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Il PM, il sindaco e il lavavetri

Riflessioni sulla sicurezza. Le tendenze attuali.

La legge sulle intercettazioni, ormai prossima all’approvazione definitiva, ha riaperto il dibattito sulla sicurezza. In un altro articolo ho cercato di spiegare come questa legge limiti notevolmente la possibilità per i magistrati di avvalersi delle intercettazioni. Molti hanno sottolineato come questo strida con i tanti proclami che la maggioranza attuale ha sbandierato in tema di sicurezza.

 

Se questo è vero, c’è però anche dell’altro. Sta maturando negli ultimi anni e soprattutto con il governo attuale un modo diverso di concepire la sicurezza e di garantirla. Questo modo diverso di concepire la sicurezza si può riassumere in un’espressione: una sicurezza politicizzata.

Questo concetto è in fase di attuazione con provvedimenti diversi che tendono tutti allo stesso fine.

Da un lato è in atto una trasformazione e riduzione del ruolo del Pubblico Ministero.

La Costituzione del 1948 ha avuto il grande merito di sottrarre il PM al controllo del governo, che nel periodo fascista aveva portato a risultati che conosciamo, e di farne un magistrato indipendente, soggetto solo alla legge.

Il nuovo codice di procedura penale del 1988, che aveva l’ambizione di attuare i principi della Costituzione in questa materia, ha dato effettività al ruolo indipendente del PM conferendogli il potere di avviare, di propria iniziativa, delle attività di indagine. Questo implica che il PM può ricercare lui stesso delle notizie di reato, senza aspettare che sia la polizia giudiziaria a segnalargliele. La polizia giudiziaria, infatti, è organicamente composta da corpi di polizia dipendenti dal governo (polizia, carabinieri, guardia di finanze, ecc…) e il governo quindi avrebbe gioco facile nel vietarle, anche implicitamente, di occuparsi di indagini troppo “scomode” che in questo modo non arriverebbero mai sul tavolo del Pubblico Ministero. Solo il magistrato, indipendente da ogni altro potere, ha l’autonomia necessaria per occuparsi di tutte le indagini, anche quelle che toccano gli interessi dei potenti. La posta in palio di questa che può sembrare una questione da codicilli è in realtà la stessa uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.

Questa grande conquista del 1988 sembra destinata a sparire. Il disegno di legge n.1440 del 6 febbraio 2009 recante “Disposizioni in materia di procedimento penale, ordinamento giudiziario ed equa riparazione in caso di violazione del termine di ragionevole durata del processo” priva il Pubblico Ministero di questo potere e ripristina la situazione prevista dal codice del 1930. Il PM sarà così ridotto ad un semplice passacarte destinato ad aspettare che la polizia giudiziaria porti sulla sua scrivania le indagini di cui occuparsi. La soppressione di un semplice articolo del codice ha dunque l’effetto devastante di svuotare di sostanza il ruolo del PM.

Questa proposta del governo probabilmente è la soluzione peggiore che si potesse trovare ad un problema importante, quello dell’esercizio dell’azione penale, cioè la scelta del PM di chiedere un processo per una determinata inchiesta. La Costituzione, art. 112, prevede l’obbligatorietà dell’azione penale, vale a dire che il Pubblico Ministero non può scegliere di occuparsi di certe indagini piuttosto che di altre, ma deve esaminarle tutte e richiedere un processo per tutte quelle che lo meritano. Anche in questo caso l’obiettivo della Costituzione era di garantire l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, costringendo il PM a occuparsi di ogni denuncia, anche di quelle “scomode”.

Questo obiettivo tuttavia si è mostrato da subito utopico. Il numero delle notizie di reato è così grande e le risorse della magistratura sono così limitate che è oggettivamente impossibile per i PM trattarle tutte. Nella pratica, quindi, è necessaria una scelta, una selezione delle notizie di reato da trattare.
Questa scelta pone problemi enormi, è l’ago della bilancia di uno Stato di diritto, poiché è la scelta, da parte dello Stato, dei fatti e delle persone verso i quali dirigere la propria azione punitiva, la repressione penale, che è la più forte manifestazione della sovranità.

Sintetizzando, quattro ipotesi sono possibili.

1 - Lasciare questa scelta al singolo magistrato. Soluzione che contiene un rischio di arbitrio ma che garantisce la repressione anche dei poteri forti. È l’attuale situazione italiana.

2 - Prevedere dei pubblici ministeri eletti direttamente dal popolo, come accade negli USA, di modo che sia il popolo stesso ad indicare con il proprio voto ad un candidato quali reati preferisce che siano perseguiti, ma con il rischio di un uso politico della giustizia da parte di “PM-uomini di partito”.

3 - Sottomettere il pubblico ministero alle direttive del ministro della giustizia, come avviene in Francia, con il vantaggio dell’uniformità ma con il rischio di una auto-immunizzazione della classe politica o peggio di derive autoritarie che noi italiani abbiamo già conosciuto.

4 - Lasciare al Parlamento, con una legge periodica, l’onere di stilare una lista dei reati da perseguire con priorità, soluzione soddisfacente dal punto di visto della democraticità ma che non esclude il primo rischio della soluzione precedente.

Come si intuisce, nessun sistema è perfetto. Come tutto del resto in campo giuridico.

A quanto pare l’attuale maggioranza, che pure contiene spinte verso il sistema americano, in particolare con la Lega Nord, ha preferito lasciare formalmente intatto lo status quo, cioè la prima soluzione, ma l’ha stravolta dall’interno privando il PM di ogni potere autonomo di indagine. Il risultato così è lo stesso di un PM sottomesso al ministro della giustizia, ma con grande abilità se non malizia si interviene “a monte”, facendo quella famosa selezione non sul tavolo del pubblico ministero ma nelle camionette della polizia.

Come anticipato, il ruolo del PM viene quindi nello stesso tempo trasformato e ridotto. La repressione penale, passando sostanzialmente per le mani del governo, subisce un’inevitabile politicizzazione, con tutti i rischi connessi.

Questa politicizzazione sta passando anche per altri due provvedimenti.

Il primo riguarda i famosi “sindaci-sceriffi”. Un decreto del ministro dell’intero del 5 agosto 2008 (http://www.altalex.com/index.php?idstr=39&idnot=42642) attribuisce ai sindaci il potere di emanare ordinanze “al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l´incolumità pubblica e la sicurezza urbana”. I sindaci disponevano già di poteri di ordinanza. La novità sta nell’aggiunta di quelle due paroline: “sicurezza urbana”. Mentre prima i sindaci potevano intervenire in situazioni estreme, come evacuare una città in caso di calamità naturale, oggi questo potere diventa ordinario. Si attribuisce al sindaco in modo normale e non più eccezionale una parte del potere punitivo. Questo provvedimento è stato concordato dal governo con l’ANCI, Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, ed è quindi trasversale a tutte le forze politiche. Infatti sono seguite in tutta Italia innumerevoli ordinanze in una sorta di “gara al sindaco più fantasioso”: divieto di lavare i vetri ai semafori, divieto di mangiare sulle scale delle chiese, divieto di sdraiarsi sulle panchine, divieto di riunirsi nei parchi pubblici in più di 5 persone, divieto per i poveri di fare l’elemosina nelle zone più turistiche della città, ecc …. Il buon senso è sufficiente per capire come questi provvedimenti spesso non abbiano alcuna efficacia (si pensi al povero mendicante, multato per aver fatto l’elemosina nella zona in cui è vietato, che per pagare la multa deve andare a fare l’elemosina in un’altra zona …) ma siano solo “annunci” politici, “messaggi”, spesso “grida” rivolte ai cittadini-elettori per mostrarsi “paladini della sicurezza”. Questo era il rischio prevedibilissimo dall’attribuzione di questi poteri ad un organo politico, quale è il sindaco. Gioco forza la sicurezza è diventata ancora di più materia da competizione elettorale e la conseguenza è un sistema “feudale” di sicurezza, in cui spostandosi dal comune comunista al comune leghista cambia la soglia di ciò che il cittadino può e non può fare.

Questo rischio è tanto serio che altrove, per lo meno nei paesi con una tradizione politico-giuridica simile alla nostra, si sono presi provvedimenti opposti. In Francia, ad esempio, da tempo la legge ha privato i sindaci delle grandi città di poteri di polizia. A Parigi, Lione, Marsiglia, ecc … il sindaco non si occupa di sicurezza e nella campagna elettorale non se ne parla, perché quelle competenze spettano al “prefetto di polizia”, rappresentante del governo, quasi sempre un burocrate sconosciuto alla popolazione. L’idea sottostante è che nelle grandi città la sicurezza è un grande problema che rischia di diventare oggetto di bagarre politica e si è quindi preferito sottrarre un argomento così delicato alla competizione elettorale e lo si è attribuito ad un grigio funzionario, un professionista della sicurezza, che risponda al rispetto della legge e non agli umori della piazza.

Da noi queste considerazioni non sono state fatte. Come se non bastasse, questa politicizzazione della sicurezza sta ricevendo un’altra spinta con l’istituzione, apparentemente vicina, delle “ronde”, gruppi di cittadini non armati che collaborano con le forze dell’ordine al controllo del territorio. Senza soffermarci sulle motivazioni politiche di questa scelta, è da segnalare la generale contrarietà delle forze dell’ordine, che vedono le ronde più come un problema aggiuntivo che come una soluzione. Il rischio, infatti, è che in questi gruppi si infiltrino fanatici estremisti, ideologizzati politicamente o peggio dei “bravi” del signorotto di turno. Grandi perplessità sull’argomento sono state espresse anche da un ex-ministro dell’interno di un governo di centro-destra, l’onorevole Giuseppe Pisanu (http://www.repubblica.it/2009/02/se...)

La sicurezza quindi è in una fase di politicizzazione che sta creando delle tensioni o peggio delle deformazioni al nostro ordinamento di pubblica sicurezza.

Quel che sconcerta, è che un sistema che ha tenuto con efficacia agli anni di piombo, al terrorismo rosso e nero, allo stragismo mafios, venga stravolto dalla terrificante minaccia del secchiello di un lavavetri…

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