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 Home page > Tribuna Libera > I ricordi post alluvione e il senso di solidarietà

I ricordi post alluvione e il senso di solidarietà

Le situazioni di difficoltà, le tragedie collettive sviluppano, ingenerano un senso di solidarietà e di unità negli individui: è risaputo. Non per questo bramiamo i momenti drammatici, anzi ne faremmo ben volentieri a meno, tanto più quando sono costati vite umane, come nelle recentissime alluvioni che hanno devastato prima le CinqueTerre e poi alcuni quartieri, alcune zone di Genova.

Assistiamo al quel senso di fratellanza, unione, condivisione, constatiamo il comune impegno nel ripulire, nello sgomberare, un “concreto” rimboccarsi le maniche per affrontare una situazione catastrofica: tutti gesti di umanità che dovrebbero connotare l’intera esistenza quotidiana umana, che mi concedono un ulteriore motivo di commozione, dopo gli insensati lutti: l’aiutarsi vicendevolmente, in silenzio, perché in certi casi le parole non servono. Una secca dicotomia tra individuo e collettività, tra interessi propri ed interessi comuni e condivisi caratterizza ogni società contemporanea, con una dannata e dannosa predilezione egotistica. Non serve addentrarsi nei complessi meandri della sociologia, è sufficiente osservare, osservarci quotidianamente.

In questi giorni, il frenetico lavoro dei genovesi, del volontariato prezioso dei giovani di tutte le età (giovani per iniziativa, volontà, forza) ha invertito la rotta e mi ha fatto sentire, come nelle circostanze più drammatiche, cittadino con un senso di rabbia ma anche di intensità inusitata, insolita. Quando il senso comune di appartenenza ad un territorio, tra la gente, non si lascia irretire, soggiogare da quell’individualismo traducibile nella contemporanea forma di successo, ciò che resta è vera sostanza. Situazioni in cui le frasi ad effetto, sempre più diffuse e sempre meno credibili, stridono nella loro inutilità, illusorietà, vanità. Momenti che tragicamente transiteranno con impeto e si diluiranno nella memoria collettiva (pur indelebilmente impressi nel cuore di coloro che hanno subito scempi, morte e devastazione), assopendosi col tempo, nell’inevitabile oblio. Come l’elastico, prima tirato, poi lasciato libero, si ritrae immediatamente nella posizione e nell’estensione originaria, così dovremmo con urgenza stabilire qual’è la nostra posizione originaria rispetto alla storia, collettiva e personale, rispetto al presente che intendiamo contribuire a darci.

E’ estesa o definitivamente ritratta, la nostra posizione? Forse pensiamo che si debba continuare, accontentandoci, nella cecità ego-referente, nel miraggio individualista, e pagarne le possibili conseguenze, oppure pensiamo di avanzare con coraggio verso posizioni di apertura, di coesione sociale, di unitarietà. Non conoscere il proprio percorso è grave, ma perseguire orgogliosamente quello sbagliato lo è ancor più. Abbiamo una vita (e ricordo che alcuni l’hanno appena persa) di tempo per capire cosa è meglio per noi, per tutti. E certi momenti, seppur particolarmente tristi, possono essere fatidici per una migliore e viva comprensione del nostro stato, umanamente misero, gracile e vulnerabile: e l’individualismo, per certo, non fa che accentuare tale insensata condizione. Cerchiamo di non cancellare i ricordi brutti troppo in fretta: essi ci mantengono vivi.

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