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Il caso Pasquasia. Un buco nel sale

La miniera dismessa di Pasquasia da decenni è sospettata di essere un deposito illegale di smaltimento di residui pericolosi. Dopo il fallimento del sito di Scanzano,
ecco l’alternativa. Con tanto di mafia pronta a entrare nell’affare 

Questa storia ha un inizio, una fine (temporanea) e un centro: Pasquasia. Una miniera di zolfo, solfato di potassio e salgemma nelle vicinanze di Enna in Sicilia, chiusa nel 1992 per ragioni non ancora completamente chiarite visto che all’epoca i giacimenti risultavano ancora molto lontani dall’essere esauriti. La serrata della miniera, che per qualche secolo ha rappresentato una delle più importanti fonti occupazionali per le Province di Enna e Caltanissetta, è stata operata dall’Italkali Spa, che fino alla sua chiusura rappresentava la terza azienda al mondo come fatturato e la prima per qualità nel suo specifico settore. Poi di colpo l’impianto chiude. E capirne la ragione è davvero difficile. Qualche centinaio di disoccupati in più (fra diretti e indotto) in un’area con tassi di disoccupazione elevatissimi dovrebbe fare scalpore anche in sede politica e istituzionale. E invece niente. Silenzio. Solo qualche “voce” che, passando gli anni, diventa sempre più insistente: parte dei terreni apparterrebbero a persone in odore di Cosa nostra e nella miniera, da decenni, sarebbero finiti illegalmente molti rifiuti pericolosi e perfino radioattivi.

Le voci. «Tutte fantasie, preoccupazioni infondate», affermano per anni gli amministratori in sede locale. Ma qualcuno si preoccupa e cerca di andare sul luogo a vedere che cosa ci sia di vero in quelle “fantasie”. Nel 1997 alla Regione Sicilia c’è un assessore all’Ambiente e al territorio, Ugo Maria Grimaldi divenuto poi parlamentare del Pdl, che si alza dalla propria poltrona e a Pasquasia ci va. E il suo racconto è allarmante: «Nel 1997 ebbi a dichiarare la mia grande preoccupazione perché in base a un’indagine che era stata condotta dall’oncologo Cammarata su casi di leucemia e tumori, si era verificato un certo preoccupante loro incremento - ha dichiarato Grimaldi recentemente -. Quando cercai di entrare a Pasquasia con dei tecnici, con degli esperti del mio assessorato, incontrai grande difficoltà ad accedervi. Non volevano nel modo più assoluto che si vedessero i pozzi».

Quando, dopo insistenze, il politico e i suoi tecnici riescono a entrare all’interno della miniera, la cosa più evidente che notano sono le bocche d’aria, o sfiatatoi, con un diametro di più di 15 metri, che erano stati riempiti con materiale inerte. «E non si tratta di materiale buttato dentro casualmente come può verificarsi in una miniera temporaneamente chiusa - prosegue Grimaldi -. Qui si tratta di tir carichi di materiale» scaricati «per seppellire e nascondere un qualcosa».

Nel 1996, Giuseppe Scozzari, avvocato e docente e all’epoca deputato dell’Ulivo, aveva condotto anche lui un’indagine. Secondo Scozzari, l’ex miniera di Pasquasia era stata trasformata in un deposito di scorie radioattive, senza alcun consenso formale da parte dello Stato e gestito da organizzazioni criminali. L’indagine di Scozzari era stata innescata da un documento diffuso a Washington all’inizio del 1995, presentato nel corso di una conferenza sullo stoccaggio e messa in sicurezza del combustibile nucleare esausto. In quel documento si leggeva che «in Europa occidentale ci sono una mezza dozzina di siti perfettamente funzionanti dove si depositano scorie di basso e medio livello». Tra questi era indicata anche la miniera ennese. Possibile che nessuno sapesse? «I siti con presenza di salgemma sono stati ritenuti particolarmente idonei per anni per il confinamento delle scorie radioattive in virtù dell’impermeabilità all’acqua delle strutture saline - racconta Massimo Scalia, docente a “La Sapienza” di Roma e per numerosi anni presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti -.

Questa cosa ha avuto una clamorosa smentita quando in un sito sperimentale nel New Mexico moltissima acqua “antica”, rimasta all’interno delle strutture geologiche, ha invaso il deposito. Da qui il crollo del mito dei siti con salgemma come soluzione al problema scorie. Ma visto che noi siamo in Italia e che le cose ci arrivano sempre in ritardo, si è pensato comunque di aver individuato la soluzione prima a Scanzano in Basilicata (altro sito con salgemma) e poi in altri 5 siti in Sicilia fra cui Pasquasia».



Non era un’idea nuova, ci si pensava da tempo. Nel 1984, infatti, l’Enea (ancora all’epoca Ente nazionale per l’energia atomica) avviò a Pasquasia uno studio geologico, geochimico e microbiologico sulla formazione argillosa e sulla sua resistenza alle scorie nucleari attraverso la costruzione di una galleria profonda 50 metri e successivamente sigillata. Perfino i servizi si sarebbero interessati al sito. Negli stessi anni in cui si muoveva l’Enea, alcuni funzionari del Sisde avrebbero infatti contattato l’allora amministrazione comunale per richiedere un’autorizzazione a seppellire a Pasquasia materiale militare. Di quale materiale si trattasse, però, non è dato sapere. Nel 1997, uno studio epidemiologico effettuato nella Provincia di Enna, rivelò un allarmante incremento di tumori già a partire dai primi anni Novanta, con un aumento di casi del 20 per cento nel solo biennio 1995-1996. E il sito rimase anni senza controllo.

Dopo la chiusura non venne più monitorato dal Corpo regionale delle miniere. Poi, per alcuni anni, solo società di vigilanza private, anche loro oggi rimosse.
La mafia davvero è stata estranea a quello che potenzialmente si presentava, e presenta, come un business miliardario? A smentire la tesi “minimalista” sono le dichiarazioni del pentito Leonardo Messina che al procuratore Vigna disse di aver assistito a scorribande di strani camion che nella notte scaricavano barili e barili di materiale radioattivo nelle profondità della miniera. E Messina non è uno qualunque. Mafioso di Caltanissetta, uomo di spicco di “Piddu” Madonia, membro della cupola di Cosa nostra. Come “copertura”, fino al momento dell’arresto nel 1992, si era procurato un lavoro normale. È una coincidenza che fosse proprio un caposquadra nella miniera di Pasquasia? Ugo Maria Grimaldi è convinto di no: «Sono sicuro che quando il procuratore generale antimafia Vigna ebbe a sostenere in televisione che la dichiarazione del pentito Leonardo Messina su Pasquasia era una dichiarazione attendibile, avvalorava la mia ipotesi».

Intanto le indicazioni che emersero nel 2003 al termine della riunione fra i ministri di allora Matteoli, Marzano, Giovanardi, Pisanu e del sottosegretario Letta: «Pasquasia potrebbe essere uno fra i venti siti nazionali individuati dal governo». E oggi la situazione potrebbe avere un’improvvisa accelerazione. Dopo anni di attesa sono iniziate le bonifiche delle aree industriali dismesse ad alto rischio ambientale. «L’impostazione ideologica tutta italiana delle strutture in salgemma sicure da infiltrazioni d’acqua - conclude Scalia - potrebbe far venire la tentazione di usare soluzioni del genere per i materiali prodotti dalle bonifiche e che nessuno sa dove stoccare in sicurezza». A qualcuno la tentazione è, puntualmente, venuta. «I cittadini di Enna potrebbero stare tranquilli in quanto la miniera non potrebbe ospitare più pericolosissimi rifiuti radioattivi e la zona potrebbe trarre un adeguato ristoro economico». Questo ha recentemente dichiarato il deputato regionale dell’Mpa Giuseppe Gennuso. Niente scorie ma, per la prima volta, emerge con chiarezza che l’ipotesi di fare di Pasquasia un deposito di scorie radioattive era più che “una voce”. La domanda è: e per quanto riguarda la presenza di cesio 137 rilevata dall’indagine sanitaria del 1997 che si fa? Si fa finta che non esista? 

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, 19 dicembre 2008

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