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Il Terzo Polo? Un’idiozia in una politica che non ammette centro

Parlare di terzo polo o terza via, nel confronto con berlusconismo e con il leghismo, è un’idiozia bella e buona. Tra seguaci del Capo e demolitori dell’unità nazionale da una parte, ed i cittadini della Repubblica Italiana dall’altra, non esistono posizioni intermedie. Non esiste, in questo confronto, nessun possibile centro.

Nel momento in cui il Paese affronta, dopo un ventennio di sostanziale stagnazione, una crisi economica gravissima e rischia un tracollo finanziario di portata storica, trovo esasperanti i tatticismi dei politicanti nostrani di fronte alla gravità inaudita della minaccia rappresentata, ora più che mai, da berlusconismo e leghismo nei confronti della Costituzione repubblicana e dell’unità nazionale.

Si parla della nascita di un terzo polo, costituito dai finiani e dai rottami democristiani di Casini, facendo riferimenti ad una geografia politica che aveva forse senso ai tempi della prima repubblica, ma che ora non ne ha alcuno.

In Italia, che si è lasciata il fascismo alle spalle da un settantennio e non ha mai conosciuto un regime sovietico, la divisione tra destra e sinistra, in questa epoca in cui non sopravvivono né veri comunisti, né veri liberisti, ha ancora senso, ma non è certo determinante. Dovrebbe contraddistinguere diverse sensibilità nei confronti dell’economia e della società, ma nella pratica fornice solo pretesti a chi, agitando gli stracci dell’ideologia e soprattutto proclamandosi contrario a questo o quest’altro –ismo storico, nasconde la propria totale mancanza di un progetto un politico che vada oltre gli interessi personali propri e dei propri famigliari.

Una politica tribale che trova nella pseudo destra di governo, ed in particolare nel PdL, la sua massima espressione; l’anticomunismo è il grande artificio retorico di un partito che non esiste e che esaurisce nella fiducia al Capo, padre e padrone, ogni proprio ideale.

Un anticomunismo che diviene ancora più risibile quando si pensa alle biografie politiche del "compagno" Silvio Berlusconi, notorio – la parola ci sta benissimo – socialista e di tanti suoi ministri e manutengoli che hanno militato, anche in età non giovanissime, tra le file della sinistra più estrema.

La verità evidente è che pochissimi ormai credono che il profitto sia in sé un delitto e altrettanto pochi pensano che il libero mercato, da solo, sia sufficiente a garantire il progresso sociale ed economico; al terzo polo, tra liberismo capitalista e collettivizzazione comunista, da questo punto di vista, appartengono quasi tutti i cittadini italiani. Proclamarsi di centro, dunque, non vuole dire sostanzialmente nulla.

In tutto il mondo, ma soprattutto in Italia, la vera divisione del campo politico è tra libertari e non; tra chi crede che la libertà sia il valore fondamentale su cui vada costruita la società e che dalla difesa di questo valore discendano tutti gli altri e chi ritiene che la libertà possa essere barattata per un’illusione di sicurezza o di benessere.

E’ la divisione, globale, tra i fautori di governi forti e società chiuse, e i sostenitori delle democrazie liberali con equilibrio tra i poteri dello stato e società quanto più possibile aperte, che in Italia, patria del berlusconismo e del leghismo, si fa ancora più radicale che nelle altre democrazie occidentali.

Nel nostro Paese l’esecutivo ha gia espropriato il parlamento del proprio potere, accaparrandosi surrettiziamente la funzione legislativa grazie all’uso spregiudicato della decretazione d’urgenza, come è accaduto anche in altri stati, ma solo in Italia assistiamo al tentativo, da parte del governo, di controllare anche il potere giudiziario per farsi super- potere. Il potere del governo italiano, che già controlla i due principali poteri extra istituzionali, quello economico e quello dell’informazione, minaccia anzi di diventare assoluto; più assoluto di quello delle grandi dittature del XX secolo.

Silvio Berlusconi, dette nelle parole più semplici, è a un passo, ad un successo elettorale di distanza, dal diventare padrone dell’Italia in un modo tanto totale da far impallidire il ricordo di Benito Mussolini che, forzato alla convivenza con il Re, a capo di un partito tutt’altro che monolitico, il PNF, e senza grandi ricchezze personali ebbe sempre a che fare, seppur da dittatore, con dei contropoteri.

Gli unici condizionamenti che subirebbe Silvio Berlusconi, in caso di una vittoria elettorale della sua coalizione nelle elezioni prossime venture, verrebbero dalla Lega e questo, per la società italiana, è quanto di più tragico si possa immaginare.

La Lega è il ventre oscuro – No, non il cuore – di un Italia settentrionale rimasta contadina dentro, che ha paura del nuovo, del diverso e che vorrebbe rispondere alle sfide della modernità negando che esistano. E’ un settentrione alto-medioevale, quello che si riconosce nella Lega, che pensa di potersi garantire un futuro alzando il ponti levatoi e rinforzando le mura del castello.

Bossi, che conosce la sua gente, come credo di conoscerla io, speculando sulle sue paure ha costruito un mostro e, non contento, lo ha reso ancora più spaventoso imbarcando elementi come i Borghezio ed i loro sostenitori che rappresentano, semplicemente, il peggio che la civiltà italiana abbia mai espresso.

In questo momento chi non riesce a capire la superiore esigenza di arrestare la deriva democratica del paese, e a subordinare a questa necessità la propria azione politica, è, di fatto, un alleato i Silvio Berlusconi e della Lega: il discorso vale per Casini come per Grillo, per il neo-liberale Fini come per Di Pietro o, se non riuscisse a coagulare attorno a sé una colazione, per Bersani.

Prima ci si assicuri che il paese abbia un futuro democratico, si cambi la legge elettorale e si spezzino i monopoli dell’informazione, poi, solo poi, si torni a fare la politica politicante che tanto piace ai nostri capi e capetti; ora, lo ripeto, non è il momento.

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