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Il dissenso creativo e la fine del mondo

La politica dovrebbe essere creativa, al limite dell’immaginazione e della visione. Immaginare una città sotto l’aspetto delle relazioni umane in modo creativo, fantastico e perché no ironico, potrebbe essere il volano per un tanto auspicato (da chi?) cambiamento. Quello che siamo (la natura creata da dall'uomo) e quello che vediamo (la natura), occorre metterli insieme per capire come vogliamo essere.

La politica dovrebbe essere creativa, al limite dell’immaginazione e della visione. Immaginare una città sotto l’aspetto delle relazioni umane in modo creativo, fantastico e - perché no? - ironico, potrebbe essere il volano per un tanto auspicato (da chi?) cambiamento. Quello che siamo (la natura creata da dall'uomo) e quello che vediamo (la natura), occorre metterli insieme per capire come vogliamo essere.

Il cambiamento è di per se creativo, e si scontra sempre, nello spazio e nel tempo, con chi detiene il potere, che ha paura di ogni forma di dissenso, soprattutto quello visionario, per intenderci quello della “rivoluzione culturale”. Il potere tende ad imprigionare ogni speranza e necessità di miglioramento. Oggi, il politico, per conto della classe dominante, mette in atto nel suo essere, nei suoi comportamenti, sia manifesti che latenti, una sorta di ripudio verso qualsiasi forma di dissenso.

Il tanto vituperato diritto a criticare, a cui tutti dovremmo essere sottoposti, oggi assume, a destra ed a sinistra, una connotazione che passa dall'offesa volgare (attacchi personali) al “discorso pretestuoso” (incapacità di elaborare pensieri intelligenti). Le critiche fanno riflettere e creano pensiero, e la generazione del pensiero determina lo stravolgimento dello status quo, cioè in primis mette in dubbio il potere stesso.

Ma il dissenso, non fa paura soltanto alla comunità dei detentori del potere (pochi, capaci di organizzarsi), ma anche ai cittadini, alla comunità dei cittadini (molti, incapaci di organizzarsi). Anche nella società si percepisce un vento conformista, una quasi necessità primordiale di portare i cervelli all'ammasso, tipico di chi non vuole alcun cambiamento per l'intera collettività, ma si accontenta del proprio.

La scolarizzazione a livello universitario, cioè un’istruzione di massa diffusa, non più per combattere l’analfabetismo ma per rendere più dotto e consapevole l’individuo, avrebbe potuto giovare alla causa. Ma non ha contribuito a mutare lo status di cittadino, inteso in termini di collettività, ma soltanto il livello individuale, poiché consente a chi è escluso di potersi includere e lasciare la condizione dei tanti.

Purtroppo le nuove generazioni, anche se animate da buoni propositi, alla lunga (che in termini temporali, è brevissimo), preferiscono conformarsi o meglio uniformarsi, adattandosi al contesto, per evitare l’esclusione anche dallo status dei tanti.

E' proprio la natura creata dall'uomo ad essere restia ad ogni forma di cambiamento. La speranza di cambiamento porta con se, la paura dell’imprevisto, posizione legittima, ma assolutamente in contrasto con la natura del mondo che si evolve sempre, addirittura girando attorno a se stessa.

In realtà, la natura ci spinge ai cambiamenti, alle mutazioni e se riflettiamo, con il passare dei secoli i cambiamenti in natura (più veloci), e nell'uomo (meno veloci) sono sempre più repentini.

Forse, quando i cambiamenti saranno attuali, immediati, proprio lì, in quel punto, sarà la fine del mondo.

 

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