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Il Giornale lancia la fatwa contro i viscidi giornalisti

"una volta creato l’esempio gli altri giornali di sinistra si guarderanno dal continuare ad offendere il premier e la sua coalizione"

In uno scambio epistolare su Il Giornale di Feltri, sotto il titolo «La vera democrazia ha i suoi costi Tra questi,Travaglio», un incognito lettore espone la strategia da applicare per ottenere il "rispetto nei confronti di Berlusconi": la decimazione. Colpirne uno per educarne cento.

Uno dei tanti motivi per essere in piazza il 3 ottobre

Nella rubrica La stanza di, Mario Cervi pubblica su Il Giornale del 15/09/2009 questa lettera di un lettore che si firma Mario Tallarico:

"Non riesco a capacitarmi del fatto che si tolleri con tanta leggerezza il proliferare di giornali nuovi, vedi quello di Marco Travaglio, l’uomo più viscido della sinistra disfattista e sempre alla ricerca di nuovi modi per indebolire il premier, vista la continua ascesa dello stesso nel consenso degli italiani. Possibile che l’avvocato Ghedini non riesca a trovare un reato plausibile per la chiusura di queste «vipere» che strisciano con il continuo intento di mordere il premier e causarne la morte politica? Un giornale che palesemente offende e denigra il capo del governo va subito chiuso. Lasciamo poi le critiche a chi è nato per criticare tutti gli avversari politici. Una volta creato l’esempio gli altri giornali di sinistra si guarderanno dal continuare ad offendere il premier e la sua coalizione. Possibile che non si riesca a trovare una norma che preveda l’attentato morale al capo del governo? Io credo che l’unica soluzione a questo continuo stillicidio di calunnie sia quello di rispondere con i sistemi usati (che io non approvo) da Putin nei confronti della Georgia, e della Cina nei confronti dei monaci tibetani: «La forza». Dopo una serie di bastonate inflitte a Franceschini, D’Alema, Travaglio, Santoro e Maurizio Mannoni, si vedrebbero subito i risultati, si vedrebbe il ritorno del rispetto nei confronti di Berlusconi."

La risposta di Mario Cervi si conclude con:

"Da giornalista non approvo nessuna chiusura di giornale. Voci diverse - incluse le più ostili - sono utili alla dialettica delle idee. E poi le «bastonate» generano martiri. La sinistra è bravissima nell’atteggiarsi a perseguitata anche quando non lo è. Lo spostamento d’una emissione televisiva diventa, nell’ottica del vittimismo, un brutale diktat staliniano. Evitiamo di dare una mano agli specialisti di queste sceneggiate."

Questa lettera è rimbalzata in rete suscitando non poco sgomento. Ma aldilà delle reazioni di indegno per le espressioni usate come: "Marco Travaglio,l’uomo più viscido della sinistra disfattista", "«vipere» che strisciano", "un giornale che palesemente offende e denigra il capo del governo va subito chiuso", "una volta creato l’esempio gli altri giornali di sinistra si guarderanno dal continuare ad offendere il premier e la sua coalizione", "trovare una norma che preveda l’attentato morale al capo del governo", "rispondere con i sistemi usati (che io non approvo) da Putin nei confronti della Georgia, e della Cina nei confronti dei monaci tibetani: «La forza»", "bastonate". Ci si domanda: chi è questo Mario Tallarico che in queste righe sembra aver scritto il manifesto editoriale de Il Giornale di proprietà di Paolo Berlusconi e diretto da Vittorio Feltri. Esiste veramente un Mario Tallarico che invia una lettera tramite email al quotidiano di casa Berlusconi? E a raccogliere e pubblicare la missiva è Mario Cervi un anziano signore di 88 anni, tra i fondatori insieme a Indro Montanelli de Il Giornale di cui dal 1997 al 2000 ne divenne direttore facendo da trait-d’union tra Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro in questa carica.

In questo scambio epistolare, a leggere la lettera e la risposta data, si ci accorge di essere messi nella posizione del testimone che assiste ad una disputa tra una tesi "bastonare" e la sua antitesi "vittimismo". Non si discute sulla natura "viscido della sinistra disfattista", il lettore del giornale come il giornalista che gli risponde, sono concordi. Il titolo di presentazione della lettera nella rubrica lo conferma: «La vera democrazia ha i suoi costi Tra questi,Travaglio». Si discute del metodo. Il miglior metodo per eliminare "queste «vipere» che strisciano con il continuo intento di mordere il premier e causarne la morte politica". Iniziando con il metodo dolce: "possibile l’avvocato Ghedini non riesca a trovare un reato plausibile per la chiusura", e se il metodo Ghedini non funziona allora bisognerà "rispondere con i sistemi usati [...] da Putin, [...] e della Cina", cioè "«La forza»". A questi argomenti, un vero piano di azione, presentata dal lettore, il giornalista valuta e ne trae la conseguenza probabile: "le «bastonate» generano martiri" che i bastonati recuperano nel "vittimismo", e dunque "evitiamo di dare una mano agli specialisti di queste sceneggiate".

Adesso non vorrei che nella mente di chi sta leggendo si crei una prospettiva anacronistica. Questa pubblicazione de il Giornale è datata del 15 settembre e l’uscita del primo numero in edicola de Il Fatto Quotidiano, che è l’oggetto introduttivo della disputa, è in data del 23 settembre. Eppure il lettore s’indegna già del "proliferare di giornali nuovi, vedi quello di Marco Travaglio"  e ne decreta la chiusura. Una misura precauzionale? A una settimana dell’evento preventivamente messo a l’indice? Un giornale che nessuno ha ancora potuto tenere fra le mani e già se ne giudica e condanna il contenuto. Perché si sa, i giornali non c’è bisogno di leggerli per apprezzarne il valore. E poi basta guardare in faccia chi sono i direttori: Ezio Mauro, Concita De Gregorio, Marco Travaglio [in verità il direttore sarebbe Antonio Padellaro]. Ma ai lettori de Il Giornale bisogna evitare di complicare le idee e personalizzando le "«vipere» che strisciano" si butta all’esecrazione popolare le figure da colpire: "dopo una serie di bastonate inflitte a Franceschini, D’Alema, Travaglio, Santoro e Maurizio Mannoni, si vedrebbero subito i risultati, si vedrebbe il ritorno del rispetto nei confronti di Berlusconi"

Un’ultima parola: "rispetto". Non a caso "bastonate" e "rispetto" si accoppiano. Sono i valori e i modi virili che ogni capobastone, boss, capomafia, mammasantissima sa mettere in pratica per arrogarsi il "rispetto".

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