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ICONES a Punta della Dogana

Ha chiuso i battenti una delle due mostre annuali organizzate dalla Fondazione Pinault

 

Ha riscosso consenso e buone considerazioni critiche la mostra Icones, da poco conclusasi a Punta della Dogana, una delle tre sedi veneziane della Pinault Collection, presieduta da François Pinault, magnate e collezionista francese, che ogni anno mette in vetrina a Venezia pezzi pregiati di ciò che possiede nelle tre costruzioni da lui acquistate e aperte, una di seguito all’altra dal 2007, a partire da Palazzo Grassi, poi Punta della Dogana e il Teatrino di Palazzo Grassi, piccolo gioiello, acusticamente apprezzbile, in cui si fa cultura musicale, cinematografica e letteraria.

Icones ha presentato 80 opere, in 19 sale, tra capolavori della Pinault Collection e opere inedite di 31 artisti da tutto il mondo, nati tra il 1888 e il 1981.

Lo scopo era quello di invitare alla riflessione sul tema dell’icona e dello statuto dell’immagine nella contemporaneità.

Il termine icona ha due accezioni. L’etimologia rimanda ai concetti di immagine e somiglianza, mentre il suo utilizzo generalmente si riferisce ad un certo tipo di pittura religiosa, che caratterizza in particolare il cristianesimo orientale.

Nei tempi odierni, il termine è stato associato all’idea di modello o di figura emblematica.

La mostra ha inteso rivelare l’essenza dell’icona come vettore del passaggio verso un altro mondo o altri stati di coscienza (contemplazione, meditazione), attraverso un percorso scandito da spazi che costituiscono delle pause o cappelle nell’era della saturazione di immagini e della loro banalizzazione.

Erano presenti tutte le dimensioni dell’immagine nel contesto artistico contemporaneo : pittura, video, suono, installazione, performance.

Una particolare attenzione è stata dedicata, secondo la volontà dei curatori – la direttrice della Pinault Collection, Emma Lavigne, e il direttore e amministratore delegato di Palazzo Grassi-Punta della Dogana, Bruno Racine – alla relazione tra Venezia e l’icona a partire dalla fine del Medioevo, attraverso influenze diverse - bizantine, gotiche e fiamminghe - che hanno conferito alla Serenissima un ruolo di collegamento fra Oriente e Occidente.

Tra gli artisti, ha sorpreso nella sala 4 Camille Norment (Silver Spring, USA, 1970), che ha ideato una installazione multisensoriale, Prime (2016), composta da panche di legno, simili a quelle delle chiese, che emettono vocalizzi a contatto e attraverso le persone che le sollecitano.

Il visitatore entra in uno spazio che invita a una sosta condivisa, dove il suono è espressione di un’energia percepita e udita, poi ritrasmessa attraverso aria e legno, corpi e superfici. I visitatori sono percorsi dalle onde sonore che introducono, mediante i gemiti dei cori gospel afroamericani, a uno spazio di esperienza sensoriale che risveglia la memoria delle comunità nere.

L’artista è stata protagonista come musicista e compositrice di un’interessante performance attorno ai 50 minuti, nel teatrino di Palazzo Grassi assieme a due musicisti Jazz, Hamid Drake e Mette Henriette.

Il primo è un batterista afroamericano (Louisiana, 3 agosto 1955), richiesto da molti, ma anche leader di progetti propri.

Dotato di una tecnica, una sensibilità e un’attenzione che colpiscono appena lo si ascolta suonare, aveva già duettato con Camille.

La seconda è una giovane (27 novembre 1990) sassofonista tenore norvegese, di etnia sami, lanciata nel 2015 dal grande scopritore di talenti, Manfred Eicher, produttore della ECM Records, che ha suonato per la prima volta con Camille, e perciò era leggermente emozionata.

Camille ha suddiviso in tre parti – With ; Finite unbound ; Edge what thinking is – l’esecuzione musicale e recitativa, alternando alla dizione il suono di una glassarmonica o armonica a bicchieri.

Lo strumento utilizza, in luogo di normali tasti da pianoforte, una serie di calotte di vetro poste orizzontalmente in ordine di grandezza e perciò di intonazione. Queste calotte sono attraversate da un’asta girevole e inserite l’una nell’altra perché siano vicine tra loro senza che si tocchino. Tramite un motore elettrico, l’asta viene fatta girare a velocità costante e l’esecutore produce il suono poggiando le dita, opportunamente inumidite con acqua, sulle varie calotte producendo per sfregamento un suono morbido, dolce e cristallino, che può stimolare un certo tipo di meditazione.

La performance, secondo il pensiero della compositrice, è un tentativo di indagare la relazione esistente tra suoni naturali e sintetici.

Ecco un frammento dei testi recitati : I corpi sono come orizzonti / pieni di infinito potenziale / ripetizioni ellittiche di dissonanza e gioia / allerta e meditazione.

Entrambi i musicisti prestavano attenzione alle indicazioni di Camille, controllando attentamente lo schema di procedimento.

Hamid Drake ha coperto i tamburi del drum set con asciugamani per attutire il suono e lo ha fatto con la professionalità di un musicista classico, intento a leggere lo spartito. Un modo di suonare molto parco, senza le consuete esplosioni percussive, che danno quel groove necessario al brano e stimolano le improvvisazioni dei compagni.

Una sonorità calda e contenuta, quella di Henriette, che ha soffiato sull’amato Selmer d’annata, che le fa compagnia accanto al letto durante la notte.

Applausi sinceri e affettuosi da parte di un pubblico sorprendeentemente poco numeroso, considerando che quasi tutti gli appuntamenti – e sono tanti - al teatrino sono ad ingresso gratuito.

 

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