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I "neri", Tartaglia e i vaneggiamenti del povero Silvio

Una verità emerge, con cristallina chiarezza, da quanto è avvenuto sabato a Roma: che le uniche forze politiche a cui abbiano giovato quegli atti di violenza sono quelle che sostengono il governo.

Le loro reazioni, il tentativo di confondere le acque facendo di indignati e "neri" la stessa cosa, i vaneggiamenti a proposito di supposti cattivi maestri, ricordano da vicinissimo quel che accadde nel dicembre 2009, quando Massimo Tartaglia, uno squilibrato, lanciò una statuetta ricordo del Duomo di Milano contro Silvio Berlusconi ferendolo al volto.

Per qualche giorno, proprio in un momento di gravissima crisi dell'esecutivo, l'attenzione del Paese fu distolta dalla politica per essere indirizzata verso un episodio che con la politica non c'entrava nulla.

E di ragioni per usare i black-bloc come armi di distrazione di massa, ve ne sono più di quelle che, allora, portarono alcune delle menti più brillanti del centro destra a dipingere Tartaglia come il braccio armato di Rosy Bindi.

Il Governo gode ormai della fiducia di una minoranza sempre più ristretta d’italiani, mentre la maggioranza parlamentare che lo sosteneva è solo un ricordo.

Silvio Berlusconi per governare deve ricorrere continuamente al voto di fiducia e, per incassarlo, deve sborsare compensi sempre più elevati e in tempi brevissimi.

Solo una è la spiegazione della decisione di offrire, senza neppure lasciar passare qualche settimana per salvare le apparenze, quattro strapuntini ministeriali a chi ha puntellato la maggioranza nel voto sul Rendiconto Generale dello Stato: anche per i parlamentari di bassa forza, Silvio Berlusconi è un uomo politico che rischia il default.

Un uomo senza credito a cui offrono aiuto solo in cambio di interessi altissimi che il poveretto deve iniziare a pagare immediatamente.

Un indegno mercimonio, ormai alla luce del sole, che rende ancor più comica l’uscita di Alfano che ha accusato Fini di aver provocato “un vulnus grave” alla Democrazia, dicendo, oddio che scandalo, che il Ministro Romano, inquisito per mafia e sulle cui “frequentazioni” continuano ad emergere prove, dovrebbe fare “un passo indietro”.

Alfanozzi, ma ci facci un piacere, ci facci...

Priva del minimo coraggio morale necessario a scontentare qualcuno, questa maggioranza in liquefazione che scontenta tutti, non riuscendo a far nulla per guidare il Paese fuori dalla crisi, è la perfetta rappresentazione dello stato confusionale in cui versa, ormai, il Presidente del Consiglio.

Il testo delle sue conversazioni con Lavitola, pubblicato ieri dall’Espresso, induce a mesti pensieri. Non pare possibile che simili espressioni siano uscite dalla bocca del Capo del governo di un grande paese europeo; che a straparlare di rivoluzione, della necessità di “prendere il Palazzo di Giustizia” e di assediare la sede di “La Repubblica” non sia un povero pensionato, troppo in là con gli anni ed i bicchieri di bianco, che vaneggia piegato in due davanti al bancone di un’osteria di periferia.

Uno di quei disgraziati soli al mondo, che mendicano l’attenzione di qualunque Lavitola abbia la sorte di seder loro accanto.

Una figura patetica, incapace di capire la complessità della vita (per certo, nel caso di Berlusconi, della vita di una democrazia, che ha le sue regole e dove, purtroppo per lui, esiste la libertà di critica) e che non pare più in grado neppure di governare se stesso.

Un ubriaco al bar di cui tutti, papponi e giocatori d’azzardo, si approfittano e che qualche anima buona dovrebbe trovare il coraggio di accompagnare a casa.

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