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Il Bat-loft, i bigotti e i borghesi che non ci sono più

Si leggono feroci critiche contro il buongusto  di Gabriele Moratti per il suo bat-appartamento; sono lecite e un paio di battute sono scappate anche a me, ma, se esagerate sanno di bigottismo e, ad ogni modo, mancano completamente il punto.

Immagino che quando il signor Guell si rivolse a Gaudì per fargli progettare il proprio palazzo, i bigotti del tempo saranno rimasti stomacati; io non amo Gaudì, continuo a pensare che fosse un buono scultore ed un pessimo architetto – una città progettata da lui sarebbe Gotham City – ma pure penso che il signor Guell avrebbe potuto sprecare i suoi denari in modi infinitamente più stupidi: avrebbe potuto investirli in una serie di Rolex Cro-Magnon o in una Lamborghini Neanderthal da esibire, come fanno molti nostri contemporanei, con lo stesso orgoglio con cui gli indigeni della Papuasia sfoggiano le lunghe zucchine che usano come guaine peniche.

I gusti, insomma, si discutono, ma ognuno ha poi il diritto a tenersi i propri e soprattutto, venendo a chi ironizza sull’amore per i fumetti del giovane Moratti, tutto si può fare tranne sindacare il modo in cui ognuno se le è formati.

Il bisogno del rolexone scaturisce da una terza rilettura della Recherche?

Sarà. Come può benissimo essere che chi sfoggia il lingotto al polso sia un raffinato gentiluomo: non basta certo una cafonata a fare il cafone.

La gravità del comportamento di Gabriele Moratti  sta, invece, tutta  nell’aver violato le leggi ed i regolamenti.

Gravità, di quello che appare come un caso d’ordinario malcostume, certo perché la madre è il sindaco di Milano, ma pure perché, dato il cognome che il ragazzotto porta, rappresenta una dimostrazione in più, se ve ne fosse stato bisogno, della scomparsa della borghesia italiana.

Italiani ricchi ve ne sono ancora, intendiamoci, ma borghesi, perlomeno nel senso etimologico del termine, civili abitanti del borgo, non n’esistono quasi più.

Il ricco italiano non ha, del borghese, né il senso di responsabilità né quello del decoro, non pensa affatto di dover restituire alla comunità una parte della propria fortuna o di dover mettere i propri talenti al suo servizio (al massimo pensa alla politica come ad un territorio in cui fare incursione per rapinare quanto più gli è possibile) ed ha scordato anche le regole minime del vivere borghese; soprattutto ha perso quel che un tempo era chiamato senso della decenza.

Un senso della decenza che non si materializzava in un bigotto conformismo - sono anzi proprio stati i borghesi i grandi innovatori dei costumi - ma nel rispetto di un codice di comportamento che aveva nella legalità il requisito minimo per l’accettazione sociale.

Una borghesia che considera un reato minore il falso in bilancio, per intenderci, non è più tale, è altro, come altro è una borghesia che accetti la menzogna, la continua ritrattazione e addirittura, violando la più fondamentale delle regole borghesi, il venir meno alla parola data.

Non c’è nessun bisogno di tirare in ballo i gusti architettonici, dunque, per affermare che molti dei ricchi italiani d’oggi avrebbero, ai borghesi del buon tempo che fu, letteralmente fatto schifo.

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