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Il mercato che sfama i poveri

"Non so se all’estero ci siano strutture simili. Di certo, ogni anno la nostra aiuta a sfamare tanti poveri, perché il suo obiettivo è quello di recuperare ciò che è ancora utile e donarlo a chi ha bisogno. In attesa che il nostro stile di vita cambi”.

E’ fiero Andrea Segré del Last Minute Market, il mercato dell’ultimo minuto, che ha tanto voluto tredici anni fa e che presiede. “Sembra la scoperta dell’acqua calda – afferma- ma posso assicurare che tante sono le iniziative messe in campo da tale organismo e con risultati sorprendenti”.

Ma di preciso cos’è il L.M.M? E’ un’iniziativa sociale, nata da uno studio condotto nel ’98 dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Bolognadi cui Segrè è Preside. “Last Minute Market – spiega – è sorta da una ricerca condotta a livello produttivo e sociale. Gli addetti al progetto stimano che il 95% dei prodotti alimentari ritirati dalle mensole da parte dei negozianti sia perfettamente consumabile.

Ogni anno vengono smaltiti lungo tutta la catena agroalimentare italiana circa 20 milioni di tonnellate di prodotti agroalimentari ancora perfettamente consumabili, pari ad un valore di mercato di circa 13 miliardi di euro (dati riferiti al 2009 e pubblicati in: A. Segrè, L. Falasconi, Libro nero dello spreco in Italia: il cibo, Edizione Ambiente, Milano, 2011).

Soffermandoci solo su quanto non viene raccolto dai campi italiani e riferendoci al 2010 lo spreco totale ammonta a ben 14 milioni di tonnellate equivalenti a 12,6 miliardi di m3 di acqua virtuale utilizzata per produrre cibo che viene poi gettato, quindi proprio uno spreco nello spreco (dati che verranno pubblicati in: A. Segrè, L. Falasconi, Libro blu dello spreco in Italia: l’acqua, Edizione Ambiente, Milano, 2012). Di qui la nostra iniziativa. L’obiettivo del LMM è, infatti, trasformare lo spreco in risorsa”.

Perché un nome come quello di mercato dell’ultimo minuto? “Il nome dato all’iniziativa – chiarisce il professore – deriva dal fatto che il progetto crea un mercato parallelo, appunto, dell’ultimo minuto, perché i beni sono prossimi alla scadenza o perché in via di dismissione. Non solo. Il nome Last Minute Market fa pensare al fatto che il mercato va incontro ai più indigenti”.

Il progetto, che coinvolge circa quaranta città italiane, promuove lo sviluppo del consumo sostenibile tramite l’organizzazione della raccolta, presso supermercati, bar ed altri centri commerciali, di tutti quei beni che, in quanto vicini alla scadenza o per imperfezioni estetiche, risultano invendibili e vengono, dunque, smaltiti dai rivenditori. Questo surplus inutilizzato può dunque essere prelevato e messo a servizio della comunità dei cittadini indigenti, dei senza tetto, delle Onlus e delle associazioni di beneficenza. L’iniziativa che, si è visto, contribuisce alla riduzione dello spreco in tutte le sue forme, previene e riduce i rifiuti attraverso la valorizzazione dei beni invenduti, dà lavoro a quattro soci, in modo stabile.

“Dopo alcuni anni di studi e ricerche universitarie nel 2000 il LMM – aggiunge Segrè – ha messo a punto il primo sistema professionale in Italia di riutilizzo di beni invenduti dalla Grande Distribuzione Organizzata. I modelli logistico-organizzativi adottati permettono di recuperare in totale sicurezza tutte le tipologie di prodotto, inclusi i prodotti che rientrano nelle categorie dei “freschi” e “freschissimi”. LMM infatti non gestisce direttamente i prodotti invenduti, non ha magazzini né mezzi propri per il ritiro.

Si limita a far incontrare domanda e offerta e garantisce che tutte le fasi del sistema siano gestite in totale sicurezza. Oggi, le attività di LMM riguardano: prodotti alimentari, eccedenze di attività commerciali e produttive, prodotti ortofrutticoli non raccolti e rimasti in campo, pasti pronti recuperati dalla ristorazione collettiva (es. scuole, aziende), farmaci da banco e parafarmaci prossimi alla scadenza, libri o beni editoriali destinati al macero, tutti i beni non alimentari. Di recente, sono state avviate dalla struttura tre iniziative: Legge Antisprechi, CarociboAncora utili. Per info.

Ma tutto questo, come si diceva agli inizi, sperando che quanto prima il nostro lifestyle cambi ed impariamo a consumare il giusto, come scrive lo stesso Segrè nell’ultimo libro:“Basta il giusto” – (quanto e quando) – lettera a uno studente sulla società della sufficienza”, pubblicato di recente dalla casa editrice Altreconomia.

Il testo, tascabile, rappresenta un manifesto per un nuovo civismo ecologico, etico, economico ed un invito a fuoriuscire quanto prima da una società, in cui “il deserto cresce”, per dirla con Heidegger e ritrovare il senso del limite, il valore del dono e della condivisione, della responsabilità e della partecipazione. Le possibilità di farcela per il Preside ci sono e sono tante.

“La triade – scrive – crescita – consumo – debito è un’invenzione, né buona, né cattiva che, però, ci sta stritolando. Per scongiurare una catastrofe annunciata, non c’è tempo da perdere. Occorre incamminarsi verso un’opulenza frugale, un’abbondante sobrietà, un’eccessiva semplicità. Insomma, dobbiamo prendere la strada degli ossimori, delle contraddizioni solo apparenti, ma ricche, che ci portano lentamente, ma per davvero a meno ben- essere e più ben vivere. Perché per vivere, consapevolmente e responsabilmente, non basta esistere”.

Sì, ma la strada per arrivarci? Per il professore passa dal cosiddetto metaconsumo, che si può leggere in due modi: ridurre i consumi della metà (?), ma anche andare oltre i consumi, ripensarli, trasformarli. Ma qual è il giusto, chi lo stabilisce, e soprattutto, ne esiste uno universalmente valido? Ovvio che no. Per l’autore, è una questione soggettiva, che dovrebbe essere misurata, stabilita da ciascuno di noi. Per il professore diventerà più semplice, se riusciremo a liberarci da quella bulimia dei desideri, che spesso ci provoca un’anoressia emotiva.

Dunque, dovremmo smettere di desiderare? “Sì – ma solo l’inutile – fa capire – quello che poi buttiamo, che non sappiamo sfruttare. Imparare ad andare oltre. Questa sembra la parola d’ordine, cominciare da un modo diverso di pensare al consumo. Più critico”. Ma il lusso? Cosa dire di chi acquista gioielli, cambia spesso cellulare o pc? Quello per Segrè è antietico. Dovremmo riempire, soddisfare il nostro spirito più che assecondare la voglia di esibirci o peggio, di colmare un vuoto: la paura dei nostri limiti, della morte, della malattia, della vecchiaia”.

Dunque, auspicabile l’avvento di un francescanesimo? Segrè non parla proprio in questi termini, ma fa capire che non si può perdere più tempo. Va ripristinato il nostro rapporto con la natura, la Terra, che stiamo facendo impoverire. E, soprattutto, con noi stessi. Basta con i consumi che pensiamo creino un’identità forte e ambita. Imbocchiamo il sentiero della sobrietà. “Riscopriamo la nostra sovranità di consumatori – dice – e produttori, che invece abbiamo delegato ad altri: al marketing, alle multinazionali, sempre e comunque a qualcun altro.

Dobbiamo riprendere in mano il nostro carrello della spesa, per spingerlo anche con il cervello. Lo spreco non è soltanto un fallimento del mercato, è il suo valore aggiunto. Occorre quindi uscire dalla logica del rifiuto dunque (non) sono. La civiltà moderna tende a rimuovere il rifiuto, fisicamente, ma soprattutto mentalmente. E’ il rifiuto del rifiuto. Che poi ci porta a rifiutare, non solo le cose, ma anche le persone, l’altro, il diverso. E alla fine pure noi stessi”.

In tutto questo, che ruolo potrebbe avere la Chiesa? “La Chiesa – replica il professore – dovrebbe cominciare a rivedere le sue posizioni sull’uso del profilattico. Il problema demografico va risolto. Siamo sette miliardi. E tra qualche anno saremo nove”.

Ci sono partiti politici, che oggi vede attenti a questi temi? “Sinceramente – dice Segrè – no. Non ne vedo. E non vedo neanche un progetto concreto, che ci faccia deviare. I verdi? Non vedo nulla di concreto. Mi auguro solo che si faccia presto”. Ma senza scadere in una furia ideologica, che dice no a tutto in modo aprioristico, giusto? “Certo – fa sapere- ad illuminarci devono essere sempre il senso dell’equilibrio e del limite”.


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