforte (etichetta Stradivarius).

Affascinante l’accorato Lamento di Arianna. “Lasciatemi morire”, unica pagina rimasta di un’opera dedicata alla figura di Arianna da Claudio Monteverdi (Cremona, 1567 – Venezia, 1643).

I musicisti hanno eseguito la versione per pianoforte, scritta da Ottorino Respighi nel 1910.

Conclusione affidata alle Ariettes oubliées per soprano e pianoforte L63, un ciclo di sei melodie composte da Claude Debussy (1862 – 1918) tra il 1885 e il 1887, che mette in musica sei poesie di Paul Verlaine (1844 – 1896), tratte dalla raccolta “Romances sans paroles”.

Secondo il critico musicale Robert Godet (1866 – 1950), amico estimatore del compositore, nelle liriche la melodia debussiana, elegante e sfumata nei suoi contorni, indefinita nei suoi effetti psicologici, prende rilievo e consistenza.

Precisione, chiarezza e sincronismo, sono le caratteristiche principali emerse dall’ascolto di un apprezzato Recital. Gli applausi senza fine hanno sortito un bis, in lingua francese, di G.A.Fano, Le Lis.

Un Teatro Malibran ai limiti della capienza ha ospitato il pianista russo Danil Trifonov (Nizhny Novgorod, 5 marzo 1991), che secondo Martha Argerich “ha tutto e di più… la tenerezza e anche l’elemento demoniaco. Non ho mai sentito niente del genere”.

Serissimo, concentrato, elegante nel vestire, ha iniziato il primo tempo con la Suite in La minore, RCT 5, del compositore barocco Jean-Philippe Rameau (Digione, 1683 – Parigi, 1764), autore del Traité de l’Harmonie réduite à ses principes naturels (Parigi, 1722), un’opera rivoluzionaria che stabilisce la base del linguaggio musicale moderno, segnando la nascita della moderna teoria dell’Armonia.

La Suite, una delle Nouvelles Suites de Pièces de Clavecin (1726 – 1727), è suddivisa in sette parti, quattro delle quali corrispondono alla serie di danze di cui è abitualmente composta una Suite (Allemande, Courante, Sarabande, Gavotte). Le rimanenti hanno titoli descrittivi o fantasiosi, tipici dello stile francese (Les Trois Mains, Fanfarinette, La Triomphante).

Dotato di una tecnica eccezionale e di un tocco capace di riprodurre diverse sfumature, Trifonov ha proseguito eseguendo, nell’ordine, la Sonata n.12 in Fa maggiore “Parigina 4”, K332 (1778) di W.A.Mozart (1756 – 1791) e le Variations sérieuses, op.54 (1841) di Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 – 1847). 17 in totale, si basano su un tema calmo e pensoso sul quale il musicista costruisce con acume una serie di situazioni tecniche ed espressive, mentre la melodia scorre chiara e limpida.

Un meritato, lungo intervallo, prelude all’esecuzione di maggior durata (oltre 45 minuti) : la Sonata n.29 in Si bemolle maggiore, op.106, “Hammerklavier”, “pianoforte a martello” (1817 – 1819) di Ludwig van Beethoven (1770 – 1827).

Considerata la più ampia e complessa delle Sonate beethoveniane, è suddivisa in quattro tempi, con l’Allegro risoluto finale ampliato da un Largo introduttivo. E’ caratterizzata da difficoltà tecniche a prima vista insuperabili, che tuttavia Trifonov, pur provato nell’espressione facciale, è riuscito a risolovere con estrema classe.

Forse per cercare un po’ di tranquillità ed eliminare la tensione accumulata, il pianista ha continuato la serata con tre bis.

Il primo mi è parso I cover the Waterfront, un brano del 1933 di Johnny Green, autore di colonne sonore di celebri film, interpretato da Trifonov secondo uno stile virtuosistico, pieno di orpelli, tipico di Art Tatum (1909 – 1956). Il secondo, l’andante, il terzo movimento, dalla Sonata per pianoforte n. 3 in Fa diesis minore di Aleksandr Skrjabin. L’ultimo, brevissimo, dal sapore minimalista : note singole, a tempo lentissimo.

Richiami ripetuti, hanno fatto entrare e uscire innumerevoli volte l’applauditissimo genio della tastiera.

Il cartellone di febbraio propone altresì tre appuntamenti, tutti nelle sale Apollinee con inizio alle ore 20.

Il 20 (replica il 21) Martin Owen, considerato uno dei principali cornisti d’Europa, assieme a Francesca Dego al violino e Alessandro Taverna al pianoforte proporranno un programma di musiche di autori del XIX° e XX° secolo.

Il 25 (replica il 26) lo storico Kuss Quartet, quartetto d’archi tedesco, eseguirà un programma di musiche prevalentemente del XX° secolo, ad eccezione di un quartetto mozartiano collocato ad inizio concerto.

Il 28 il pianista Massimiliano Ferrati assieme a un quartetto di fiati del Teatro La Fenice proporrà composizioni di Mozart, Franz Danzi e Beethoven.

Foto: Musikamera/Facebook

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